L’antropologo
francese indaga le sfaccettature del “generare”: «Se procreare è riprodurre
l’identità, la creazione passa attraverso la prova dell’altro»
"L’educazione comprende una molteplicità di elementi: originariamente, prepara il bambino, poi l’adolescente, alla vita adulta; sotto questo aspetto, si configura come un’iniziazione alle pratiche e ai riferimenti culturali di una data società. Tuttavia, essa ha anche una vocazione che dovrà estendersi a tutti i giovani, indipendentemente dal loro sesso e dalla loro origine sociale: essa deve scuotere la loro coscienza critica e la loro coscienza di essere se stessi"
Generare: engendrer. La parola fa simultaneamente riferimento a due tipi di
azioni: la produzione e la riproduzione. Generare è riprodursi, il che
significa che qualcosa del genitore si ritrova nella sua creatura, qualcosa che
trasparirà in tutti i rappresentanti di una stessa discendenza. Detto
altrimenti, la generazione nuova si presume riprodurre quella dei suoi
predecessori e la riproduzione può esprimersi in termini di retaggio o di
eredità. Il termine è impiegato nel senso di creare e nel senso di procreare.
Nell’ottica cristiana, solo Dio è creatore (di tutte le cose); gli esseri
viventi procreano, si riproducono, la maggior parte di loro in egual misura,
anche se alcuni individui possono fare eccezione per qualche tratto fisico
particolare. Lo spazio umano è disparato e raggruppa individui diversi gli uni
dagli altri, anche se, per chiarire e spiegare delle somiglianze straordinarie,
si ricorre a dei riferimenti più vaghi – per esempio a delle rappresentazioni
della metempsicosi. Nei sistemi africani tradizionali, non è raro riconoscere
nel viso o nel corpo di un individuo delle tracce che rinviano ad un antenato
forse lontano. La procreazione sfugge, per molti versi, alla creazione pura e semplice. Generare: la produzione di qualcosa
chiama in causa tuttavia la totalità del suo autore. C’è da scommettere che
ogni atto di creazione autentica costituisca per il suo autore un maniera di
“firmarla”. Ma si è passati nello stesso tempo dall’idea di produzione a quella
di creazione. Non si genera un’opera di teatro o un libro; li si crea. Resta il
fatto che, soffermandosi successivamente sulla totalità dell’opera, vi si
rinverranno dei temi e delle forme che appartengono propriamente al suo autore
e che simultaneamente sembrano tradire insieme un’eredità e una personalità –
consentendo contemporaneamente di definire o di misurare una continuità, se non
addirittura una tradizione e una originalità. Si potrebbe sostenere, malgrado le
apparenze, che procreare, significa riprodurre l’identità, mentre la creazione
passa attraverso la prova dell’altro. Detto questo, l’originalità dell’umano
risiede nel fatto che coloro che hanno procreato si preoccupano in linea di
principio di coloro che hanno messo al mondo. Essi tendono ad ampliare il
significato dell’atto al quale corrisponde il termine “generare”: educare è la
conseguenza logica e necessaria del fatto di “mettere al mondo”. Ma l’educazione comprende una
molteplicità di elementi: originariamente, prepara il bambino, poi
l’adolescente, alla vita adulta; sotto questo aspetto, si configura come
un’iniziazione alle pratiche e ai riferimenti culturali di una data società. Tuttavia,
essa ha anche una vocazione che dovrà estendersi a tutti i giovani,
indipendentemente dal loro sesso e dalla loro origine sociale: essa deve
scuotere la loro coscienza critica e la loro coscienza di essere se stessi.
Nella vita sociale reale, le relazioni sono tradizionalmente più tese tra
generazioni successive che tra generazioni alterne : le difficoltà sono maggiori
tra padri e figli che tra nonni e nipoti; i nonni hanno in generale un rapporto
sereno e non problematico con i loro nipoti.
Se torno un
istante alla distinzione che ho tentato altrove di stabilire tra l’uomo individuale, l’uomo culturale e l’uomo generico, direi che l’educazione primaria è naturalmente volta all'apprendimento dei codici culturali elementari, ma che non ha, in linea di principio, la vocazione di formare individui compiuti e chiamati a superare le prescrizioni
eventualmente troppo rigide delle loro culture. I genitori, com'è naturale,
stanno dalla parte della procreazione; i nonni, che ne sono più distanti, sono
più vicini alla creazione e possono più facilmente distinguere in loro la
dimensione generica. Ad ogni modo, si può ritenere che, tutto sommato, e in
relazione alle comunità umane, la venuta al mondo si accompagna con delle
procedure di formazione che tendono, con dei risultati eterogenei, a formare
degli adulti che siano in grado di relativizzare, se non addirittura di
ignorare, in ogni caso di superare le prescrizioni culturali che sembrano essere ovvie. L’educazione
dovrebbe formare degli individui che tendono a ragionare in quanto individui
generici invece di ripiegarsi sui loro interessi particolari. Ora noi oggi viviamo in un mondo di
evidenze immediate in cui la globalizzazione ha per corollario l’estraneità nei
confronti dei messaggi forniti dai media. I social network sono dei luoghi di
scambi verbali che danno spesso l’illusione del confronto tra partner anonimi.
Le immagini della televisione ci offrono un ambiente erroneamente prossimo. Noi
intratteniamo con i responsabili del mondo una relazione apparentemente
familiare, dovuta al fatto che la televisione funge da intermediario alla loro
presenza. Allo stesso modo abbiamo una certa familiarità con qualche capitale
mondiale, anche se non vi abbiamo mai messo piede. Noi riconosciamo senza aver
necessariamente conosciuto. Questo mondo di apparenze è generato da un sistema
che ci capita di criticare, ma nel quale, in fin dei conti, troviamo i nostri
punti di riferimento, per quanto artificiali possano sembrarci. Chi ha generato
questo mondo? Degli scienziati esperti l’hanno progettato. Ma esso è vissuto e
sopravvissuto perché ha convinto i suoi “utenti” della sua necessità, del suo
carattere ineluttabile. La maggior parte degli individui ha la sensazione di
essere risucchiata dal futuro. O generata da esso. E questo è l’aspetto
interessante. E essenziale per il nostro avvenire.
Noi abbiamo la
convinzione di essere la vittima delle manovre di cui siamo, in effetti, gli
autori. Questo “noi”, è vero, rinvia a delle posizioni e a delle responsabilità
diverse. Ma è alla storia sociale reale che siamo allora rinviati. Niente
sarebbe più vano che lamentarsi dell’evoluzione del mondo nel quale viviamo;
bisogna prendere coscienza del fatto che l’uomo, l’uomo in generale, è il solo
responsabile del mondo in cui vive e che non ha cessato di mutare dopo la
comparsa degli uomini. La nostra responsabilità, oggi, è importante e diretta
nel campo dell’ecologia, dell’educazione e della demografia. Il lavoro da
compiere è della massima importanza. Ma avrà luogo, come sempre, tra “uomini”,
nel senso (bisogna precisarlo ?) generico del termine. Dovremo arrivare ad uno
stadio che alcuni cominciano a intravedere, quello a partire dal quale
l’umanità divenuta consapevole di se stessa si mobiliterà per salvare il
pianeta Terra. Se riusciranno nel loro intento, essi potranno ritenere di
essere riusciti a generare un mondo vivibile.
da www.avvenire.it
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