L'attuale situazione sociale
richiede
scelte coraggiose e responsabili
di GIAN CARLO BLANGIARDO*
Ancora
una volta si deve ammettere che le prime anticipazioni sul bilancio demografico
del 2019, pur disegnando uno scenario che vedeva un ulteriore nuovo record al
ribasso sul fronte della natalità, avevano peccato di ottimismo. Si pensava di
poter chiudere il conto del 2019 con 435mila nati, ed invece, alla fine, ci
siamo fermati poco oltre 420 mila. E stiamo ancora parlando di dati che si
riferiscono a 'prima' della comparsa del Covid- 19, da cui dobbiamo aspettarci
effetti verosimilmente al ribasso sulle scelte riproduttive di una popolazione
destinata a vivere una stagione densa di paure e incertezze su diversi fronti.
Pochi
giorni fa, in occasione della presentazione del Rapporto Annuale
2020 dell’Istat, avevamo sottolineato lo stridente contrasto tra
il dato di fecondità del nostro tempo, circa 1,3 figli per
donna, e il persistente desiderio di maternità/paternità che
permea la popolazione italiana. I due figli mediamente
desiderati dalle coppie si scontrano con quanto esse poi riescono concretamente
a realizzare. Siamo in presenza di progetti incompleti che i dati
statistici impietosamente sottolineano, rimandando alla ennesima consueta
diagnosi sulle cause che stanno alla base di quei comportamenti destinati
spesso a trasformare in rinuncia definitiva, ciò che inizialmente era solo un
rinvio del progetto. Una scelta attendista dettata dalle numerose difficoltà che
le famiglie vivono sul piano delle risorse, economiche e di tempo, nonché
dell’organizzazione della vita – lavorativa, familiare e sociale – degli
individui che ne fanno parte.
Se
il tempo delle diagnosi è finito, la terapia fatica comunque ad avviarsi. Un
Paese non può continuare a credere di avere un futuro se conta – come ci dicono
i dati di oggi – su un flusso di tre morti ogni due nati.
La
parola d’ordine dell’Italia post- Covid è 'rialziamo la testa', ma avremo, con
questi numeri del bilancio demografico, la vitalità per farlo?
Sono 42 anni che
non riusciamo a raggiungere un livello di fecondità capace di garantire il
semplice ricambio generazionale e anche l’illusione del contributo migratorio
si è via via spenta con la progressiva contrazione del numero di nati stranieri
– ancora il 3,8% in meno – a fronte di una popolazione più numerosa
(+0,9%). Per altro, i dati del 2019 ci consegnano uno stato di
crisi demografica che facilmente nel prossimo bilancio del corrente anno
si manifesterà con ulteriori
elementi di aggravio. Nel 2019 il saldo naturale, nati meno morti, è stato
negativo per 214 mila unità – altro record nella storia del Paese – ma come
sarà quello del 2020? Non soltanto per il noto aumento dei decessi, ma anche
sul fronte dell’ulteriore prevedibile minor numero di nascite. Visto che paura
e incertezza, uniti a disagio economico e occupazionale, possono diventare
determinanti nell’accentuare gli ostacoli tradizionali alla fecondità, come il
costo dei figli, le difficoltà di conciliazione tra vita e lavoro, la mancanza
di supporti alla cura. Per 'rialzare la testa' occorre dunque anche
'rimboccarsi le maniche', a tutti i livelli, dimostrando impegno, coraggio e
senso di responsabilità.
Negli scorsi mesi abbiamo dimostrato di
saper sacrificare gli interessi economici alla difesa della salute e della
vita, ed è stato un segnale importante per riconoscerci in una scala di valori.
E c’è da credere che se la pandemia ci ha dato l’occasione per condividere le
priorità, i dati di questo bilancio del 2019 – anche nella prospettiva del 2020
– ce ne consegnano una, quella demografica, da cui non dobbiamo, né possiamo
più, prescindere.
*Presidente
Istat
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