L’Esortazione sull’Amazzonia spiazza
gli opposti clericalismi
di
Giuseppe Savagnone *
Tutti aspettavano…
Ancora una volta papa Francesco
spiazza tutti e si conferma un pontefice che guarda lontano. Attendevano tutti
con febbrile impazienza questa Esortazione apostolica. I “conservatori” con
angoscia, per l’incombere di quella che a loro dire sarebbe stata la fine della
figura del presbitero, decretata dall’eventuale «abolizione del celibato»; i
“progressisti”, con speranza altrettanto febbrile, per la rimozione di quello
che a loro avviso costituisce un’assurda eredità del passato e un fattore
decisivo della crisi delle vocazioni e degli scandali di pedofilia e di
corruzione del clero.
Dell’Amazzonia, diciamolo pure, non
interessava niente a nessuno. Meno che meno, di ciò che, attraverso la realtà
dell’Amazzonia, tutta la Chiesa deve riscoprire riguardo alla sua identità e al
suo ruolo nel mondo contemporaneo.
I sogni del papa
E invece il papa ha parlato, nel
suo documento, proprio di questo. Non sono il celibato dei preti o il
sacerdozio delle donne il vero problema. La Chiesa non riesce più a parlare
alle persone. Non riesce più a rispettare la grande legge dell’incarnazione,
che pure dovrebbe costituire il suo DNA: «La predicazione deve incarnarsi, la
spiritualità deve incarnarsi, le strutture della Chiesa devono incarnarsi» (Querida
Amazonia, n.6)
Da qui i quattro “sogni” che il
papa ha voluto comunicare «al popolo di Dio e a tutti gli uomini di buona
volontà», che sono i destinatari del documento.
«Un’Amazzonia che lotti per i
diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi».
«Un’Amazzonia che difenda la
ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la
bellezza umana».
«Un’Amazzonia che custodisca
gelosamente l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna».
«Comunità cristiane capaci di
impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa
nuovi volti con tratti amazzonici» (n.7).
L’ultima espressione è la
chiave di lettura delle altre tre, in cui al posto di «un’Amazzonia» sarebbe
possibile leggere «una Chiesa». Ma forse, ancora più ampiamente,
«un’ umanità».
Il sogno sociale
Il primo sogno del papa è sociale.
In tempi bui, che vedono ovunque trionfare nel mondo lo spietato cinismo dei
più forti, la passività e a volte la complicità delle persone “oneste”, la
paradossale collaborazione di tante vittime, accecate dalla propaganda, con i
loro manipolatori, la voce di Francesco si leva alta e forte per denunziare un
neocolonialismo che si fa scudo delle leggi dell’economia per trasformare la
globalizzazione in una operazione a vantaggio dei ricchi e a danno dei poveri.
Bergoglio ricorda che «spesso erano
i sacerdoti coloro che proteggevano gli indigeni da assalitori e profittatori»
e sottolinea che «nel momento presente la Chiesa non può essere meno impegnata,
ed è chiamata ad ascoltare le grida dei popoli amazzonici» (nn.18-19).
Il sogno culturale
Il neocolonialismo si manifesta
anche come cancellazione delle culture più deboli e riduzione della terra
all’unica cultura dei dominatori. «La visione consumistica dell’essere umano,
favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende a rendere
omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro
dell’umanità» (n.33).
Il sogno ecologico.
«La cura delle persone e la cura
degli ecosistemi sono inseparabili» (n.42). A una cultura dello sfruttamento
illimitato bisogna sostituire quella della contemplazione. «Risvegliamo il
senso estetico e contemplativo che Dio ha posto in noi e che a volte lasciamo
si atrofizzi» (56).
Il sogno ecclesiale
E, alla fine – ma in realtà era
all’inizio – un sogno ecclesiale. «La Chiesa è chiamata a camminare con i
popoli dell’Amazzonia» (n.61), ma l’Amazzonia è la cifra, il simbolo di un
dramma planetario. Ciò non svuota minimamente lo spessore dei drammi e delle
sofferenze vissute dalle popolazioni di quel territorio, anzi ne valorizza la
portata universalmente umana.
La scarsità dei preti in Amazzonia
non dipende solo dal celibato
Ma il punto su cui papa Francesco
era più atteso era il problema della scarsità dei preti in Amazzonia. Era a
questo che si riferiva la richiesta dei padri sinodali di permettere
l’ordinazione di uomini sposati. La riposta dell’Esortazione è articolata, ma
non per questo meno incisiva.
Innanzi tutto il papa fa presente
che la carenza denunziata non riguarda tutto il continente sudamericano, il
quale anzi “esporta” presbiteri in gran numero, ma nelle regioni dove regna il
benessere e la vita è più facile: «Colpisce il fatto che in alcuni Paesi del
bacino amazzonico vi sono più missionari per l’Europa o per gli Stati Uniti che
per aiutare i propri Vicariati dell’Amazzonia» (nota 132). Da qui
l’invito, rivolto ai vescovi, «a essere più generosi, orientando coloro che
mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia» (n.90).
La comunità, non solo i preti!
In secondo luogo, l’Esortazione
osserva che «non si tratta solo di favorire una maggiore presenza di ministri
ordinati che possano celebrare l’Eucaristia. Questo sarebbe un obiettivo molto
limitato se non cercassimo anche di suscitare una nuova vita nelle comunità»
(n.93).
È tutta la comunità cristiana
che deve essere in grado di animare la vita della Chiesa. Certo, «c’è necessità
di sacerdoti, ma ciò non esclude che ordinariamente i diaconi permanenti – che
dovrebbero essere molti di più in Amazzonia –, le religiose e i laici stessi
assumano responsabilità importanti per la crescita delle comunità e che
maturino nell’esercizio di tali funzioni grazie ad un adeguato accompagnamento»
(n.92).
In particolare, c’è urgenza che vi
siano «responsabili laici maturi e dotati di autorità» (n.94). Un inveterato
clericalismo ci ha abituato a credere che tutti i problemi si risolvano solo
con la presenza dei presbiteri. Francesco sa bene che il sacerdote ordinato è
indispensabile per alcuni sacramenti, in particolare per l’eucaristia (cfr.
nn.87-89). Ma, in un mondo dove le vocazioni sacerdotali sono sempre di meno, chiede
ai cristiani – e non solo a quelli dell’Amazzonia! – di entrare in un nuovo
ordine di idee, dove i presbiteri hanno delle loro funzioni peculiari, ma
all’interno di una più ampia responsabilizzazione di tutta la comunità.
Il problema dell’ordinazione delle donne
Da qui anche la risposta implicita
a coloro che da tempo insistono per l’ordinazione delle donne. Bisogna, scrive
il papa, «evitare di ridurre la nostra comprensione della Chiesa a strutture
funzionali». In altri termini, a strutture di potere. «Tale riduzionismo ci
porterebbe a pensare che si accorderebbe alle donne uno status e
una partecipazione maggiore nella Chiesa solo se si desse loro accesso
all’Ordine sacro. Ma in realtà questa visione limiterebbe le prospettive, ci
orienterebbe a clericalizzare le donne, diminuirebbe il grande valore di quanto
esse hanno già dato e sottilmente provocherebbe un impoverimento del loro
indispensabile contributo»
È necessario entrare in una
prospettiva diversa. «In una Chiesa sinodale le donne, che di fatto svolgono un
ruolo centrale nelle comunità amazzoniche, dovrebbero poter accedere a funzioni
e anche a servizi ecclesiali che non richiedano l’Ordine sacro e permettano di
esprimere meglio il posto loro proprio (…). Questo fa anche sì che le donne
abbiano un’incidenza reale ed effettiva nell’organizzazione, nelle decisioni
più importanti e nella guida delle comunità, ma senza smettere di farlo con lo
stile proprio della loro impronta femminile» (n.103).
Opposti clericalismi
È clericalismo arroccarsi nel falso
dogma del celibato ecclesiastico. Ma lo è pure pensare che tutti i problemi
della Chiesa si risolvano abolendolo, per aumentare il numero degli
eccelsiasici. È clericalismo difendere il tradizionale potere degli uomini
dentro la Chiesa e la riduzione delle donne a ruoli subordinati. Ma lo è anche
pensare che l’unico modo di riscattare le donne da questa assurda situazione
sia di aprire loro le porte della “casta” dominante.
La sconfitta del clericalismo
passa, piuttosto, dall’abolizione della logica che ha spesso trasformato dei
“servitori” – come lo fu Gesù – in una “casta”. Puntare sull’ordinazione
femminile per dare anche a loro potere significa estendere ad un’altra categoria
di persone un ruolo viziato proprio dalla mentalità del potere, lasciando
“fuori” chi non vi viene assunto.
Non i preti, ma il popolo di Dio
Paragonata agli intrighi e alle
sterili polemiche che l’hanno preceduta, l’Esortazione di Francesco sembra parlare
un altro linguaggio. Qualcuno già accusa il papa di essersi “tirato indietro”.
Qualcun altro si illuderà di averlo condizionato e fermato con le proprie
minacce di scisma. Ma forse egli è solo rimasto fedele al Concilio e alla sua
profezia di una Chiesa capace di incarnare il vangelo nella storia e che
finalmente sia popolo di Dio e non gerarchia ecclesiastica.
*Direttore Ufficio Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo.
Scrittore ed Editorialista.
Scrittore ed Editorialista.
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