A PROPOSITO
DI
SARDINE
-
di Giuseppe Savagnone
In una società che i
sociologi definiscono “liquida”, era appropriata la nascita di un fenomeno
autodefinitosi “le sardine”.
Dico “fenomeno” perché
loro negano di essere un partito anche semplicemente un movimento. Però ci
sono. Emersi d’improvviso dalla superficie di un mare, come quello della nostra
situazione politica – che sembrava non potesse ormai riservare più alcuna
sorpresa.
I giochi sembravano
fatti. Si sapeva già come sarebbe finita. Dopo aver perso una ad una le regioni
italiane, la Lega e suoi alleati si accingevano a conquistare l’ultima
roccaforte rossa, l’Emilia e Romagna, la più munita, e proprio per questo anche
quella che con la sua caduta dovrebbe simboleggiare la fine di un’era politica
e rendere inevitabile la caduta del governo.
Dalle crepe del vecchio emerge una vita nuova
In realtà può darsi che
sul piano elettorale finisca davvero così. Ma qualcosa di imprevisto è
accaduto. È accaduto che dalle crepe sempre più evidenti e inarrestabili delle
strutture politiche della sinistra, con i loro slogan ormai logori e astratti,
con la loro classe dirigente priva di fascino e di grinta, è prima trapelata,
poi dilagata, un’onda di vita che quelle strutture da tempo non rappresentavano
più e che scaturisce dal basso, dalla gente.
Finora di queste persone
“della strada” si era parlato solo come dei destinatari dei messaggi di paura e
di odio ideati dalla macchina propagandistica di Salvini contro i migranti. O,
prima ancora, del grido di rabbia di Grillo e dei 5stelle contro la “casta”.
L’Italia degli ultimi
anni è stata lo scenario di questa martellante propaganda, che ha fruttato
consensi a chi l’ha promossa e sembrava destinata a non trovare argini.
Al di là della rabbia e dell’odio
Ora ci sono degli
italiani – e sembrano davvero tanti – che contestano precisamente questo
odio e questa rabbia, che rifiutano il populismo come una forma di
imbarbarimento e rivendicano la legittimità della democrazia rappresentativa.
«Cari populisti, lo avete
capito. La festa è finita.
Per troppo tempo avete
tirato la corda dei nostri sentimenti. L’avete tesa troppo, e si è spezzata.
Per anni avete rovesciato bugie e odio su noi e i nostri concittadini: avete
unito verità e menzogne, rappresentando il loro mondo nel modo che più vi
faceva comodo».
E ancora: «Crediamo
ancora nella politica e nei politici con la P maiuscola. In quelli che pur
sbagliando ci provano, che pensano al proprio interesse personale solo dopo
aver pensato a quello di tutti gli altri. Sono rimasti in pochi, ma ci sono. E
torneremo a dargli coraggio, dicendogli grazie».
Sono parole del “Manifesto”
pubblicato in questi giorni dalle “6000 Sardine”. Dove il primo obiettivo è
quello di modificare il linguaggio della politica: «Per troppo tempo avete
spinto i vostri più fedeli seguaci a insultare e distruggere la vita delle
persone sulla rete».
Il coraggio della verità per svegliaci al
torpore
A dire queste cose non
sono i sostenitori di un partito opposto a Lega e Fratelli d’Italia. Non fanno
parte di un’altra e opposta macchina propagandistica.
Sono persone “normali”,
nella stragrande maggioranza giovani, ragazzi senza storie politiche alle
spalle, che hanno il coraggio di dire quello che è da tempo sotto gli occhi di
tutti, ma che una specie di torpore collettivo impediva di gridare ad alta voce.
È stato così che gli
italiani hanno potuto essere in parte spettatori imbelli, in parte complici, il
dilagare di uno stile di violenza inaudita che ha avuto come principali (anche
se non esclusivi) protagonisti i vertici e gli adepti dei partiti populisti,
“di sinistra” (i 5stelle) e “di destra” (Lega e Fratellli d’Italia). Fino a
considerare segno di responsabilità politica i vergognosi sarcasmi di un
ministro sugli sforzi disperati di povera gente per approdare a una vita un po’
migliore.
Lo sforzo d uno stile diverso
Il merito delle “Sardine”
è di avere finalmente protestato. E di avere smascherato, così, il pericolo di
un incombente regime culturale – prima che politico – caratterizzato dalla
volgarità e dalla mancanza di rispetto per l’umanità degli esseri umani.
La stessa formula del
flash mob, senza insulti, senza grida – il richiamo esplicito è al mutismo dei
pesci, che “parlano” con la loro presenza – è il tentativo, più o meno riuscito
(in realtà gli slogan ci sono ancora, e forse era inevitabile) di uno stile
diverso.
Non è detto che tutto
questo abbia immediate ripercussioni sull’esito delle elezioni in Emilia e
Romagna e di quelle in Calabria. Il Pd rimane poco credibile e il suo tentativo
di accreditarsi facendo leva su ciò che è accaduto a Bologna, sembra trovare
spazio soprattutto tra i nemici delle “Sardine”, ansiosi di dimostrare che
dietro di esse c’è l’uno o l’altro notabile della vecchia sinistra.
Intanto, però, migliaia
di giovani in queste settimane si stanno mobilitando in innumerevoli città
italiane, come sotto la spinta di un salutare contagio. È almeno il sintono che
alcune esigenze di fondo non sono morte, come lasciavano temere gli sterili
duelli tra i partiti, accomunati soltanto – malgrado le parole – a conservare
(chi ce l’ha) o conquistare(chi non ce l’ha e lo vuole a tutti i costi) il
potere (le famose “poltrone”).
La forza e il limite della morale
La forza, ma anche il
limite di questa “riscossa” è il suo carattere prevalentemente etico. «La
rivoluzione sarà morale o non sarà», diceva qualcuno. Da troppo tempo
l’autentica indignazione morale sembrava morta.
È stato possibile,
così, che gli italiani assistessero imperturbabili al rifiuto di una parte dei
nostri senatori di dare il proprio voto a una Commissione che nasceva per
combattere l’odio e il razzismo (nonché alla loro scelta di restare seduti e
non applaudire una superstite dei lager nazisti) e ascoltassero poi – senza
scoppiare in un’omerica risata collettiva – le risibili ragioni portate per
cercare i giustificarsi.
Ma la morale non può
sostituire la politica. E la battaglia culturale contro lo spirito della rabbia
e dell’odio non basta a delineare non dico un programma, ma neppure un progetto
in grado di indicare prospettive concrete.
Leggendo il manifesto
delle “Sardine”, ascoltando le loro interviste, questo limite balza agli occhi.
La loro sana indignazione
è una buona notizia, perché rivela la persistenza, nel nostro Paese, di
una diffusa capacità di distinguere l’umano dal non umano, ma ha come risvolto
l’assenza – e questa è una cattiva notizia – di un pensiero costruttivo.
Il problema della struttura politica
Del resto anche la loro
stessa identità strutturale è ancora talmente vaga – dicevo prima del loro
rifiuto di definirsi perfino “movimento”, figurarsi “partito” – da non consentire
di parlare di un vero e proprio soggetto. Certo, gioca la brevità dei tempi e
la sorprendente rapidità con cui tutto si sta verificando.
Ma resta il timore –
tutt’altro che peregrino – che raccogliere questa fioritura di iniziative
locali in una qualsiasi forma di organizzazione istituzionale sarà molto
problematico. E questo, paradossalmente, accomuna le “Sardine” alle logiche del
populismo che loro combattono.
Staremo a vedere. Per ora
ci godiamo uno scenario nuovo, che non potevamo neppure immaginare un mese fa,
dove tanta gente non ha paura di dire che essere “buoni” non è ridicolo, e che
essere “cattivi” è sbagliato e controproducente per il bene del nostro Paese.
Non sappiamo dove porterà. Ma è, in ogni caso, un bel regalo della “società liquida”.
Giuseppe Savagnone , Direttore Ufficio Pastorale della Cultura
dell'Arcidiocesi di Palermo.
Scrittore
ed Editorialista.
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