di Salvatore Mazza
È l’8
luglio del 2013. Bergoglio, quattro mesi dopo la sua elezione a Papa, esce per
la prima volta dal Vaticano. La destinazione è Lampedusa, dove ha «sentito che
dovevo venire a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a
risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta». Era
stata una decisione quasi improvvisa, la sua: pochi giorni prima un’altra
carretta del mare, l’ennesima, era affondata trascinando sul fondo il suo
carico umano. «Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? –
avrebbe detto nella omelia della Messa celebrata quel giorno – Nessuno! Tutti
noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io.
Ma Dio chiede a ciascuno di noi: 'Dov’è il sangue del tuo fratello che grida
fino a me?'. Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo
perso il senso della responsabilità fraterna... In questo mondo della
globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo
abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è
affare nostro!... Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del
piangere, del 'patire con'... Domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla
nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi,
anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che
aprono la strada ai drammi come questo.
Signore,
che sentiamo anche oggi le tue domande: 'Adamo dove sei?', 'Dov’è il sangue di
tuo fratello?'».
Lunedì,
nel sesto anniversario di quella visita, Francesco celebrerà una
Messa a San Pietro per «quanti hanno perso la vita per sfuggire
alla guerra e alla miseria», presenti solo circa 250 persone tra
rifugiati e volontari. Solo loro, perché il Papa «desidera che il momento sia
il più possibile raccolto». In questi sei anni molte cose sono certo
cambiate: oggi sappiamo che i migranti sono il vero problema dell’Italia,
e se non fosse per loro non ci sarebbero italiani poveri
né
disoccupati. Sappiamo che in realtà non fuggono da guerra e fame, ma sfidano la
morte per avere il wi-fi gratis, e per delinquere, e sappiamo anche che i
volontari che li soccorrono quando fanno finta di affogare sono i veri
criminali. Sappiamo oggi che il Papa, che da sei anni continua a invitarci
all’accoglienza, 'fa politica' quando invece 'dovrebbe occuparsi della salvezza
delle anime', e allora è giusto fischiarlo in piazza, perché ci hanno spiegato
che la solidarietà è sbagliata, è cattiva, e per questo l’hanno fatta diventare
un reato in nome della nostra sicurezza; e dunque chi predica la solidarietà,
secondo il Vangelo, è un istigatore al male. E se si può fischiare il Papa e la
Chiesa, a maggior ragione si può rovesciare ogni sorta di insulti su chi la
pensa altrimenti, su chi prova a tendere la mano, su tutte le Carola del mondo.
In
sei anni davvero molte cose sono cambiate. Non solo siamo indifferenti, ma
abbiamo imparato persino a odiare, avvelenati dalla paura alimentata da chi ha
pensato, speculando sulle menzogne, di potere cavalcare questa tigre
impunemente, incurante del fatto che chiunque ci abbia provato presto o tardi è
stato disarcionato.
Per
questo, lunedì, preghiamo con il Papa per «quanti hanno perso la vita per
sfuggire alla guerra e alla miseria» e per i volontari. Ma preghiamo anche per
chi semina l’odio, perché capisca quanto tragiche possano essere le
conseguenze. E preghiamo senza curarci di chi sostiene che siamo in minoranza:
pochi giorni prima di finire sulla croce Gesù fu esposto al balcone con
Barabba, e la folla gli preferì il ladro. Però sappiamo come è andata poi a
finire.
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