Fiducia, ma anche
richiesta di impegno
di Giuseppe Savagnone
«Qui a Codogno è
presente l’Italia della solidarietà, della civiltà, del coraggio. In una
continuità ideale in cui celebriamo ciò che tiene unito il nostro Paese: la sua
forza morale. Da qui vogliamo ripartire». Il discorso del capo dello Stato per
la festa della Repubblica, è stato pieno di fiducia non tanto nelle risorse
produttive, quanto in quelle etiche, di un’Italia che esce duramente provata da
quattro mesi di pandemia. Alla fiducia, però, si è accompagnato un preciso
appello: «Questo è tempo di un impegno che non lascia spazio a polemiche e
distinzioni. Tutti siamo chiamati a lavorare per il Paese, facendo appieno il
nostro dovere, ognuno per la sua parte», ha scritto Mattarella nel tradizionale
saluto ai prefetti.
Una permanente
campagna elettorale
Parole che a molti
sono sembrate di routine, ma che adombrano le fin troppo reali preoccupazioni
del presidente della Repubblica, figura simbolica dell’unità della Nazione, in
un contesto in cui da tutte le parti arrivano segnali che sembrano contraddirne
lo spirito.
È sotto gli occhi di
tutti lo scenario di un Paese dove sembra che tutti siano contro tutti. Altro
che solidarietà! Già all’interno del governo – secondo uno stile che questa
Terza Repubblica ha purtroppo consacrato a partire dal Conte 1 –, ogni partito
parla ai suoi elettori, sottolineando la distanza che lo separa dagli alleati e
in polemica con essi, in uno stile di permanente campagna elettorale, come se
si trovasse all’opposizione.
Il vecchio sistema
certamente non escludeva le differenze di punti di vista all’interno
dell’esecutivo, ma prevedeva, da parte delle forze politiche che vi
concorrevano, l’impegno di non enfatizzarle pubblicamente, per discuterne
all’interno del consiglio dei ministri e offrire alla fine un’immagine unitaria
del governo. Oggi è diventato normale, invece, dissociarsi a gran voce dai
colleghi, arrivando al punto – lo abbiamo visto accadere pochi giorni fa – di
lasciare in sospeso fino all’ultimo la scelta se appoggiare o meno la mozione
di sfiducia presentata dall’opposizione nei confronti di un ministro. Al di là
del merito della questione, quello che manca in questo momento storico è
innanzi tutto una cultura di governo.
I meriti del
presidente del Consiglio
Né, francamente,
sembra avere la statura politica per ripristinarla l’attuale presidente del
Consiglio. Dopo la disastrosa prova di inconsistenza offerta nel governo
precedente, egli ha mostrato assai maggiore senso di responsabilità in questa
seconda esperienza e gli italiani hanno apprezzato il suo coraggio nel prendere
in mano la situazione, all’esplodere della pandemia, perdonandogli gli equivoci
iniziali (quando aveva assicurato il Paese di avere la situazione sotto
controllo) e le non poche incertezze e contraddizioni successive. Gli è stato
rimproverato, dalle opposizioni, di aver fatto tutto da solo e di non averle
ascoltate.
In realtà, chi ha un
minimo di memoria sa che questa è stata per l’Italia una fortuna, che le ha
evitato di fare la fine dell’Inghilterra e degli Stati Uniti.
Anche la linea di
condotta verso l’Europa è stata abbastanza equilibrata, senza cedevolezze, ma
evitando le clamorose rotture che i sovranisti esigevano. E i risultati, per
quanto ancora parziali, si sono visti, dall’accordo tra Francia e Germania per
avallare la soluzione proposta dal governo italiano, alla decisione della Banca
Centrale Europea di raddoppiare gli acquisti di titoli per aiutare i Paesi
colpiti dalla pandemia.
E i suoi
limiti
Resta il fatto che
Conte non è Napoleone, ma neanche la Merkel, e le sue capacità di mediatore fra
le diverse anime del suo governo non riescono, ora che la paura del coronavirus
ha riaperto il reciproco gioco al massacro, a evitare uno stato di permanente
precarietà dell’esecutivo e una cronica lentezza nel prendere le decisioni
(come è stato per il decreto contenente le misure per il rilancio dell’economia,
slittato a metà maggio).
Pur senza avallare
le aspre parole del presidente di Confindustria, Bonomi, secondo cui la
politica di questo governo «rischia di fare più danni del Covid» – anch’esse
certamente espressione di un clima tutt’altro che cooperativo –, bisogna
riconoscere che la sensazione è di una seria difficoltà di Conte e dei suoi
ministri nel far ripartire il Paese.
Manifestazione
di forza o di debolezza?
Ma non sembra stare
meglio in salute l’opposizione. Anche la manifestazione del 2 giugno, che nelle
intenzioni degli organizzatori avrebbe dovuto dimostrare la capacità della
destra di prendere in mano le sorti del Paese, ha evidenziato il contrario. E
non tanto per la mancanza di distanziamento e di mascherine, quanto per l’assenza
di reali proposte alternative.
«Siamo qua per
risolvere i problemi, non per protestare, ma per proporre soluzioni», ha detto
Salvini. Ma, di fatto le sue richieste concrete – «burocrazia zero e taglio
delle tasse» – non possono non apparire dei semplici slogan a chiunque abbia un
minimo di conoscenza dei problemi cronici del nostro Paese nel semplificare la
burocrazia e combattere l’evasione per ridurre le aliquote fiscali (problemi,
peraltro, che neppure il governo gialloverde, di cui Salvini era vicepremier,
ha risolto).
Va aggiunto che
molti manifestanti hanno insistito sulle dimissioni del governo e sulla
richiesta di nuove elezioni. Anche la Meloni ha alluso alla necessità di un
nuovo governo «scelto dai cittadini». Una polemica fondata sul misconoscimento
delle regole costituzionali, che prevedono lo scioglimento delle Camere solo
quando non è possibile una maggioranza scelta, appunto dai cittadini (che
invece, pur sgangherata com’è, indubbiamente c’è), ma soprattutto
completamente estranea al contesto attuale, dove l’inevitabile vuoto di potere
che si determinerebbe sarebbe un puro e semplice suicidio. In ogni caso, non si
tratta certo di un atteggiamento che miri alla collaborazione con l’attuale
esecutivo, come continuano a ripetere i leader dell’opposizione.
A mancare è
soprattutto la fiducia
Ma a preoccupare
Mattarella dovrebbero essere soprattutto le notizie che arrivano dal “Paese
reale”. Della classe politica, purtroppo, si conoscono da tempo i limiti. Ma il
coronavirus sembra aver colpito al cuore italiani. Lo dicono già i dati
relativi all’economia, che stenta a ripartire a livello produttivo soprattutto
per il crollo della domanda. Un crollo che, secondo gli analisti, è determinato
da un diffuso venir meno della fiducia. Gli italiani non spendono perché hanno paura
del futuro. E questo è più drammatico della pura e semplice dicesa del Pil.
Sondaggi ufficiosi,
ma purtroppo verosimili, parlano di una crescente disillusione nei confronti
sia del governo che dell’opposizione, che può tradursi in una disastrosa disaffezione
verso la democrazia. La rabbia cieca dei “gilet arancioni”, che hanno insultato
anche il capo dello Stato, evoca lo spettro di un’anti-politica che può solo
fare del male alla nostra Repubblica.
Disoccupati e
inoccupati
Ma forse ancora più
allarmanti sono i dati dell’Istat secondo cui ad aprile il tasso di
disoccupazione scende al 6,3% dall’8,0% di marzo. Si tratta del minimo dal
novembre del 2007. Sembrerebbe una buona notizia, e invece non lo è, perché
questa diminuzione non deriva dall’aumento dei posti di lavoro – anzi,
l’occupazione ha registrato una diminuzione di quasi 300 mila unità –, ma dal
fatto che ci sono state 484 mila persone in meno a cercare lavoro (-23,9%
rispetto a marzo), i cosiddetti “inoccupati” Un altro drammatico segnale della
sfiducia di cui parlavamo.
Ricominciare
dalla gente
Da dove
ricominciare? Inutile negare che la politica ha un ruolo determinante nel
provocare depressione e può averlo, viceversa, nel restituire speranza. Però,
da quello che abbiamo visto e che è ragionevolmente prevedibile – ormai,
in barba alle pretese dei 5stelle, il populismo ha dato vita a una nuova casta,
non meno consolidata della precedente (solo meno qualificata) –, non c’è da
aspettarsi che autonomamente cambi rotta.
Però, in democrazia,
i rappresentanti sono obbligati a tenere contro di coloro che rappresentano,
della gente. I sondaggi servono a questo. Forse è dal basso che qualche stimolo
salutare potrebbe venire. Da una politica che non sia quella delle segreterie di
partito e dei salotti televisivi (ormai divenuti il megafono dei leader), ma
quella dei cittadini, delle persone comuni, nella misura in cui si rendono
conto che, se non intervengono loro, la barca rischia di affondare.
È possibile sperare
che dei semplici cittadini, in un clima di confronto costruttivo sulla rete,
percepiscano la responsabilità del bene comune e facciano partire fra loro
quel dialogo cooperativo, libero da sterili polemiche, che il capo dello Stato
ha auspicato? E che, alla luce di questo sussulto di coscienza civile, facciano
pesare le loro esigenze di solidarietà nazionale sui rispettivi partiti di
riferimento, di destra o di sinistra che siano?
Non sono in grado di
rispondere a queste domande. Forse puntare su quello che dicevo è utopia. So
però che solo se gli italiani riusciranno a dar vita a un risveglio dal basso e
a far sentire la loro voce, il presidente della Repubblica non resterà solo a
sperare in un’Italia diversa.
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