Un uomo chiese a un monaco: «Che cosa ti insegna la tua vita
di silenzio? »,
Il monaco, che stava attingendo acqua da un pozzo, gli disse:
«Guarda giù nel pozzo! Cosa vedi?». «Non vedo nulla» rispose l’uomo. Passò un
po’ di tempo e il monaco gli ripeté: «Guarda ancora! Cosa vedi?». «Ora vedo me
stesso: mi specchio nell’acqua». Il monaco concluse: «Quando l’acqua è agitata,
non si vede nulla. Ora l’acqua è tranquilla. È questa l’esperienza del
silenzio: l’uomo vede se stesso!».
Semplice e illuminante parabola dei padri del deserto,
uomini che conoscevano il valore del vero silenzio, dato che vivevano nelle
solitudini della Tebaide egiziana: qualsiasi commento risulta inutile tanto la
scena è nitida nel suo significato simbolico.
Vorrei, allora, sottolineare solo
un tratto del racconto, quello che descrive l’acqua agitata nella quale non ci
si può specchiare né è possibile che in essa si rifletta la luce del cielo.
Ebbene, questo è proprio lo stato della nostra vita nella maggior parte dei
casi.
Siamo presi da tante cose, afferrati da preoccupazioni e da
frenesie. Come diceva san Giacomo nella sua Lettera, «bramate e non riuscite a
possedere e uccidete; invidiate e non riuscite a ottenere, combattete e fate
guerra» (4,2).
L’esistenza si trasforma in un tormento, si è sempre stressati e
agitati e soprattutto si sente affiorare spesso il sapore amaro
dell’insoddisfazione.
Gesù nel discorso della Montagna per ben sei volte
ripete: «Non affannatevi!» (Matteo 6,25-34) per concludere: «Cercate prima il
regno di Dio e la sua giustizia e tutte le altre cose vi saranno date in
aggiunta». E il regno di Dio è aperto a chi è semplice e sereno come un bambino
(Matteo 18,3).
Testo tratto da: G. Ravasi, Breviario laico, Mondadori
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