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XXVI domenica del tempo
Ordinario, anno A
In quel tempo, Gesù
disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo
aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare
nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò.
Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non
vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi
passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della
giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli
hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete
nemmeno pentiti così da credergli».
A questo punto egli pronuncia la prima di tre parabole
incentrate sul rifiuto opposto dai capi religiosi di Israele a coloro che Dio
ha inviato ad annunciare la sua salvezza. Un uomo ha due figli: chiede al primo
di andare a lavorare nella vigna ed egli, dopo aver acconsentito a parole, non
fa ciò che ha detto; l’altro risponde negativamente ma poi, pentitosi, va al
lavoro. È il secondo ad aver compiuto la volontà del padre, ammettono gli
interlocutori di Gesù. Ed egli commenta: «I pubblicani e le prostitute vi
precedono nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e
non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto.
Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti
per credergli». Con queste parole Gesù pone la propria missione in stretta
relazione con quella di Giovanni, suo maestro e precursore: rifiutare l’uno è
rifiutare anche l’altro (cf. Mt 11,16-19). Egli rivela
inoltre che la salvezza può essere accolta solo da chi è disponibile a fare
ritorno a Dio, pentendosi del male fatto e abbandonando le proprie vie di
peccato. In questo senso vale la pena analizzare più in profondità il senso del
detto paradossale: «I pubblicani e le prostitute vi precedono nel Regno»
rivolto da Gesù agli uomini religiosi del suo tempo e, con loro, a ciascuno di
noi.
Gesù sapeva bene che tutti gli uomini sono peccatori, se è
vero che il giusto pecca sette volte al giorno (cf. Pr 24,16): ma qual è il motivo
della sua preferenza per la compagnia dei peccatori pubblici, riconosciuti tali
dagli uomini? Chi pecca di nascosto non è mai spronato alla conversione da un
rimprovero che gli venga da altri, perché continua ad essere stimato per ciò
che della sua persona appare all’esterno: questa è la malattia della maggior
parte delle persone, tra le quali primeggiano quelle devote, che disprezzano
gli altri considerandoli immersi nel peccato, mentre ringraziano Dio per la
loro pretesa giustizia (cf. Lc
18,9-14). Chi invece è un peccatore pubblico si trova costantemente esposto
al biasimo altrui, e in tal modo è indotto a un desiderio di cambiamento: nel
pentimento che nasce da un «cuore spezzato» (Sal 34,19) egli può divenire
sensibile alla presenza di Dio, quel Dio che non vuole la morte del peccatore,
ma piuttosto che si converta e viva (cf. Ez 18,23).
È proprio in forza di tale consapevolezza che Gesù amava
sedere a tavola con i peccatori manifesti, condividere con loro questo gesto di
estrema comunione. Il suo comportamento svela il cuore di Dio, mostra
l’atteggiamento di Dio verso il peccatore, e per questo egli è contestato dagli
uomini religiosi, che prima cercano di scandalizzare i suoi discepoli: «Perché
il vostro maestro mangia e beve con i pubblicani e i peccatori?» (Mt 9,11), poi lo accusano in modo
diretto: «Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19). Ma l’amicizia di Gesù
verso le persone meno stimate all’interno della società, la sua cordiale
simpatia per prostitute e peccatori ignora il disprezzo di quanti si sentono
migliori dei peccatori manifesti, semplicemente perché non vogliono o non sanno
riconoscersi peccatori come loro…
Sì, il vero miracolo – più grande che resuscitare i morti,
diceva Isacco il Siro – consiste nel riconoscersi peccatori: siamo noi i
pubblicani, siamo noi le prostitute! È davvero una fatica vana quella fatta per
nascondere agli altri il proprio peccato: basterebbe riconoscerlo
consapevolmente, per scoprire che Dio è già là e ci chiede solo di accettare
che egli lo ricopra con la sua inesauribile misericordia.
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