IL FEMMINISMO RIVOLUZIONARIO DI PAPA
FRANCESCO
Giuseppe Savagnone
Oltre la
retorica
Ha colpito tutti, nella prima omelia di papa
Francesco in questo nuovo anno 2020, – incentrata sul tema della dignità
della donna –, la forza e la concretezza con cui il pontefice ne ha parlato.
Assai meno frequente è stata un’analisi più attenta e approfondita di ciò che
distingue questo messaggio dai tanti, apparentemente simili, che oggi si
incontrano quotidianamente sui mezzi di comunicazione, e lo salva dalla
retorica.
La
maternità di Maria non riguarda solo il cielo, ma la terra
Una prima differenza sta nello spessore teologico
che ha caratterizzato la riflessione del papa. Il 1 gennaio per la Chiesa è la
solennità di Maria Madre di Dio. Ma questo mistero, nel discorso di Francesco,
non rimane un teorema celeste, perché ha un preciso riscontro terrestre: «Se
vogliamo tessere di umanità le trame dei nostri giorni, dobbiamo ripartire
dalla donna. Da lei [Maria], donna, è sorta la salvezza e dunque non c’è
salvezza senza la donna». La figura della Madonna diventa, in questa
prospettiva, una chiave di interpretazione per la nostra storia, che deve
puntare sulla dimensione femminile per recuperare la sua valenza umana.
L’orizzonte
cosmico della femminilità
In un tempo come il nostro, poco abituato a guardare
i particolari nell’orizzonte del loro senso ultimo, sono parole difficili da
capire. Ma esse riscattano la questione femminile dalla banale logica di una
rivendicazione para-sindacale e danno ad essa uno sfondo che le rende il suo
pieno significato.
Perché nella generazione del Cristo, Verbo di Dio,
da una povera ragazza ebrea, si è realizzato il compimento della storia non
solo dell’uomo, ma anche del cosmo. E alla luce di questo assume tutto il suo
significato che la nascita di Eva sia stata l’ultimo atto della grande vicenda
narrata nella Genesi: «La donna» – ha fatto notare il papa, «giunge al culmine
della creazione, come il riassunto dell’intero creato. Infatti racchiude in sé
il fine del creato stesso: la generazione e la custodia della vita, la
comunione con tutto, il prendersi cura di tutto».
Le
ricadute concrete della visione teologica
Non si tratta di un’evasione dalla realtà effettiva
di ogni giorno, ma di una sua rilettura, carica di conseguenze, che la
valorizza pienamente: «È proprio della donna prendere a cuore la vita. La donna
mostra che il senso del vivere non è continuare a produrre cose, ma prendere a
cuore le cose che ci sono. E solo chi guarda col cuore vede bene, perché sa
“vedere dentro”».
È un appello al rispetto della dignità della vita e
alla interiorità che la rende pienamente umana, oggi sa così spesso
dimenticata. Ma è anche un riferimento inequivocabile a una realtà sociale che
ha sostituito il primato della produzione («produrre cose») a quello della cura
dell’esistente («prendere a cuore le cose che ci sono»). Il problema ecologico
nasce precisamente da questo equivoco drammatico.
Un
femminismo che mette in discussione il sistema
E qui emerge la seconda differenza del femminismo di
papa Francesco da quello oggi “di moda”. Esso non si limita a rivendicare i
diritti delle donne, ma implica una forte critica a tutto l’assetto culturale
ed economico della società e individua in questo assetto la radice della
violazione di questi diritti.
Certo, nella sua omelia il pontefice denunzia con
grande energia la violenza nei confronti delle donne, partendo dallo sfondo
teologico che ne evidenzia la tragicità, ma al tempo stesso riferendosi ai concreti
fenomeni sociali in cui essa si manifesta: «Le donne sono fonti di vita. Eppure
sono continuamente offese, picchiate, violentate, indotte a prostituirsi e a
sopprimere la vita che portano in grembo. Ogni violenza inferta alla donna è
una profanazione di Dio, nato da donna».
Anche
la prostituzione e l’aborto sono violenza sulla donna
Si noti, però, che la denunzia del papa non riguarda
solo gli stupri e i femminicidi, di cui giustamente molto si parla, ma anche la
prostituzione e l’aborto – che la nostra società spesso considera invece una
espressione della libertà delle donne –, evidenziando il pesantissimo
condizionamento sociale che rende in realtà queste “scelte” assai meno libere
di quanto di pretenda.
Già qui comincia ad affiorare un importante spostamento
del focus, dalle prevaricazioni maschili – che ci sono – a quelle che vengono
da una cultura e da un contesto socio-culturale diffusi e spesso sostenuti e
alimentati anche da chi condanna le prime.
L’importanza
del corpo
In questo attacco al “sistema” Francesco ha dedicato
una particolare attenzione agli abusi che colpiscono il corpo femminile. Per
farlo è partito, ancora una volta, dalla prospettiva teologica, che, centrata
com’è sulla “maternità” di Maria, è intrisa di rifermenti alla corporeità
concreta: il corpo femminile «va rispettato e onorato; è la carne più nobile
del mondo, ha concepito e dato alla luce l’Amore che ci ha salvati!». «Dal
corpo di una donna è arrivata la salvezza per l’umanità: da come trattiamo il corpo
della donna comprendiamo il nostro livello di umanità».
Il
femminismo di Francesco contesta una società disumana
E quale sia il livello di umanità della società
consumistica in cui viviamo immersi lo abbiamo sotto gli occhi: «Quante volte»,
ha detto il papa, «il corpo della donna viene sacrificato sugli altari profani
della pubblicità, del guadagno, della pornografia, sfruttato come superficie da
usare». Il corpo della donna, ha sottolineato, «va liberato dal consumismo».
Il femminismo, in questa prospettiva, viene
riscattato dal rischio di rimanere la rivendicazione, da parte delle donne, di
condividere a pieno titolo i vantaggi della condizione degli uomini, così com’è
nella logica del neocapitalismo imperante, e diventa un femminismo che implica
una critica radicale a questa logica, evidenziando che proprio in essa stanno
le radici del disagio femminile – come, in altre modalità, di quello maschile.
“Prima
le donne”, non “prima gli italiani”
Ne consegue, fra l’altro, che questo discorso non
può essere circoscritto ai diritti “delle italiane”, ma riguarda ogni donna:
«Ci sono madri che rischiano viaggi impervi per cercare disperatamente di dare
al frutto del grembo un futuro migliore e vengono giudicate numeri in esubero
da persone che hanno la pancia piena, ma di cose, e il cuore vuoto di amore».
Qui la polemica non è contro i maschi, ma contro
tutte le persone – donne comprese – che «hanno la pancia piena, ma di cose, e
il cuore vuoto di amore».
L’amore è libertà, ma anche responsabilità
E l’amore – papa Francesco l’ha più volte ribadito
di fronte a chi continua a distorcere il suo messaggio – non è cieco e
indiscriminato “buonismo”, ma responsabilità. Di questa responsabilità la
“cultura dei diritti”, in cui spesso il femminismo corrente confluisce, rischia
di farci perdere il senso, identificandosi con una prospettiva individualista
che esalta i diritti senza i doveri – verso le persone, verso la giustizia,
verso il bene comune.
Così inteso, però, il femminismo finisce per
muoversi all’interno di un falso ordine precostituito, invece di contestarlo
alla radice. Una cultura dell’amore non si limita ad auspicare che le donne
diventino libere come oggi lo sono già gli uomini, ma propone un modello
diverso di libertà che sia anche reciproca responsabilità.
Francesco contro il maschilismo della Chiesa
Si potrà obiettare che, mentre la Chiesa predica
bene, di fatto razzola molto male, restando spesso, nella sua mentalità e nei
suoi stili interni, fortemente maschilista. Non è necessario essere laicisti
per considerare questa critica più che fondata. Lo testimonia il fatto che
proprio papa Francesco l’ha condivisa, cercando – con esiti alterni – di
vincere le innumerevoli resistenze che si oppongono a una reale trasformazione.
Nel marzo 2018, in una lettera, ha scritto: «Mi
preoccupa il persistere nelle società di una certa mentalità maschilista, mi
preoccupa che nella stessa Chiesa il servizio a cui ciascuno è chiamato, per le
donne, si trasformi a volte in servitù».
In particolare il papa ha avuto il coraggio di
affrontare il tema delicatissimo del ruolo delle suore, a volte adibite a
compiti di mera manovalanza all’interno di case di ritiri o di centri di
spiritualità, oppure negli episcopi, al servizio di vescovi e cardinali.
Con l’immediatezza che lo caratterizza,
nel maggio 2016, parlando all’Unione Internazionale Superiore Generali, ha
chiesto loro di avere il coraggio di dire “no” quando viene chiesta «una cosa
che è più di servitù che di servizio». «Quando si vuole che una consacrata
faccia un lavoro di servitù» – aveva insistito con forza – «si svaluta la vita
e la dignità di quella donna. La sua vocazione è il servizio: servizio alla
Chiesa, ovunque sia. Ma non servitù!».
Non è un punto d’arrivo, certo, ma è una
dimostrazione della coerenza e della serietà con cui questo pontefice si
rivolge oggi al mondo per avvertire che il cristianesimo, malgrado tutti i
tentativi di imprigionarlo negli schemi della conservazione, è rivoluzionario.
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