- "Vitali e in
evoluzione",
la realtà degli oratori nel rapporto Eurispes -
Luoghi di
"vitalità rinnovata" capaci di "creare una comunità di
riferimento". Lo afferma il 32mo Rapporto Italia presentato di recente a
Roma dall'Istituto di Ricerca Eurispes. Ne abbiamo parlato con don Michele
Falabretti, responsabile del Servizio nazionale di Pastorale giovanile della
Cei
di Emanuela
Campanile
"L’oratorio,
come dice la parola, è un luogo dove si prega, ma anche dove si sta insieme
nella gioia della fede, si fa catechesi, si gioca, si organizzano attività di
servizio e di altro genere, si impara a vivere, direi". La frase di Papa Benedetto XVI ai ragazzi e alle
ragazze della cresima, incontrati durante la Visita pastorale all'Arcidiocesci
di Milano nel 2012, viene riportata nell'introduzione alla scheda, dedicata
proprio agli oratori, del Rapporto Italia 2020. Una "realtà vitale - si
legge - multiforme, dinamica e operosa, che ogni giorno si prodiga per andare
incontro ai giovani". Ma per comprenderne a fondo il senso e coglierne
l'impatto sociale sul territorio, abbiamo chiesto l'aiuto di don
Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale di Pastorale
giovanile della Cei:
R.- Nell’immaginario
di tutti noi, l'oratorio è fatto da alcune aule per il catechismo, quindi la
primissima esigenza è anche quella di istruire i ragazzi. Pensiamo a San Filippo
Neri a Roma: quasi subito l’oratorio diventa un luogo dove si fa altro. Quindi,
la musica, Il canto, il teatro sono i primi strumenti - ne verranno altri
- che hanno l’obiettivo di fondo di fare comunità, cioè,
l’esperienza educativa di crescita della persona - questa è la convinzione del
sistema oratorio - passa attraverso la vita comune, la condivisione di
esperienze. Lì ci si forma, nelle relazioni e quindi l'oratorio ha assunto nel
tempo forme diverse. Diciamo che una serie di strumenti sono serviti a definire
questo unico obiettivo, che è quello di non lasciare sole le persone nei loro
percorsi di crescita. Penso per esempio - un esempio clamoroso - a quello che
fa San Giovanni Bosco a metà dell'800. In una Torino sovraffollata di orfani
che non sanno né leggere né scrivere, comincia a fare oratorio non facendo
catechismo, ma aprendo delle attività di scuola e di lavoro.
Nella sezione
dedicata appunto alla realtà degli oratori, è messa anche in evidenza “la
fioritura di nuovi oratori in molte regioni d'Italia”. Significa forse che
prima c’è stata una crisi della loro sul territorio?
R. - La crisi non è
in sé dell’oratorio, bisogna essere bravi a leggere questa cosa. Cioè, la crisi
nasce dal fatto che siamo in una società sempre più secolarizzata. Quale è la
conseguenza? Che il discorso religioso interessa di meno però, tutto quello che
permette alle persone di stare, di rimanere in relazione, è qualche cosa che
comunque continua ad attrarre a tenere insieme. Faccio un altro esempio per
passare dall'800 di Don Bosco, agli anni che stiamo vivendo. Oggi l'esperienza
che sta mostrando il valore delle dell'oratorio è l'estate. E l’estate, la
cosiddetta estate-ragazzi nasce da un bisogno molto concreto:
chiusa la scuola, le famiglie non sanno a chi affidare i figli e mentre un
tempo stare sulla strada non era un problema, oggi lo è, molto. Allora, il
fatto che la parrocchia, la comunità cristiana si inventi delle attività
riconoscendo che il tempo libero dalla scuola non è un tempo inutile ma può
essere un tempo interessante per vivere delle esperienze che fanno crescere
insieme, porta alla nascita - non automaticamente di oratori intesi come
strutture, ma di esperienze e, quindi, alla trasformazione dell'oratorio.
Perché? Perché innanzitutto questo è un meccanismo che c'è fin dalle origini:
prima l'esperienza poi muri. Non nasce prima l’ oratorio come struttura e poi
si decide cosa farci dentro. No, prima facciamo qualcosa, poi organizziamo gli
spazi.
Seconda cosa, questi
spazi rispondono a bisogni legati anche al tempo che si vive. Ho fatto
l'esempio dell'estate, ma non è l'unico. Penso agli spazi-compiti lungo
l'anno, a quelli per l'integrazione con gli stranieri, penso all'attività
sportiva. In tutto questo l'oratorio riesce, nel territorio, a recitare una
parte interessante proprio perché si adatta al bisogno di comunità che comunque
rimane.
C'è la
possibilità che anche l'oratorio, come altri luoghi di aggregazione tipicamente
giovanili, sia considerato un luogo a rischio per la possbilità di abusi?
R.- Fatto salvo il
principio che un solo caso è sempre troppo, io credo che
bisogna essere onesti su una cosa: l'oratorio è un luogo e un sistema educativo
che prevede un'azione di comunità. Quindi, l'oratorio normalmente è un luogo
molto affollato. È un luogo che ha, per definizione, tutta una serie di telecamere, di
controlli che sono gli occhi delle persone. Quindi, dipingere l'oratorio come
un luogo da film dell'orrore è scorretto perché le cronache non ci consegnano
questo. Non significa che qualche caso isolato non sia accaduto ma, in realtà,
quando si va a vedere questa cosa è poi avvenuta sotto altre forme e in altre
situazioni. L'oratorio non è perfetto in sé da questo punto di vista.
L'oratorio, però, ha tutta una serie di deterrenti che, almeno questo - santo
cielo - permette che non lo si descriva come un luogo abitato da mostri. Ecco,
questa era una prima cosa che mi sento di dire. In oratorio, veramente e
normalmente, ci sono porte aperte, c’è gente che gira ovunque e quindi questo
non lo rende un sistema educativo così esposto.
Sempre dal
Rapporto Eurispes, si legge che gli oratori sono anche “punto di ritrovo per
persone di tutte le età, etnia, lingua o religione”…
R.- Sì, perché ciò
che magari agli occhi di alcuni può sembrare un grande limite è, a mio parere,
la grande forza all'oratorio. L’oratorio ha alcune attività che sono il core
business, come si dice oggi in linguaggio aziendale, come, appunto, le attività
di culto e religione - la catechesi e la preghiera - ma non si entra in
oratorio solo se si è cristiani e battezzati. Se si è cristiani e battezzati si
frequenta il percorso di formazione ai sacramenti ma in oratorio entrano
ragazzi anche di altre culture e religioni, che giocano nel cortile che fanno
attività espressiva, che fanno sport che frequentano quegli spazi perché
l'oratorio offre un servizio alla persona legata all'estate-ragazzi, per
esempio. Aggiungerei, in riferimento agli adulti che si impegnano nel sostenere
la vita dell'oratorio, che alla fine scoprono il valore della dedizione e della
cura in un mondo dove l'inno imperante è che ognuno impari davvero
a farsi gli affari suoi.
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