- Domenica 5 luglio 2020
- - Dal
Vangelo secondo Matteo - Mt 11, 25-30
In quel tempo, Gesù disse: "Ti
benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste
queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o
Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio;
nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il
Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Venite a me, voi tutti, che siete
affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e
imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le
vostre anime. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio carico leggero".
Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi
Video: https://youtu.be/JWiGEH9gH54
È un momento difficile nella vita di Gesù: ha iniziato la sua
predicazione, ed immediatamente gli arriva un ultimatum, che ha tutto il sapore
di una scomunica, da parte di Giovanni Battista, che è incarcerato, che gli
manda a dire: sei tu quello che deve venire, o ne dobbiamo aspettare un altro?
Evidentemente la predicazione di Gesù delude, e Gesù inizia a predicare nelle
città, ma il risultato è fallimentare. E infatti Gesù si lamenta con queste
città – sono tre principalmente: Corazin, Betsàida e Cafarnao – e Gesù si
lamenta che, se lo stesso messaggio l’avesse portato nelle città pagane, si
sarebbero convertite, queste no. Perché questa resistenza? Perché sono città
dominate dall’insegnamento della sinagoga.
Ed è a questo punto, siamo al capitolo 11 di Matteo, versetto 25, che
Gesù esclama: “In quel tempo”, quindi in collegamento con questo, “Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre”, Gesù non parla di Dio, parla di Padre, è importante per
comprendere il suo insegnamento, “Signore del cielo e della terra, perché hai
nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti”, Gesù non se la sta prendendo con
le persone colte, sapienti e dotti sono immagini dei dottori della legge, degli
scribi, che ragionano in termini di dottrina e di legge, ma, se con la legge,
la dottrina, si può arrivare a discutere, a parlare di Dio, del Padre si può
soltanto sperimentare la sua potenza d’amore imitando questo amore, ecco perché
Gesù parla di Padre. Per i dotti, per i sapienti, quindi gli scribi, i dottori
della legge, Dio si manifesta nella dottrina e non nella vita, come invece
insegna Gesù.
E, dice Gesù, quindi le hai nascoste “queste cose ai sapienti e ai
dotti e le hai rivelate ai piccoli”. Nonostante il fallimento della
predicazione di Gesù, c’è un gruppo di persone che lo segue: sono gli
emarginati, sono le nullità, sono gli invisibili, sono queste le persone che lo
seguono ed ascoltano il suo messaggio.
E continua Gesù, di nuovo ripetendo la parola Padre, “Sì, o Padre,
perché così hai deciso nella tua benevolenza”. E qui Gesù, con un tipico
ragionamento teologico e rabbinico, afferma: “Tutto è stato dato a me dal Padre
mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se
non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”, cosa vuol dire con
questo ragionamento Gesù? Dio, abbiamo visto, si può conoscere dalla legge, il
Padre soltanto nell’amore. Allora è nell’essere
profondamente umani, nell’essere sensibili ai bisogni ed attenti alle
necessità, alle sofferenze degli altri, che si può sperimentare la presenza del
Padre. Come abbiamo detto, Dio si può conoscere attraverso la legge, il Padre
soltanto attraverso l’esperienza dell’amore. Con Gesù, Dio si è fatto uomo, e
l’uomo, l’umanità, è l’unico valore sacro.
E poi c’è l’invito da parte di Gesù: “Venite a me, voi tutti che siete
stanchi e oppressi”, stanchi e oppressi di che cosa? Dell’osservanza della
legge, dirà più avanti Gesù in questo stesso vangelo, che proprio questi dotti,
questi scribi, questi dottori della legge, legano dei pesanti fardelli sulle
spalle delle persone. Sono le dottrine che si accumulano, e per questo sono
stanchi ed oppressi, e dice: “e io vi darò ristoro”, il termine adoperato
dall’evangelista significa far riposare, cessare dalla fatica, recuperare il
fiato, potremmo dire: io sarò il vostro respiro.
E poi, ecco la sfida di Gesù: “Prendete il mio giogo sopra di voi”, il
gioco lo sappiamo, era quell’attrezzo che si metteva sopra i buoi per guidarli
nel campo, ed era immagine della legge. La legge, la legge di Mosè, era
diventata un giogo, ma un giogo pesante. Allora Gesù invita a fare una
sostituzione: lasciate stare il giogo della legge, il credente non è più colui
che ubbidisce a Dio osservando le sue leggi, ma colui che assomiglia al Padre
praticando un amore simile al suo. “Prendete il mio giogo sopra di voi e
imparate da me, che sono mite e umile di cuore”, non sta parlando Gesù di
imitare il suo carattere, impossibile, ma la sua scelta sociale. I “miti”, in
quel tempo, il termine indica i diseredati, il termine “umile” in greco è
tapino, cioè mettetevi dalla parte degli ultimi, dalla parte degli emarginati,
dalla parte degli invisibili, lì c’è la mia presenza. E infatti dice:
“troverete ristoro per la vostra vita”, questa è una citazione del libro della
Sapienza, che ristora le persone.
E conclude Gesù: “Il mio giogo”, quindi l’accettazione dell’imitazione
dell’amore del Padre, questo è il giogo, “è dolce e il mio peso leggero»”, non
ci sono più pesi da portare, che schiacciano le persone come denuncerà poi San
Pietro nel concilio – dice: “perché continuate a tentare Dio, imponendo sul
collo dei discepoli un giogo, ed è stato il fallimento, che né i nostri padri,
né noi siamo stati in grado di portare? Quindi l’osservanza della legge non ha
permesso la comunione con il Padre, l’accoglienza, l’amore, la pratica del suo
amore, sì.
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