7 febbraio - Giornata nazionale contro il bullismo e il
cyberbullismo.
Allarme nelle scuole: un ragazzo su quattro ne è stato vittima, come rivela l’inchiesta condotta dall’Osservatorio indifesa di Terres des Hommes e ScuolaZoo. Intervista al regista Stefano Girardi, autore del corto “Apri gli occhi”
Allarme nelle scuole: un ragazzo su quattro ne è stato vittima, come rivela l’inchiesta condotta dall’Osservatorio indifesa di Terres des Hommes e ScuolaZoo. Intervista al regista Stefano Girardi, autore del corto “Apri gli occhi”
di Roberta Gisotti – Città del Vaticano
Quattro ragazzi su
dieci hanno subito atti di bullismo, aggressioni fisiche e o psicologiche,
sempre più spesso postate anche on line, tanto che la paura di esserne vittima
assale ormai più di un adolescente su tre, ovvero il 40 per cento di oltre 8
mila studenti delle scuole secondarie in tutta Italia, intervistati nell’ambito
di una ricerca condotta all’Osservatorio indifesa di Terres des
Hommes e ScuolaZoo.
Vittime e talvolta anche carnefici
Bullizzati e bulli,
si scambiano talvolta i ruoli, il 10 per cento dei ragazzi ammette infatti di
essere stato anche carnefice, la percentuale dimezza tra le ragazze. Se il
bullismo colpisce in maggioranza i maschi, il cyberbullismo prende più spesso
di mira le femmine: una su tre ha l’incubo di essere adescata in rete e teme di
essere bersaglio di appellativi volgari. C’è poi il fenomeno del ‘trolling’,
subito da quasi il 10 per cento degli adolescenti, che sono oggetto di
provocazioni lanciate sui social, con messaggi irritanti, falsi, fuori tema
senza senso, col solo obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli
animi.
Vergogna, ansia, malessere
“Chi vive queste
esperienze – evidenzia lo studio - sviluppa sentimenti di vergogna, ansia e
malessere, anche fisico, e le conseguenze, come la bassa autostima, si possono
protrarre fino all’età adulta se l’adolescente non viene correttamente aiutato
a superare il trauma”. Per questo Paolo Ferrara, direttore di Terre
des Hommes ricorda che “la violenza tra pari, online e offline, è una realtà
con cui i nostri ragazzi e ragazze devono fare i conti. Realmente subìta, o
soltanto percepita, entra nelle loro vite, probabilmente li agita e li
condiziona e lascia dei segni sulla loro personalità”. “È una violenza –
aggiunge - fatta di contatto fisico, ma ancora più spesso è un attacco alle
proprie insicurezze, a quella identità che va formandosi, in modo sempre più
marcato, proprio negli anni dell’adolescenza”.
Capire e parlare il linguaggio dei ragazzi
In questa Giornata
non solo i ragazzi sono chiamati in causa ma soprattutto gli adulti, per lo più
‘estranei’ ai cambiamenti epocali di questa generazione. Come osserva Francesco
Marinelli, caporedattore di ScuolaZoo, il sito seguito da 4 milioni di
studenti, “noi viviamo ogni giorno i ragazzi, per questo conosciamo il loro
linguaggio; la Generazione Z non è quella che spesso viene dipinta: è invece
attenta ed altruista, si tratta solo di coinvolgerli nella maniera corretta e
utilizzare i loro canali. Noi lo facciamo quotidianamente e riusciamo a portare
loro i messaggi che le istituzioni e le associazioni vogliono trasmettergli”.
Giovani e adulti alleati
Giovani e adulti
devono dunque allearsi per contrastare un fenomeno in crescita nella società
digitale, che resta sovente silente, nonostante il cyberbullismo sia
configurato in Italia dal 1917 come un reato, che resta però impunito fin tanto
non venga denunciato e non sfoci in episodi drammatici che saltano agli onori
della cronaca.
Aprire gli occhi per cambiare
A rendere l’idea del
meccanismo semplice ma perverso che può rendere ragazzini ‘normali’ vittime o
carnefici o complici di atti di bullismo - che in un baleno si amplificano in
rete e divengono atti di cyberbullismo - è il video @pri gli Occhi# del
regista Stefano Girardi, che racconta l’aggressione di un ragazzino
da parte dei compagni in una mensa scolastica. Il corto, prodotto da Movie On,
correda la ricerca dell’Osservatorio indifesa.
R. - Il problema è
che nel bullismo e in particolare nel cyber bullismo esistono due generi di
carnefici: quelli di primo grado, che sono quelli che attuano personalmente,
anche fisicamente, la presa in giro o l’aggressione, e quelli di secondo grado,
cioè quelle persone che nella migliore delle ipotesi, per paura di essere anche
loro coinvolte, si girano dall’altra parte o peggio – e questo è proprio il
caso del cyberbullismo - condividono il contenuto dell’azione di bullismo, che
viene spesso filmato con dei telefoni, e lo amplificano, facendolo girare in
modo virale su altri cellulari e in rete, creando ancora più danno rispetto
all’atto di bullismo in sé, che - anche se grave - si esaurisce nel
momento stesso, mentre la parte virtuale, virale, continua a girare sulle
piattaforme sociale per sempre ipoteticamente. Quindi diventa un danno ancora
più grave, perché è visto da più persone e rimane a continuare a testimoniare
questa aggressività perpetuata nei confronti di una vittima.
Nel video si
evidenzia quasi - uso un termine forse improprio - l’innocenza dei protagonisti
che malversano il compagno, che pure si mostrano crudeli e l’incoscienza di
altri, fra loro, che diffondono sui social le immagini di questa aggressione e
di tutti quelli che stupidamente ci ridono sopra.
R. - Esatto. La
problematica, secondo me, specialmente in questa età – nel caso specifico del
corto sono studenti delle medie o primi anni delle superiori – è che questi
ragazzi non si rendono conto della gravità dell’atto; pensano, visto che sono
abituati ad essere tempestati di immagini di ogni genere, che quel filmato sia
un simulacro, un video come tanti altri; non riescono a vedere che dietro
quelle immagini c’è la storia di una persona che soffre. Quindi ci scherzano e
lo condividono. Questa ‘innocenza’ nei confronti dell’atto violento è un altro
atto violento, perché questi ragazzi non sono educati a comprendere le immagini
in modo critico. Le vedono e le girano senza pensare. Per questo il corto si
chiama “Apri gli occhi”, perché questi ragazzi non aprono veramente gli occhi;
se lo facessero non farebbero questo genere di condivisioni.
A spezzare
l’evoluzione drammatica del racconto è però una ragazzina che invece si
ribella, apre gli occhi. È dunque questione di affermare il valore del
coraggio, della solidarietà verso che subisce soprusi?
R. - Sì, perché poi
la storia ce lo insegna. A volte, come sta succedendo oggi nel caso del
pianeta, della coscienza ecologia, basta una sola persona come Greta Thunberg,
una ragazzina di 17 anni, per cambiare. Basta una sola persona che si ribella
ad innescare un’onda, in questo caso positiva. All’inizio del nostro corto
parliamo invece di un’onda negativa, perché alcuni hanno fatto un atto negativo
e lo condividono facendolo diventare sempre più grande; nello stesso tempo si
può anche combattere per contrastarlo e bisogna fare un primo passo. A farlo
può esser anche un singolo, perché questo poi ispira gli altri.
Nel video mancano
gli adulti.
R. - Sì, nel video
mancano proprio gli adulti perché parte di questo fenomeno è anche causata da
un’assenza educativa da parte degli adulti che siano genitori, insegnanti ….
C’è proprio una mancanza educativa. Spesso e volentieri lasciamo i nostri
ragazzi davanti a questi device, che siano cellulari o tablet senza curarci di
quello che guardano, quello che imparano e ciò su cui si formano. Questo è
molto grave. È quindi un’assenza voluta, visiva: è una presenza per assenza.
VATICAN NEWS
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