Giuseppe Savagnone*
«Anche noi italiani amiamo la libertà ma abbiamo a cuore
anche la serietà». Queste parole del presidente Sergio Mattarella – pronunciate
a Sassari, conversando con alcuni partecipanti alle celebrazioni in onore di
Cossiga – sono state ampiamente riportate e commentate, nei giorni scorsi, da
tutti i quotidiani.
Dove era chiaro il riferimento ad un’affermazione del premier
britannico Boris Johnson il quale, alla Camera dei Comuni – rispondendo ad un
deputato dell’opposizione che chiedeva come mai la pandemia facesse meno
vittime in Germania e in Italia che nel Regno Unito –, aveva risposto: «C’è
un’importante differenza tra il nostro paese e gli altri del mondo, cioè che il
nostro paese ama la libertà». Perciò, aveva concluso, «è davvero difficile
chiedere alla popolazione britannica di obbedire uniformemente alle linee guida
nel modo necessario».
Il contesto: la pandemia nel Regno Unito
Non bisogna perdere di vista il contesto in cui Johnson
parlava: nel Regno Unito la pandemia ha determinato, su una popolazione di 67
milioni di abitanti, quasi 420.000 contagi e più di 42.000 morti, a fronte dei
304.000 contagi e 35.000 morti – su 60 milioni di abitanti – dell’Italia.
Con un trend negativo che lascia prevedere un’ulteriore accentuazione del
divario, dato che in Inghilterra i contagi giornalieri sono migliaia (il solo
24 settembre, 6.634, con 40 decessi), mentre in Italia non raggiungono ancora i
2.000 (nello stesso giorno 1.786, con 23 decessi).
Non a caso recentemente il prestigioso «Financial Times» ha
elogiato l’ Italia per le modalità in cui ha gestito l’ emergenza Covid. Uno
schiaffo per il governo inglese e per tutti quelli che avevano deriso le severe
misure adottate nel nostro paese – il primo in Occidente ad essere aggredito
dal coronavirus, e in modo brutale –, sostenendo che, per far fronte
efficacemente alla pandemia, esistevano altre strategie meno restrittive
delle libertà individuali.
Al di là della polemica, quale idea di libertà?
Si comprende dunque il tono della risposta di Johnson a una
domanda che esplicitamente stabiliva il confronto tra Regno Unito e Italia. Con
la risposta, pacata ma ferma, di Mattarella. Ma, al di là dell’episodio
polemico, in fondo abbastanza irrilevante, quello che sembra meritevole di
approfondimento è il diverso modo di intendere la libertà che sembra emergere
dalla posizione del premer inglese e di quella del nostro presidente della
Repubblica, in cui si evocava il rapporto di questo concetto con la “serietà”.
Serietà e responsabilità
Per comprendere il senso che Mattarella dava a questo
termine, può essere rileggere ciò che egli ha detto il 31 luglio scorso, in occasione
della cerimonia del Ventaglio: «Talvolta» – aveva detto il capo dello Stato in
quell’occasione – «viene evocato il tema della violazione delle regole di
cautela sanitaria come espressione di libertà. Non vi sono valori che si
collochino al centro della democrazia come la libertà. Naturalmente occorre
tener conto anche del dovere di equilibrio con il valore della vita, evitando
di confondere la libertà con il diritto far ammalare altri».
Dove è chiaro il nesso tra la “serietà” evocata nella
risposta a Johnson e la responsabilità che ogni persona deve avere nei
confronti degli altri.
La prevalenza del modello liberale in tutto l’Occidente
Un nesso che in realtà sfugge anche a molti nostri
concittadini e spiega le accuse rivolte al governo italiano per avere limitato
notevolmente i diritti nella fase del lockdown e per le restrizioni che
continua a imporre adesso.
Il punto è che il modo di intendere la libertà attribuito da
Mattarella al popolo italiano, da tempo è ormai surclassato, anche in Italia –
come del resto in tutto il mondo occidentale –, da quello di matrice liberale
che, in piena conformità con la tradizione del suo paese, è stato utilizzato
dal premer inglese.
La libertà è alternativa ai vincoli sociali?
Sono stati i filosofi inglesi del Seicento, infatti, a
codificare un concetto di libertà consistente non tanto e non più, come nel
pensiero medievale, come libertà di scelta, bensì come «mancanza di impedimenti
esterni». Dove, evidentemente, la libertà viene dislocata dalla sfera interiore
della persona – quella in cui si fanno le scelte – a quella esteriore,
diventando sinonimo di autonomia da vincoli esterni.
Ovviamente dei vincoli, nella vita sociale, ci sono e non
vengono negati. Ma si è liberi, in questa prospettiva, nella misura in cui si è
esonerati da essi e si può fare quello che si vuole senza doverne rispondere a
nessuno. In questo modo libertà e legge, libertà e legami relazionali,
coesistono, ma sono inversamente proporzionali. Si è tanto più liberi quanto
meno ci si deve confrontare con i limiti posti dalle istituzioni e dagli altri.
Lo spazio dell’individuo si amplia se si restringe quello della comunità, e
viceversa.
I diritti senza doveri e la crisi delle comunità
È in nome di questo concetto di libertà, ampiamente diffuso
ormai in tutte le società occidentali, che i diritti individuali sono stati
enfatizzati fino a mettere in ombra i doveri e a relegare in secondo piano il
ruolo delle relazioni comunitarie. La crisi profonda di queste ultime – dalla
famiglia, alla società civile, a quella politica, alla stessa Chiesa – è sotto
i nostri occhi. Si continua, naturalmente, ad aver bisogno dei rapporti umani,
ma essi vengono sempre più spesso cercati sulla rete e nei social, dove si può
essere “amici”, o comunque comunicare, senza impegnare la propria identità e
senza creare veri legami.
La pandemia ha solo evidenziato un problema preesistente
È chiaro perché in quest’ordine di idee possa apparire
una evidente violazione della libertà individuale ogni limitazione imposta in
nome del bene comune. Non abbiamo avuto bisogno di attendere il corona-virus per
sperimentare l’insofferenza verso ogni forma di solidarietà verso i più poveri
e più deboli, in nome di una “prima noi” che rifletteva, più in profondità, un
“prima io”. La pandemia è venuta a evidenziare un problema che in realtà è
culturale, prima che politico, e che sta facendo avvertire il suo peso in tutto
l’Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti, dove, in nome della libertà e dei
diritti, le proteste contro il lockdown – là dove si è tentato, sporadicamente,
di introdurlo –. Sono state violentissime.
Poter fare quello che si vuole è vera libertà?
Ma veramente la libertà è «mancanza di impedimenti esterni»?
Dicevo che, nella originaria tradizione occidentale, essa era stata piuttosto
collegata al “libero arbitrio” e, come suo naturale sviluppo, alla capacità di
usarlo rettamente aderendo al bene.
Basta guardarci intorno per renderci conto che una libertà
ridotta ad autonomia nel fare quello che si vuole – nell’ambito in cui ciò è
possibile – è solo parziale. Vediamo oggi la maggior parte delle persone, nella
società consumistica, abbracciare volontariamente certi stili di vita solo
perché le mode impongono loro precisi modelli, a cui essi aderiscono più o meno
consciamente, senza mai chiedersi se, oltre a poter “fare” ciò che vogliono,
sono anche in grado di “scegliere” che cosa volere. L’uniformità agghiacciante
dei comportamenti di massa dimostra abbondantemente quanto poco la volontà dei
singoli rifletta una scelta veramente personale.
La libertà di accettare dei vincoli
Solo quando l’autonomia è guidata da una scelta consapevole
essa è libera. Ma, in questo caso, essa non è rivendicata come un tesoro geloso
da difendere nei confronti dei vincoli esterni, perché questi possono al
contrario essere voluti liberamente in funzione del fine individuale e/o
collettivo che la persona si propone.
Si può, allora, considerare più libero chi è capace di
accettare dei vincoli, per una scelta motivata, che non colui che assolutizza
la propria autonomia per fare quello che vuole, senza però davvero averlo
scelto. Un ragazzo o una ragazza che hanno preferito rinunciare ad andare in
discoteca o alla movida, per senso di responsabilità verso nonni anziani che
avrebbero potuto poi essere contagiati, sono stati in realtà più liberi dai
tanti che, seguendo le mode, hanno ritenuto “sacro” il diritto di fare quello
che tutti fanno.
La responsabilità non è il contrario della libertà
Questa è la “serietà” di cui ha parlato Mattarella. Che non è
il contrario della libertà, ma la sua dimensione più specificamente umana
(anche gli animali non umani possono essere “lasciati liberi” di “fare quello
che vogliono”, se vengono sciolti dal guinzaglio; solo l’essere umano decide
se, quando e come approfittare di questa possibilità).
Possiamo rallegraci che di fatto molti italiani abbiano
accettato questa logica – quanto consapevolmente è difficile dirlo e varia nei
singoli casi. Quel che è certo è che l’idea dominante di libertà, di matrice
liberale, favorisce, purtroppo, chi, passata la paura iniziale, tende a
snobbare le misure di sicurezza, in un momento in cui la seconda ondata del
corona-virus, quella autunnale, comincia a farsi sentire anche in Italia. Senza
rendersi conto che in questo modo rischia di «confondere la libertà con il
diritto far ammalare altri».
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