di Giuseppe Savagnone
L’arrivo di
un’altra nave, questa volta italianissima, carica di 54 persone (tra cui 4
bambini e una donna incinta) raccolte al largo delle coste libiche, apre un
nuovo psicodramma, dopo quello creatosi con la Sea-Watch.
Si riapre il
duello tra una Ong – questa volta è «Mediterranea» – e il ministro Salvini,
reduce dalla dura sconfitta subita in quello, appena concluso, con la capitana
Carola Rackete, ma ancora risoluto a impedire lo sbarco dei migranti.
Anche se sta
diventando sempre più evidente che siamo chiamati ad assistere a una specie di
sceneggiata: ormai sappiamo – lo ha ribadito, tra gli altri, il sindaco di
Lampedusa – che gli sbarchi sull’isola da tempo si sono moltiplicati e che,
proprio mentre il nostro ministro degli Interni, fronteggiando la Sea-Watch,
giurava che nessun migrante avrebbe messo piede in Italia, dai barconi ne
arrivavano quasi ogni giorno molti di più di quelli bloccati a bordo della
nave.
I migranti che
arrivano e quelli che affogano
Il punto è che,
come i fatti dimostrano inequivocabilmente, attribuire alle Ong la
responsabilità di rendere possibili le traversate del Mediterraneo, come ha
fatto ostinatamente Salvini e, sulla sua scia, il tam tam dei social –
arrivando ad accusarle di essere complici degli scafisti nel traffico di esseri
umani – è utile per polarizzare su un “nemico” l’ostilità dell’opinione
pubblica, ma non rispecchia la realtà.
I migranti
arrivano comunque. Solo che, con la diminuita presenza delle navi delle Ong,
accade che una parte di loro muoiano annegati.
La tesi
governativa che bloccando le Ong ci sono meno morti è smentita dai fatti. È di
questi giorni la tragica notizia che un barcone con 85 persone a bordo è
affondato al largo della Tunisia. Solo 5 i superstiti.
Sarebbe
accaduto lo stesso, probabilmente, a quelli recuperati dalla Sea-Watch. Certo,
i problemi che sono nati dopo non sarebbero mai sorti, ma per il semplice
motivo che avremmo saputo da un trafiletto di cronaca dell’ennesimo naufragio
senza superstiti, a cui ormai abbiamo fatto l’abitudine.
Il problema
allora non sono le Ong
Quanto
all’accusa di essere d’accordo con gli scafisti, proprio recentemente nella
relazione fatta da Luigi Patronaggio, procuratore di Agrigento, alle
commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia della Camera, si sostiene
che «il legame tra Ong per i migranti e
scafisti non è mai stato dimostrato».
Non sono
competente per verificare la validità di una simile affermazione. Ma nessuno
finora, che io sappia, l’ha smentita con delle prove.
In ogni caso, è
chiaro, ormai, che il problema vero non sono le Ong (quali che possano essere
le critiche a loro carico). Primo, perché, come si è detto, i migranti arrivano
anche senza di esse.
Secondo,
perché, anche a prescindere da esse, una legge del mare antichissima, ribadita
e codificata nell’art.98 dell’ UNCLOS (acronimo del nome in inglese “United
Nations Convention on the Law of the Sea”), prevede che il comandante di una
nave «presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di
pericolo».
La nave
«Diciotti» non era di una Ong, ma della nostra marina militare. E parlare di
«salvataggi illegali», come fa con indignazione qualche nostro giornale, è
ridicolo.
Gli esseri
umani, se non annegano, sono un problema!
Il «Decreto
sicurezza bis», appena approvato, stabilisce agli articoli 1 e 2 limiti e
penali pesantissimi all’ingresso di queste navi soccorritrici nelle nostre
acque territoriali. Ma degli esseri umani, una volta che non sono stati sepolti
e nascosti dal mare, è difficile sbarazzarsi.
Anche la
sentenza della Corte europea, che non ravvisava gli estremi di un uno stato di
necessità per sbarcare quelli della Sea-Watch, obbligava però il governo
italiano «a fornire tutta l’assistenza necessaria alle persone in situazione di
vulnerabilità a causa dell’età o dello stato di salute che si trovano a bordo
della nave».
«Porti sicuri»
(parola di Salvini)
Salvini in
questi mesi ha spesso ripetuto che i migranti devono essere riportati in Libia,
da dove partono, e che questo Paese è «sicuro». Ma le reiterate dichiarazioni
dell’Onu e del Commissario per i Diritti umani del Consiglio di Europa, sulle
condizioni disumane dei campi libici – ora confermate dalla recentissima,
tragica notizia del bombardamento di uno di questi campi e della morte di 44
migranti là detenuti – hanno sempre smentito questa tesi.
Ora il ministro
degli Interni parla della Tunisia. Ma la Convenzione di Amburgo – ratificata
dall’Italia e che nel nostro ordinamento ha valore di legge, anzi, per l’art.
117 della Costituzione, superiore alla legge (quindi anche al “Decreto
sicurezza») – stabilisce che il soccorso si conclude solo con lo sbarco delle
persone in un porto sicuro, dove i diritti umani fondamentali dei migranti sono
loro garantiti.
Ora, come conferma
l’odissea della nave bloccata al largo delle coste tunisine con 75 naufraghi,
la Tunisia, pur essendo firmataria degli accordi di Ginevra, non è affatto un
«porto sicuro» perché non ha mai fatto una legge che attui effettivamente
questo principio e che permetta di chiedere protezione umanitaria.
Resterebbe tra
gli approdi vicini, Malta, che però è un’isola più piccola della città di
Milano e già ha una percentuale di 18,3 rifugiati ogni mille abitanti, a fronte
dei 2,4 dell’Italia. Può darsi che in qualche caso il ricorso ad essa possa
essere una via d’uscita diplomaticamente utile, ma è assurdo immaginarla come
una soluzione al problema delle migrazioni nel loro complesso.
Forse è meglio
cercarla, la collaborazione con l’Europa…
E allora?
Allora forse il ministro degli Interni farebbe meglio a partecipare alle
riunioni dei suoi colleghi europei, invece di disertarle, come ha fatto in
sette occasioni su otto, per impegni elettorali.
In questo modo,
invece di girare per le piazze a dire ai suoi sostenitori che l’Europa non ci
ascolta, potrebbe farsi ascoltare e rendere possibile quella collaborazione di
cui a gran voce ha sempre denunziato l’assenza, salvo poi schierarsi
sistematicamente con i Paesi sovranisti di Visegrad, che questa collaborazione
non la vogliono affatto.
L’abbandono
dell’illusione sovranista, coltivata finora dal nostro governo, sembra l’unica
soluzione possibile, al di là degli spettacolari duelli muscolari con la Ong di
turno, buoni forse per far aumentare i consensi elettorali, ma assolutamente
sterili ai fini di una soluzione reale del problema migratorio.
Del resto, le
elezioni europee e il nuovo assetto dell’UE hanno totalmente smentito i
bellicosi e trionfali proclami che davano per certa la “cacciata” della “casta”
franco-tedesca e l’avvento al potere, sulla scena europea, dei partiti
populisti. Il solo guadagno dell’Italia, in seguito a questa linea, è stato un
totale isolamento e la perdita di rappresentatività.
Al di là del
“buonismo” e del “cinismo”
Non basta,
però, un vero accordo con l’Europa. È in Italia che deve avvenire una svolta.
La contrapposizione tra “buonisti” di “sinistra” e “cinici” di “destra” ha
ormai mostrato tutti i suoi limiti.
La difesa dei
diritti umani, sostenuta come priorità dai primi, così come la realistica
considerazione che non possiamo accogliere tutti i poveri dell’Africa, fatta
valere dai secondi, non sono necessariamente incompatibili.
Si tratta di
prendere sul serio, dall’una e dall’altra parte, il principio, ribadito spesso
da papa Francesco, che un’accoglienza non è praticabile se non garantendo una
reale integrazione.
Quella operata
dai governi di “sinistra” è stata una falsa accoglienza, che ha creato
marginalità e ha indignato e allarmato gli italiani, preparando il terreno alla
reazione, altrettanto unilaterale, di chi ha eliminato anche quel po’ di
integrazione che si faceva, giustificando in questo modo il rifiuto drastico
dell’accoglienza.
Se il Pd
finalmente smettesse di vivere, parassitariamente, della critica puramente
negativa di quanto fa il governo ed elaborasse una seria proposta per
regolamentare i flussi migratori in rapporto alle nostre possibilità di
integrazione; e se la Lega, da parte sua, prendesse atto che l’interesse degli
italiani non è l’esclusione degli stranieri (gli ultimi dati demografici
dimostrano che fra poco senza di loro non potranno funzionare né il nostro
sistema previdenziale né la nostra scuola, per non parlare del mercato del
lavoro, specialmente nel settore delle badanti), ma l’eliminazione delle
disfunzioni che facilitano sfruttamento e criminalità – forse usciremmo
finalmente dallo sterile batti e ribatti polemico che ha dominato in questi
ultimi anni.
Per essere più
umani
L’Italia ha
bisogno di questo salto di qualità della sua classe politica. Ma è un salto che
deve avvenire, prima ancora, sui giornali, nell’opinione pubblica, nella gente
che scrive sui social, che fa le manifestazioni.
Il livello di
faziosità e di imbarbarimento del linguaggio e degli atteggiamenti pubblici mi
ha fatto ricordare che Platone, in un suo dialogo, indica il pudore come una
fondamentale virtù del cittadino.
Forse dobbiamo
riscoprire questa capacità di vergognarsi. Non solo per affrontare meglio il
problema delle migrazioni, ma per essere noi più umani.
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