Recentissimi episodi di cronaca ci costringono
a riportare l’attenzione sul fenomeno, ormai quasi rimosso dai mass media e
dall’opinione pubblica, della diffusione della droga fra i giovani.
di Giuseppe Savagnone
Vicino Livorno una ragazza di 19 anni è morta in discoteca dopo aver ingerito delle pasticche, sembra di Ecstasy, insieme ad alcool.
Nei pressi di Palermo due ragazzi, uno di 16, uno di
17 anni, sono morti perché l’auto su cui tornavano dalla discoteca, guidata da
un ventenne risultato poi positivo ai test su alcool e droga, è uscita di
strada.
Un
fenomeno rimosso
Non si tratta di incidenti casuali. Il costante
aumento del consumo di droga tra i giovani è segnalato da tutte le statistiche.
Gli esperti segnalano che ormai diventa sempre più
frequente il passare con leggerezza da una droga all’altra, o l’assumere
sostanze senza nemmeno sapere di che si tratta, solo perché l’ha appena assunta
il tuo vicino.
Anche per l’enorme varietà di prodotti in circolazione,
dalla cannabis allo SPICE alle anfetamine alla cocaina (con un ritorno perfino
della “vecchia” eroina). Senza parlare di quelle droghe “legali” che sono
l’alcool e il fumo, di cui spesso si sottovaluta la gravità.
La
fragilità delle nuove generazioni
Questi dati ci avvertono che – malgrado l’immagine
rassicurante di Greta e dei milioni di ragazzi e ragazze che, sul suo esempio,
hanno dato in questi giorni una lezione di responsabilità agli adulti sui
problemi del clima – cresce la fragilità di fondo delle nuove generazioni sul
piano esistenziale e, con essa, l’enorme responsabilità che abbiamo verso di
loro anche sotto questo profilo.
Perché, al di là della desertificazione ambientale,
su cui la recente protesta studentesca ha incentrato la sua vibrante accusa, la
nostra società ne ha determinato un’altra, forse ancora più devastante – anche
se i giovani la subiscono a un livello troppo profondo dentro di loro per
riuscire a metterla a fuoco, pur soffrendola dolorosamente sulla propria pelle
–, ed è quella che riguarda il senso da dare alla propria vita.
Il
“senso” perduto
Le generazioni passate, nel complesso, erano
riuscite nell’impegno di trasmettere ai propri figli qualcosa – giusto o
sbagliato che fosse – in cui credere.
Si trattasse della fede religiosa, o dei princìpi
della morale borghese, o della patria, o della rivoluzione proletaria, si
cresceva all’interno di una visione complessiva della realtà che consentiva,
anzi richiedeva, l’orientamento della persona verso uno scopo oggettivo, in grado
di dare senso – nella duplice accezione di “significato” e di “direzione” –
alla sua esistenza.
Ancora le lettere scritte in carcere dai giovani
partigiani in procinto di essere giustiziati dai nazisti, testimoniano la loro
convinzione di non aver sacrificato invano la propria vita.
Valori
autoreferenziali
Oggi sarebbe difficile trovare qualcuno disposto a
morire per qualcosa di più grande di lui. E chi non ha niente per cui morire è
difficile che abbia qualcosa per cui vivere.
Sì, nella nostra cultura ci sono dei valori, ma a
guardare attentamente si scopre che sono per lo più caratterizzati da una
sostanziale autoreferenzialità: la libertà, ma intesa solo come mancanza di
impedimenti esterni, che spinge a rifiutare la responsabilità dei legami;
l’autenticità, che consiste nell’essere fedeli ai propri stati d’animo,
indipendentemente dagli effetti che le nostre azioni possono avere sugli altri;
l’autorealizzazione, che spesso rischia di far perdere di vista che un lavoro
non si fa innanzi tutto per realizzarsi, ma per rendere un servizio alla
società, e di cui l’autorealizzazione è solo una conseguenza, non il fine.
Il
rischio del narcisismo
È quella che Umberto Galimberti chiama «cultura del
narcisismo», associandola al nichilismo sempre più dilagante.
«La cultura del narcisismo (…) si compone con la
cultura del relativismo, per cui ciascuno, chiamato alla propria
autorealizzazione, deve decidere da sé in che cosa questa consista, senza che
nessuno debba o possa interferire in questa auto-determinazione (…). Ma
sbarrare la porta alle richieste provenienti dall’esterno dell’Io, accantonare
la storia, la natura, la società e ogni altro riferimento che non sia ciò che
l’Io trova in se stesso, significa sopprimere le condizioni per cui qualcosa è
più o meno rilevante e, nell’impossibilità di questa valutazione, sopprimere
anche le condizioni per l’esercizio della propria libertà ».
Non per nulla i giovani, sensibilissimi quando si
tratta di battaglie a livello planetario, come quello del clima, sono invece
estremamente restii a interessarsi di politica, non leggono i giornali,
disertano le assemblee studentesche..
La droga
come surrogato di una qualsiasi fede
E allora si capisce meglio perché la droga.
Naturalmente le ragioni immediate del ricorso ad essa possono essere le più
varie: la pressione o anche semplicemente l’esempio del gruppo; solitudine;
incomprensioni in famiglia; delusioni affettive; ansia da prestazione; o anche
semplicemente curiosità.
Ma sempre, in ultima istanza, la droga ha la
funzione di dare quella forza per vivere che un tempo veniva da una fede,
fondata o infondata che fosse.
In altri termini, a dei giovani a cui non è rimasto
molto in cui credere oltre se stessi, la droga consente di affrontare una vita
sempre più frenetica e competitiva malgrado la loro fragilità.
Da qui il ricorso alle pasticche, nelle estenuanti
nottate in discoteca, per reggere alla fatica del divertimento; oppure durante
la preparazione a un esame, per far fronte allo stress; oppure prima di fare
sesso, per sopperire al diffuso indebolimento della carica erotica e della
potenza sessuale.
Lo
“sballo”
Accanto a questa funzione “adiuvante”, la droga ne
ha anche una di “stordimento”.
Quello che si cerca, sotto questo profilo, è lo “sballo”
per se stesso, la perdita di coscienza, l’ebbrezza di una liberazione da ogni
peso e da ogni limite. Ancora una volta, la momentanea rivincita sul vuoto di
una vita priva di veri contenuti e di scopi, e in cui l’esperienza estatica
dell’incontro col vero, col bello, col bene, viene surrogata con quella
dell’ecstasy o di altre sostanze simili.
Sullo sfondo, la famosa canzone di Vasco Rossi.
«Voglio una vita maleducata Di quelle fatte così voglio una vita che se ne
frega che se ne frega di tutto sì. Voglio una vita spericolata voglio una vita
come quelle dei film. Voglio una vita esagerata la voglio piena di guai. E poi
ci troveremo come le star a bere del whisky al Roxy Bar..».
La droga
fa male
Fa pena che i ragazzi affascinati da questa
illusione di pienezza vitale siano in realtà condannati a un impoverimento
umano da tutti punti di vista. Perché la droga – qualunque droga – fa male.
C’è chi sottolinea i danni che queste sostanze – ma
ripeto, non bisogna dimenticare l’alcool e le comuni sigarette – arrecano alla
salute fisica e mentale. Alcune soprattutto, in una stagione della vita il
cervello si modella e assume la struttura adulta, possono avere effetti
deleteri sulle capacità cognitive, sulla memoria, sulla capacità di
concentrazione.
Per non parlare del condizionamento che deriva
dall’assuefazione e del pericolo mortale derivante dalla possibilità di
overdose. È riferendosi a tutto ciò, probabilmente, che Jim Morrison, il leader
del famoso gruppo musicale “The Doors”, notava: «Comprare droghe è come
comprare un biglietto per un mondo fantastico, ma il prezzo di questo biglietto
è la propria vita».
I desti
e i dormienti
Senza minimamente sottovalutare questi aspetti,
vorrei soprattutto sottolineare, però, che di tutto i nostri giovani hanno
bisogno, tranne che di qualcosa che li aiuti a stordirsi.
Già i ritmi di vita imposti dalla società e l’uso
indiscriminato delle nuove tecniche di comunicazione – computer, tablet,
smartphone –, tendono a distoglierci dalla riflessione e da una comunicazione
degna di questo nome, fondata cioè sulla reale capacità di capirsi a vicenda e
di confrontarsi in profondità.
Un antico pensatore, Eraclito, distingueva gli
uomini in «desti» e «dormienti». Il problema è terribilmente attuale. La vita
odierna ci anestetizza e ci rende sonnambuli.
Già per gli adulti questo è un dramma e la loro
testimonianza non può certo essere di aiuto alle nuove generazioni. Ma esse
sono ancora più indifese, perché non hanno neppure – come invece i loro
genitori –, la remota memoria dell’esperienza di un mondo diverso, dove si
parlava a tavola la sera, dove si pensava che la verità differisse dalla
menzogna, e ancora, in politica, si discuteva di idee, senza ridurre il
confronto a uno scambio di insulti.
Abbiamo
bisogno che i giovani restino svegli
Abbiamo bisogno di giovani che siano lucidi, per
sconfiggere le malattie dell’anima che noi adulti abbiamo sviluppato e che
stiamo trasmettendo loro. Il diffondersi della droga, in cui essi credono di
vedere una coraggiosa trasgressione, in realtà li indebolisce e segna la loro
resa all’esistente.
Il potere è grato di avere cittadini “fatti” e mezzo
addormentati a cui continuare a imporre la falsa democrazia di cui siamo
ostaggio. La nostra società ha bisogno di una profonda trasformazione che solo
dai giovani può venire. Per questo soprattutto dobbiamo chiedere loro di non
drogarsi, per restare svegli.
www.tuttavia.eu
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