dà la propria vita per le pecore.
¹¹Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita
per le pecore. ¹²Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore
non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo
le rapisce e le disperde; ¹³perché è un mercenario e non gli importa delle
pecore.
¹⁴Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, ¹⁵così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. ¹⁶E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. ¹⁷Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. ¹⁸Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Dare la vita
Per cinque volte in poche righe Gesù spiega come riesce a difendere la nostra vita: dona la sua vita. Donare è il segreto per una vita bella come bello (non solo buono) è il pastore coraggioso che veglia sul gregge radunato per la notte. Dona la vita, la spende, la spande, la frantuma, la divide, la offre, la riversa su di noi, su di me. Ma di un amore libero e maturo, adulto e fiorito. Senza aspettarsi nulla in cambio. Senza giocare ai piccoli, velati ricatti che rischiano di intorbidire anche la più bella delle relazioni. È libero, il Signore, perché vero, perché centrato su Dio, perché orientato verso l’essenziale. Dio è la fonte dell’amore che riversa. Non le sue passioni, le sue emozioni, i suoi sentimenti. Che, sì, sono illuminati anch’essi dall’amore che deriva da Dio. E illuminanti. Siamo amati di un amore divino e se ce ne lasciamo riempire diventiamo capaci di amare di un amore divino. Scoprendoci amati, diventiamo amanti, amabili.
Dare e riprendere
E insiste su un aspetto affatto marginale. La vita la dà e poi se la riprendere, la riprende quando vuole. Un amore maturo sa donare senza lasciarsi travolgere, senza lasciarsi ingabbiare e manipolare. Troppe volte, fra noi cattolici, persone generose che credono al Vangelo cercano di amare come Gesù. E vengono sbranati. Dalle pecore, non dai lupi. Portati via. Fatti a pezzi. Se il gesto di chi ama può essere carico di buone intenzioni, non sempre chi accoglie questo amore agisce allo stesso modo. Anzi.
Ne ho visti di cristiani amorevoli restare amareggiati e delusi, feriti e piagati dopo avere fatto esperienze di comunità. Ne ho visti pretini luminosi ed entusiasti essere sbranati da falsi devoti che vivono nella finzione. Bene dice altrove il Maestro: Dio comanda di amare gli altri come noi stessi. Di amare noi, quindi, per primi. Ma non dell’amore narcisistico ed egotico tanto di moda oggi, no. Dell’amore libero e concreto che ci deriva da Dio. Quell’amore definitivamente espresso dall’alto della croce, un amore libero e liberante che attira tutti. Ti posso amare bene senza lasciarmi impigliare nelle tue spire divoranti. Ti posso amare bene sapendo che tu, come me, come tutti, porti nel cuore delle ombre. Gesù ama bene. Perciò ci può difendere, anche dal lupo che portiamo nel cuore.
Vocazioni
Oggi la Chiesa prega per le vocazioni. Ci sarebbe tanto da scrivere. Perché i tanti dibattiti su cosa sia una vocazione, una chiamata, rischiano sempre di perdere di vista l’essenziale: Dio non è moralista, non vuole una pia società organizzata. Dio è passione, amore travolgente, bruciante, a volte insostenibile. E così è per chi lo segue. Prete, suora, famiglia, laico. Siamo tutti vocati. A fare esperienza di Dio come siamo. Come siamo. Al mercenario, dice Gesù, non importano le pecore. A Dio sì. A Dio importa di me. Essere vocati significa farne esperienza. E raccontare agli altri che anche di loro Dio si occupa. Tutto qui.
Nessun commento:
Posta un commento