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sabato 6 luglio 2019

AUGE'. CREARE NON E' PRODURRE. L'EDUCAZIONE DEVE SCUOTERE LA COSCIENZA CRITICA

L’antropologo francese indaga le sfaccettature del “generare”: «Se procreare è riprodurre l’identità, la creazione passa attraverso la prova dell’altro»

"L’educazione comprende una molteplicità di elementi: originariamente, prepara il bambino, poi l’adolescente, alla vita adulta; sotto questo aspetto, si configura come un’iniziazione alle pratiche e ai riferimenti culturali di una data società. Tuttavia, essa ha anche una vocazione che dovrà estendersi a tutti i giovani, indipendentemente dal loro sesso e dalla loro origine sociale: essa deve scuotere la loro coscienza critica e la loro coscienza di essere se stessi" 

Generare: engendrer. La parola fa simultaneamente riferimento a due tipi di azioni: la produzione e la riproduzione. Generare è riprodursi, il che significa che qualcosa del genitore si ritrova nella sua creatura, qualcosa che trasparirà in tutti i rappresentanti di una stessa discendenza. Detto altrimenti, la generazione nuova si presume riprodurre quella dei suoi predecessori e la riproduzione può esprimersi in termini di retaggio o di eredità. Il termine è impiegato nel senso di creare e nel senso di procreare. Nell’ottica cristiana, solo Dio è creatore (di tutte le cose); gli esseri viventi procreano, si riproducono, la maggior parte di loro in egual misura, anche se alcuni individui possono fare eccezione per qualche tratto fisico particolare. Lo spazio umano è disparato e raggruppa individui diversi gli uni dagli altri, anche se, per chiarire e spiegare delle somiglianze straordinarie, si ricorre a dei riferimenti più vaghi – per esempio a delle rappresentazioni della metempsicosi. Nei sistemi africani tradizionali, non è raro riconoscere nel viso o nel corpo di un individuo delle tracce che rinviano ad un antenato forse lontano. La procreazione sfugge, per molti versi, alla creazione pura e semplice. Generare: la produzione di qualcosa chiama in causa tuttavia la totalità del suo autore. C’è da scommettere che ogni atto di creazione autentica costituisca per il suo autore un maniera di “firmarla”. Ma si è passati nello stesso tempo dall’idea di produzione a quella di creazione. Non si genera un’opera di teatro o un libro; li si crea. Resta il fatto che, soffermandosi successivamente sulla totalità dell’opera, vi si rinverranno dei temi e delle forme che appartengono propriamente al suo autore e che simultaneamente sembrano tradire insieme un’eredità e una personalità – consentendo contemporaneamente di definire o di misurare una continuità, se non addirittura una tradizione e una originalità. Si potrebbe sostenere, malgrado le apparenze, che procreare, significa riprodurre l’identità, mentre la creazione passa attraverso la prova dell’altro. Detto questo, l’originalità dell’umano risiede nel fatto che coloro che hanno procreato si preoccupano in linea di principio di coloro che hanno messo al mondo. Essi tendono ad ampliare il significato dell’atto al quale corrisponde il termine “generare”: educare è la conseguenza logica e necessaria del fatto di “mettere al mondo”. Ma l’educazione comprende una molteplicità di elementi: originariamente, prepara il bambino, poi l’adolescente, alla vita adulta; sotto questo aspetto, si configura come un’iniziazione alle pratiche e ai riferimenti culturali di una data società. Tuttavia, essa ha anche una vocazione che dovrà estendersi a tutti i giovani, indipendentemente dal loro sesso e dalla loro origine sociale: essa deve scuotere la loro coscienza critica e la loro coscienza di essere se stessi. Nella vita sociale reale, le relazioni sono tradizionalmente più tese tra generazioni successive che tra generazioni alterne : le difficoltà sono maggiori tra padri e figli che tra nonni e nipoti; i nonni hanno in generale un rapporto sereno e non problematico con i loro nipoti.
Se torno un istante alla distinzione che ho tentato altrove di stabilire tra l’uomo individuale, l’uomo culturale e l’uomo generico, direi che l’educazione primaria è naturalmente volta all'apprendimento dei codici culturali elementari, ma che non ha, in linea di principio, la vocazione di formare individui compiuti e chiamati a superare le prescrizioni eventualmente troppo rigide delle loro culture. I genitori, com'è naturale, stanno dalla parte della procreazione; i nonni, che ne sono più distanti, sono più vicini alla creazione e possono più facilmente distinguere in loro la dimensione generica. Ad ogni modo, si può ritenere che, tutto sommato, e in relazione alle comunità umane, la venuta al mondo si accompagna con delle procedure di formazione che tendono, con dei risultati eterogenei, a formare degli adulti che siano in grado di relativizzare, se non addirittura di ignorare, in ogni caso di superare le prescrizioni culturali che sembrano essere ovvie. L’educazione dovrebbe formare degli individui che tendono a ragionare in quanto individui generici invece di ripiegarsi sui loro interessi particolari. Ora noi oggi viviamo in un mondo di evidenze immediate in cui la globalizzazione ha per corollario l’estraneità nei confronti dei messaggi forniti dai media. I social network sono dei luoghi di scambi verbali che danno spesso l’illusione del confronto tra partner anonimi. Le immagini della televisione ci offrono un ambiente erroneamente prossimo. Noi intratteniamo con i responsabili del mondo una relazione apparentemente familiare, dovuta al fatto che la televisione funge da intermediario alla loro presenza. Allo stesso modo abbiamo una certa familiarità con qualche capitale mondiale, anche se non vi abbiamo mai messo piede. Noi riconosciamo senza aver necessariamente conosciuto. Questo mondo di apparenze è generato da un sistema che ci capita di criticare, ma nel quale, in fin dei conti, troviamo i nostri punti di riferimento, per quanto artificiali possano sembrarci. Chi ha generato questo mondo? Degli scienziati esperti l’hanno progettato. Ma esso è vissuto e sopravvissuto perché ha convinto i suoi “utenti” della sua necessità, del suo carattere ineluttabile. La maggior parte degli individui ha la sensazione di essere risucchiata dal futuro. O generata da esso. E questo è l’aspetto interessante. E essenziale per il nostro avvenire.
Noi abbiamo la convinzione di essere la vittima delle manovre di cui siamo, in effetti, gli autori. Questo “noi”, è vero, rinvia a delle posizioni e a delle responsabilità diverse. Ma è alla storia sociale reale che siamo allora rinviati. Niente sarebbe più vano che lamentarsi dell’evoluzione del mondo nel quale viviamo; bisogna prendere coscienza del fatto che l’uomo, l’uomo in generale, è il solo responsabile del mondo in cui vive e che non ha cessato di mutare dopo la comparsa degli uomini. La nostra responsabilità, oggi, è importante e diretta nel campo dell’ecologia, dell’educazione e della demografia. Il lavoro da compiere è della massima importanza. Ma avrà luogo, come sempre, tra “uomini”, nel senso (bisogna precisarlo ?) generico del termine. Dovremo arrivare ad uno stadio che alcuni cominciano a intravedere, quello a partire dal quale l’umanità divenuta consapevole di se stessa si mobiliterà per salvare il pianeta Terra. Se riusciranno nel loro intento, essi potranno ritenere di essere riusciti a generare un mondo vivibile.


da  www.avvenire.it





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