Lo studio di un gruppo di
ricercatori dell’ospedale pediatrico di Cincinnati ha dimostrato per la prima
volta la correlazione tra l’uso degli schermi e il mancato potenziamento di
certe aree del cervello, soprattutto quelle preposte alla comprensione e alla
produzione del linguaggio
Le raccomandazioni dell’Oms per i neonati
GIUSEPPE O. LONGO
Da
qualche tempo si era intuito che l’uso dei dispositivi digitali dotati di
schermo poteva avere effetti cospicui sul cervello, specie nel caso di bambini
in età prescolare. Ora si ha un’autorevole conferma del fenomeno grazie allo
studio condotto da un gruppo di ricercatori guidato dal dottor John S. Hutton,
direttore del Reading and Literacy Discovery Center dell’Ospedale Pediatrico di
Cincinnati, nell’Ohio. I risultati dello studio, pubblicati sul “Journal of theAmerican Medical Association” ( Jama) poco più di un mese fa, dimostrano che vi
è una correlazione tra l’uso degli schermi e il mancato potenziamento di certe
aree del cervello, specie quelle preposte alla comprensione e alla produzione
del linguaggio, confermando la validità delle raccomandazioni tese a limitare
il «tempo schermo», cioè il tempo passato davanti a uno schermo. Già
nell’aprile di quest’anno l’Organizzazione mondiale della sanità aveva preso
posizione rispetto al tempo schermo e aveva emanato un pacchetto di linee
guida. Le linee guida sono molto minuziose, al limite della pedanteria, come
dimostra questo esempio che interessa i bambini sotto l’anno di età: essi
devono svolgere attività fisica più volte durante l’arco della giornata, in
particolare giocando sul pavimento per almeno 30 minuti distribuiti in più
intervalli temporali, e non devono restare più di un’ora di seguito confinati
sul seggiolone o sul passeggino. L’Oms, inoltre, sconsiglia l’uso degli schermi
per questa fascia d’età e raccomanda invece l’ascolto di storie lette da un
adulto, in particolare da un genitore, pratica che rafforza il legame affettivo
e amplia la comprensione e la padronanza del vocabolario. È impressionante il
dato, fornito dall’Oms, che la scarsa attività fisica sia responsabile di oltre
5 milioni di morti l’anno ed è preoccupante che la sedentarietà sia più diffusa
tra gli adolescenti (80%) che tra gli adulti (23%), segno che
l’impigrimento tende a diffondersi tra i più giovani.
Gli
umani sono creature della narrazione e ciascuno di noi dalla nascita alla morte
non fa altro che narrare, narrarsi e farsi narrare delle storie, quindi è
grandissima l’importanza dei racconti per la formazione identitaria
dell’individuo, per la ricerca del senso del mondo e di noi nel mondo e per il
rafforzamento del legame affettivo tra il bambino e il lettore di storie, che
quasi sempre è un genitore.
Tornando
alle raccomandazioni dell’Oms, fino ai primi 3 mesi i piccoli debbono dormire
dalle 14 alle 17 ore (che miraggio per noi vecchi, tormentati dall’insonnia!) e
dalle 12 alle 16 ore devono dormire i bambini tra i 4 e gli 11 mesi... E così
via, in un susseguirsi di prescrizioni molto categoriche e rigide, la cui
precisione è stata contestata dai molti che sostengono che al crescere dell’età
dei soggetti la meticolosità dovrebbe essere sostituita da una sorta di
«libertà vigilata» che aiuti genitori e bambini ad accrescere il senso di
comunanza affettiva, senza privare i piccoli delle opportunità offerte dagli
schermi dei videogiochi, della Tv, dei tablet e via elencando.
Negli
Stati Uniti è stata fondata trent’anni fa la “Reach Out and Read”,
un’organizzazione che si propone di incoraggiare la lettura ad alta voce dei
genitori ai loro bambini, limitando il tempo schermo e facendo in modo che
nelle abitazioni vi siano zone prive di schermi, in particolare la stanza da
letto dei piccoli. Il cervello dei bimbi è condizionato dall’ambiente in cui
crescono e dallo stile di vita che conducono, di cui sono in gran parte
responsabili i genitori, tuttavia secondo Hutton non si devono demonizzare gli
schermi né tanto meno colpevolizzare i genitori, ma si deve trasmettere loro
questo messaggio: nei primi anni i genitori sono importantissimi, devono essere
presenti, interagire coi bambini giocando, parlando, cantando, facendo domande
e rispondendo e, soprattutto, leggendo ad alta voce. È convinzione ormai
diffusa tra i pediatri che lo sviluppo ottimale del cervello infantile richieda
una costante interazione con gli esseri umani, in particolare con i genitori.
È
probabile che, sotto il profilo diacronico, il cervello si sia evoluto, cablato
e sviluppato grazie a queste interazioni, quindi si deve fare in modo
che i piccoli le possano esercitare, perché ogni volta che si compie un’azione,
le connessioni neuronali corrispondenti ne sono rinforzate. Hutton sottolinea
che lo studio condotto dal suo gruppo è il primo che documenti una correlazione
tra il tempo schermo da una parte e le strutture cerebrali e le loro funzionalità
dall’altra. Peraltro si deve sottolineare che correlazione non significa
relazione di causaeffetto, che è un legame ben più forte, di carattere
deterministico. Inoltre, se esiste una relazione di causa-effetto, può darsi
che essa abbia a che fare non tanto con gli schermi quanto con ciò di cui il
tempo schermo prende il posto nella vita dei bambini, ma questo resta un punto
da approfondire.
Guidare
un’automobile non è in sé una pratica nociva, ma farla guidare da un piccolo di
quattro o cinque anni non è una buona idea. Così i tablet, in particolare, sono
così attraenti ed esclusivi che non dovrebbero finire nelle mani dei bambini in
età prescolare. Ciò, ribadisce Hutton, non comporta che gli schermi siano
intrinsecamente deleteri, ma poiché un cervello in pieno sviluppo è strutturato
dalle esperienze, è bene che i genitori scelgano le esperienze più utili e
costruttive per i loro figli e per la loro vita futura. E qui si torna all’idea
che la straordinaria plasticità del cervello infantile può essere sfruttata nel
modo più vantaggioso sotto il profilo strutturale e funzionale se il bambino si
esercita nella lettura, nell’ascolto e nell’invenzione di storie, nei giochi
all’aperto, mentre se il tempo schermo prende il posto delle interazioni con
gli altri esseri umani, in particolare con i genitori, è possibile che lo
stupefacente potenziale di plasticità cerebrale tipico dell’età infantile non
dia i frutti che potrebbe fornire.
In
particolare, poiché una delle capacità più straordinarie degli umani è la padronanza
del linguaggio parlato, è importante che le esperienze precoci rafforzino la
aree cerebrali che presiedono a questa funzione: l’area di Wernicke, addetta
alla comprensione del linguaggio, e l’area di Broca, addetta alla produzione
del linguaggio. Queste due aree linguistiche sono collegate tra loro da un
fascio di neuroni, il fascicolo arcuato, che garantisce uno scambio di messaggi
tra Wernicke e Broca. È superfluo sottolineare l’importanza sociale e culturale
del linguaggio. Senofonte attribuiva a Socrate queste parole: «Non hai mai
pensato che tutte le cose che per legge abbiamo imparato essere ottime, e per
le quali sappiamo vivere, tutte le abbiamo imparate per mezzo della favella?».
Ecco che l’esercizio della narrazione attiva e passiva rafforza le aree del
linguaggio e consente di sviluppare le interazioni sociali e il dialogo
interno, attribuendo un senso al mondo e a noi nel mondo.
Chissà
se la loro assidua attività di ricerca porterà prima o poi i neuroscienziati a
scoprire qualche area cerebrale che si comporti nei confronti degli schermi
come le aree di Wernicke e di Broca si comportano nei confronti del linguaggio
parlato... Si aprirebbero orizzonti scientifici e filosofici di vastità
inaudita.
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