GRANDI OCCHI CHE SUPPLICANO PIETÀ
di Giuseppe Savagnone
Ha
fatto il giro del mondo l’immagine del bambino curdo ricoverato nell’ospedale
di Hasakah, in Siria, i cui grandi occhi spalancati sono l’unico elemento
intatto di un volto sfigurato. La pelle è stata portata via, cancellata da uno
dei bombardamenti turchi sulla cittadina di Rais al-Ayn.
I medici dicono che queste ustioni
sono state probabilmente causate da bombe al napalm, quelle vietate dalla
convenzioni internazionali che, secondo i curdi, sono state usate dalle truppe
di Ankara nella loro offensiva.
Erdogan
lo nega. Ma quel che conta, al di là degli ordigni utilizzati, è che a essere
stati colpiti sono dei bambini. Nell’ospedale di Hasakak ce ne sono ricoverati
altri, anch’essi marchiati, in tutte le parti del corpo, dal fuoco scatenato
dai turchi, piccole creature – dicono gli inviati che li hanno visti – adagiati
in grandi letti dalle lenzuola azzurre, di cui il personale sanitario cerca di
lenire con ogni mezzo le sofferenze atroci e che resteranno probabilmente
segnati per sempre nella carne da ciò che è accaduto loro, improvvisamente, in
un giorno d’autunno del 2019, senza che essi possano comprenderne la ragione.
Una telefonata fra Trump ed Edogan
Noi sì, la conosciamo. Ma se anche
potessimo, non avremmo il coraggio di spiegare a quel bambino che la sua vita è
stata distrutta, insieme a quella di migliaia di altri esseri umani, perché un
giorno, improvvisamente – cogliendo di sorpresa i suoi stessi collaboratori –
il presidente degli Stati Uniti Trump ha comunicato per telefono al presidente
turco Erdogan che i soldati americani sarebbero stati ritirati dal confine tra
Siria e Turchia, dove erano arrivati con l’aiuto dei curdi nella loro lotta
contro l’Isis.
Con questa mossa si apriva la
possibilità per i turchi di scatenare un’offensiva per superare quel confine.
Ma pare che Trump, in quella telefonata, abbia fatto anche di più,
incoraggiando addirittura il suo collega turco con un atteggiamento di
particolare benevolenza e promettendo di superare i dissapori che si erano
creati dopo il recente acquisto da parte di Ankara di una partita di missili
prodotti dalla Russia.
Un cinico marchingegno diplomatico
Un modo, insomma, per restituire
calore a un legame diplomatico tra Usa e Turchia che si era parecchio
raffreddato, ma anche, dicono molti osservatori, per impegnare i turchi in
un’impresa in cui avrebbero potuto impantanarsi e distrarsi da altri obiettivi.
Insomma, un marchingegno diplomatico.
Particolarmente cinico, perché gli
Stati Uniti avevano avuto dai combattenti curdi un aiuto decisivo nella lotta contro
l’Isis e sapevano che, abbandonandoli, avrebbero esposti loro e le loro
famiglie a un massacro da parte delle preponderanti forze turche.
In realtà, una catastrofe politica…
Un marchingegno, però, “alla
Trump”, quindi dissennato. Il risultato di questa furbata, infatti, è stato
disastroso innanzi tutto per gli Stati Uniti, perché i curdi sono stati
costretti a lasciarsi sostenere dal nemico contro cui fino a ieri avevano
combattuto, insieme agli americani, il premier siriano Assad, il quale a sua volta
è sostenuto dai russi. Cosicché proprio i soldati di Mosca hanno potuto
riempire i vuoti lasciati dal ritiro di quelli statunitensi.
Inoltre, le migliaia di prigionieri
dell’Isis che erano sorvegliati dai curdi sono stati messi in condizione, dalla
loro ritirata, di tornare in libertà, resuscitando il fantasma dello Stato
islamico appena sconfitto.
E un boomerang per il presidente
americano
Ma la mossa di Trump è anche
ricaduta, come un boomerang, sulla sua persona, perché in America il tradimento
nei confronti dei curdi è stato preso malissimo dall’opinione pubblica e ha
suscitato le vivaci proteste di diversi senatori del partito repubblicano –
quello che sostiene il presidente –, particolarmente allarmanti per
quest’ultimo in un momento in cui da parte dei democratici è stato proposto un
procedimento di impeachment nei suoi confronti e ogni voto in Senato può essere
decisivo.
Il mancato aiuto dei curdi in Normandia
Da qui prima le maldestre
precisazioni volte a sminuire la portata del ritiro annunciato, poi l’annuncio
dei paletti posti all’operazione turca, poi le reiterate minacce di sanzioni
economiche se l’operazione non fosse stata fermata. Una penosa e confusa marcia
indietro che non ha potuto impedire le conseguenze politiche disastrose di cui
si parlava prima. Peggio di così…
Senza parlare delle ancora più
maldestre argomentazioni portate al presidente americano per sostenere che non
c’era stato da parte sua alcun vero “tradimento” di un alleato, per il semplice
fatto che i curdi non possono essere considerati, a suo avviso, degli
“alleati”.
È vero che sono stati valorosi
combattenti a fianco degli americani e più di loro nelle recenti battaglie
contro l’Isis, però, ha notato Trump – lasciando di sasso amici e avversari –
«i curdi non ci aiutarono nella Seconda Guerra mondiale, non ci aiutarono in
Normandia, per esempio».
Qualcosa di peggio
In realtà, qualcosa di peggio dei
disastri politici e delle pessime figure il marchingegno di Trump lo ha
provocato. Ne troviamo il segno nei corpi martoriati dei bambini curdi bruciati
dalle bombe dell’esercito turco. È stato il massacro o la fuga di migliaia e
migliaia di civili (250.000 gli sfollati), i cui villaggi sono stati investiti
dall’offensiva voluta da Erdogan contro quelli che lui da sempre definisce
“terroristi”.
Un popolo senza Stato
È vero che alcuni atti di
terrorismo i curdi in questi anni li hanno compiuti. E il terrorismo non può
essere mai giustificato per alcun motivo, perché uccide sempre degli innocenti.
Però, nel condannarlo senza “se” e senza “ma”, è giusto fare lo stesso con i
comportamenti violenti di chi lo provoca. E, nel caso dei curdi, questi
comportamenti sono di una gravità eccezionale.
Perché questo popolo è tra gli
ultimi gruppi etnici rimasti nell’attuale contesto geopolitico a non vedersi
riconosciuto l’identità di Stato, perché il territorio – il Kurdistan – su esso
si trova stanziato è in realtà distribuito sotto la sovranità di quattro Stati
– Turchia, Siria, Iran e Iraq, nessuno dei quali intende rinunziarvi.
C’è dunque un popolo, stimato tra i
25 e i 30 milioni di persone, che non ha una espressione politica e che da decenni
cerca disperatamente ottenerla, lottando contro l’ostilità dei Paesi che
dovrebbero concederla e contro l’indifferenza di tutti gli altri – le
responsabilità dell’Europa sono gravissime – , che preferiscono mantener i
buoni rapporti con quei Paesi. Salvo a sfruttare il coraggio e il valore
militare dei curdi quando ce n’è bisogno.
Le “ragioni” di Erdogan
È in questo quadro che va letta
l’offensiva di Erdogan. Essa, secondo gli osservatori, è stata lanciata anche
per motivi di prestigio personale, perché una guerra sovranista ottiene sempre
un largo margine di consenso, e il presidente turco, reduce dalla recente
sconfitta nelle elezioni del sindaco di Istanbul, ne aveva bisogno.
Ma il suo scopo era anche di
impedire che la creazione di un’area autonomamente gestita dai curdi nel nord
della Siria potesse costituire un’attrattiva per quelli sottoposti allo Stato
turco, col conseguente rafforzamento delle spinte separatista caldeggiate dal
partito filo-curdo. Nella fascia di territorio strappata ai curdi in questi
giorni, il presidente turco conta di trasferire le centinaia di miglia di
rifugiati siriani attualmente stanziati nei confini della Turchia, col duplice
vantaggio di liberarsene e di far stanziare, sulla terra dei curdi, gente che
non ha nessuna rivendicazione da avanzare. Insomma, una vera e propria “pulizia
etnica”.
Non possiamo raccontare questa storia
“ Ciliegina sulla torta” di questa
assurda guerra è la finta tregua, proclamata con enfasi ai media, ma ignorata
di fatto dai turchi, che hanno continuato imperterriti a colpire e ad avanzare.
L’unico che ha mostrato di crederci e ha esultato per questo immaginario
successo del proprio ruolo di pacificatore è stato Trump: «È un risultato
fantastico, ringrazio la Turchia, ringrazio i curdi, milioni di vite sono
salve».
Tornano alla mente gli occhi del
bambino senza nome ricoverato nell’ospedale di Hasakah. No, non avremmo, anche
potendo, il coraggio di raccontargli questa storia, per spiegargli perché il
suo volto è stato sfigurato e non ritornerà mai più ad essere quello di prima.
Perché dovremmo, come uomini, prima ancora che come occidentali, vergognarci.
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