La trasformazione dell’idea di 'libertas' ai tempi
della globalizzazione
La libertà nell’era ipermoderna non può fare a meno
della verità.
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Gli individui
talvolta si sentono spossessati di una soggettività che esprimeva la loro
identità.
L’uniformazione
comporta deformazione. Oggi pare sparito un pensiero che faccia appello alla
coscienza, al 'foro interno', alla radice di verità che nutre l’anima umana, la
sua fede e la sua storia.
Viviamo nel carnevale della libertà: tempo in cui
le categorie di pubblico e di privato si rovesciano e si confondono, in cui il
virtuale e il reale si compattano. Ma senza un’assunzione di responsabilità il
destino va alla deriva.
di
Giancarlo Ricci
Tema centrale e nevralgico, quello della libertà
nella nostra epoca. Inoltre, cosa inquietante, diversi constatano una sua lenta
ma inesorabile metamorfosi a partire dall’era della globalizzazione. In fondo
l’istanza della libertà rappresenta il cuore pulsante di ciascun essere umano e
al contempo di ogni società civile. Ripercorrere la tortuosa storia del
concetto di libertà nel corso dei secoli è un’avventura ricca di sorprese.
Non c’è filosofo, pensatore, saggista, teologo che,
soprattutto a partire dall’Era dei Lumi e degli albori della costituzione dello
Stato moderno, non intervenga sulla questione della libertà, e spesso per fare
i conti con il complesso e dibattuto tema della secolarizzazione, del laicismo,
della potestas.
Man mano
che nell’orizzonte del pensiero moderno il riferimento religioso e culturale
all’idea di Dio si indebolisce, gli umani sono costretti a mettere a punto,
attraverso gli strumenti del diritto e delle istituzioni, un diverso concetto
di libertà che leghi l’uomo alla propria responsabilità diretta, e che
ugualmente faccia i conti con un’autorità superiore. C urioso:
la storia del concetto di libertà non è rettilinea, procede piuttosto per
svolte improvvise, zone d’ombra, strane dimenticanze. Nel mondo dell’antichità
classica greca e romana la solida istanza della libertà si svolgeva
essenzialmente in funzione di un ambito pubblico connesso alla gestione della
Polis. Nell’epoca successiva, ossia nel cristianesimo, si afferma – molti
sembrano dimenticarlo – un concetto nuovo di liber- tas che,
lungo la dissoluzione dell’ethos pagano e la maturazione del concetto di humanitas, introduce
la sfera della coscienza dove il mondo dell’interiorità e del legame con la
fede diventano riferimenti decisivi in ogni scelta soggettiva. La svolta del
cristianesimo è stata ed è il diritto dell’uomo soggetto e persona.
La nuova prospettiva della libertas
christiana distingue, tra l’altro, l’ambito del 'foro interno' da
quello del 'foro esterno': il primo riguarda l’interiorità spirituale e
religiosa della coscienza e il secondo la scena pubblica e civile
dell’individuo. Sullo sfondo di questa distinzione si porrà successivamente la
complessa questione di stabilire un ordine nella libertà in base alla
priorità delle due autorità della Chiesa e dello Stato. La storia medievale e
quella moderna saranno dominate da questa strisciante conflittualità. E oggi?
La modernità promuove un’ipertrofia della libertà. Occorre tuttavia distinguere
tra il Novecento e l’attuale era della globalizzazione. In fondo l’uomo
novecentesco si accorgeva di perdere la propria libertà e combatteva per
conquistarla. Era una guerra totale e totalitaria: conquistare la libertà
equivaleva alla possibilità di poter continuare a sopravvivere. Nel regno delle
ideologie, l’ideale di libertà istituiva una sorta di legame patologico che
spesso sfociava in un nichilismo realizzato fatto di distruzioni e massacri.
Nell’ipermodernità si afferma invece un altro volto
del nichilismo: offrire bulimicamente ogni forma di libertà facendola
coincidere con la scelta obbligata di nuovi consumi, nuovi desideri, nuovi
piaceri. La libertà diventa un diritto, un orpello narcisistico, una cinica conferma
autoreferenziale. Questa libertà, ridotta a capriccio e poi a merce, svende
l’idea di 'credersi liberi'. Da qui al trionfo dell’autodeterminazione il passo
è breve: ritenere che la nostra libertà prescinda e possa fare a meno di quella
altrui, credere che il volere individuale possa trascendere la nostra memoria o
la nostra storia. L’offerta a gettito continuo di nuove libertà all
inclusive, conforta il cittadino e lo convince di poter fare a meno di
ogni responsabilità. L’ipermodernità sembra essere riuscita, inflazionando le
libertà, a neutralizzare l’istanza della responsabilità in cambio di una
promessa di sicurezza e di benessere. Intanto accumuliamo libertà, quasi le
collezioniamo. M a di quali libertà stiamo parlando? Nella scena sociale
lo constatiamo sempre più facilmente: simile idea di libertà produce
spesso disagio,angoscia, depressione, demotivazione. Gli individui talvolta
si sentono spossessati di una soggettività che esprimeva la loro
identità. L’uniformazione comporta deformazione. A tal proposito non
possiamo fare a meno di evocare qui i celebri e paradigmatici versi di
Giovanni secondo cui 'la Verità rende liberi' (Gv 8,32). Ecco un
punto
centrale e imprescindibile: la connessione tra
libertà e verità. Motore di ogni atto di libertà, l’istanza di verità, nell’era
della libertà globalizzata sembra oscurata o considerata superflua. In effetti
una libertà che non abbia salde le proprie radici nel terreno della verità lascia
il tempo che trova, si perde in un indifferenziato relativismo, si avvilisce in
estenuanti autoreferenzialità. I l celebre polemista
mitteleuropeo del secolo scorso, Karl Kraus, scriveva: «La libertà di pensiero
ce l’abbiamo, adesso ci vorrebbe il pensiero». Battuta di grande attualità. La
nostra società sembra essere in difficoltà in materia di pensiero. Pare svanito
un pensiero che sia all’altezza delle numerose complessità che attraversiamo:
un pensiero come progetto sociale, civile, culturale, politico, un pensiero
come programma di civiltà, come disegno di logiche e di relazioni
effettivamente cooperanti. Soprattutto pare sparito un pensiero che faccia
appello alla coscienza, al 'foro interno', alla radice di verità che nutre
l’anima umana, la sua fede e la sua storia.
Il tempo della post libertà pare esigere che tutto
debba consumarsi entro il perimetro coatto del 'foro esterno'. Ormai uomini
postmoderni e globalizzati, viviamo nel carnevale della libertà: tempo in cui
le categorie di pubblico e di privato si rovesciano e si confondono, in cui il
virtuale e il reale si compattano diventando uno la finzione dell’altro. In
questa logica si consuma una drammatica constatazione: senza un’assunzione di
responsabilità il destino va alla deriva al punto da sembrare ineluttabile e
fornendo l’alibi secondo cui ogni presa di responsabilità risulta inane,
inutile. Si preferisce chiamarsi fuori dalla complessità del mondo, della
coscienza, dell’anima umana. Che cosa è la verità? Una terribile complicazione
che è meglio consegnare al politicamente corretto in grado di rendere le cose
neutre, uguali tra loro, indifferenziate, senza più la necessità di scegliere,
di esporsi e di testimoniare il proprio essere al mondo. Così, come un gioco di
prestigio, ugualmente sparisce ogni traccia di responsabilità.
Siamo entrati nel tempo della post libertà. La
società contemporanea tende a inflazionare la libertà affinché l’uomo
contemporaneo creda di essere libero e di avere a portata di mano qualsiasi
scelta. Ma quando tutto sembra possibile la libertà implode, si svuota dal suo
interno e muore di troppa libertà. Pensata senza limiti, la libertà diventa
mortifera, un inferno. La vita si spegne, pulsa di insofferenza, risulta non
più vivibile.
Tale mortificazione è da porre al centro della
riflessione e dell’esperienza psicanalitiche. Il lavoro analitico e clinico
possono essere letti come un lavoro che punta a riattivare un livello vivibile
di libertà, come il percorso in cui un soggetto prova a ritessere il proprio
destino, a riscriverlo, a riprogettarlo partendo da un’istanza che scaturisce
da una responsabilità altra, forgiata da una consapevolezza senza compromessi e
impedimenti. In definitiva si tratta di un lavoro di libertà che scaturisce
dall’incontro con il desiderio di progettare una libertà Altra che
abbia il sapore di una conquista perenne: per un soggetto riuscire a tollerare
la fatica e la soddisfazione di riconquistare una libertà mai immaginata. E
risponderne.
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