SETTIMANA PER L'UNITA' DEI CRISTIANI
Quando la società non ha più come fondamento il principio della solidarietà e del bene comune, assistiamo allo scandalo di persone che vivono nell’estrema miseria accanto a grattacieli, alberghi imponenti e lussuosi centri commerciali, simboli di strepitosa ricchezza. Ci siamo scordati della saggezza della legge mosaica, secondo la quale, se la ricchezza non è condivisa, la società si divide.
Papa Francesco: Oggi ha inizio la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani,
nella quale siamo tutti invitati a invocare da Dio questo grande dono.
L’unità dei cristiani è frutto della grazia di Dio e noi dobbiamo
disporci ad accoglierla con cuore generoso e disponibile. Questa sera
sono particolarmente lieto di pregare insieme ai rappresentanti delle
altre Chiese presenti a Roma, ai quali rivolgo un cordiale e fraterno
saluto. Saluto anche la Delegazione ecumenica della Finlandia, gli
studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey, in visita a Roma
per approfondire la loro conoscenza della Chiesa Cattolica, e i giovani
ortodossi e ortodossi orientali che qui studiano con il sostegno del
Comitato di Collaborazione Culturale con le Chiese Ortodosse, operante
presso il Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
Il libro del Deuteronomio immagina il popolo d’Israele accampato
nelle pianure di Moab, sul punto di entrare nella Terra che Dio gli ha
promesso. Qui Mosè, come padre premuroso e capo designato dal Signore,
ripete la Legge al popolo, lo istruisce e gli ricorda che dovrà vivere
con fedeltà e giustizia una volta che si sarà stabilito nella terra
promessa.
Il brano che abbiamo appena ascoltato fornisce indicazioni su come celebrare le tre feste principali dell’anno: Pesach (Pasqua), Shavuot (Pentecoste), Sukkot
(Tabernacoli). Ciascuna di queste feste richiama Israele alla
gratitudine per i beni ricevuti da Dio. La celebrazione di una festa
richiede la partecipazione di tutti. Nessuno può essere escluso:
«Gioirai davanti al Signore, tuo Dio, tu, tuo figlio e tua figlia, il
tuo schiavo e la tua schiava, il levita che abiterà le tue città, il
forestiero, l’orfano e la vedova che saranno in mezzo a te» (Dt 16,11).
Per ogni festa, occorre compiere un pellegrinaggio «nel luogo che il
Signore avrà scelto per stabilirvi il suo nome» (v. 2). Là, il fedele
israelita deve porsi davanti a Dio. Nonostante ogni israelita sia stato
schiavo in Egitto, senza alcun possesso personale, «nessuno si
presenterà davanti al Signore a mani vuote» (v. 16) e il dono di
ciascuno sarà in misura della benedizione che il Signore gli avrà dato.
Tutti riceveranno dunque la loro parte di ricchezza del paese e
beneficeranno della bontà di Dio.
Non deve sorprenderci il fatto che il testo biblico passi dalla
celebrazione delle tre feste principali alla nomina dei giudici. Le
feste stesse esortano il popolo alla giustizia, ricordando l’uguaglianza
fondamentale tra tutti i membri, tutti ugualmente dipendenti dalla
misericordia divina, e invitando ciascuno a condividere con gli altri i
beni ricevuti. Rendere onore e gloria al Signore nelle feste dell’anno
va di pari passo con il rendere onore e giustizia al proprio vicino,
soprattutto se debole e bisognoso.
I cristiani dell’Indonesia, riflettendo sulla scelta del tema per la
presente Settimana di Preghiera, hanno deciso di ispirarsi a queste
parole del Deuteronomio: «La giustizia e solo la giustizia seguirai»
(16,20). In essi è viva la preoccupazione che la crescita economica del
loro Paese, animata dalla logica della concorrenza, lasci molti nella
povertà concedendo solo a pochi di arricchirsi grandemente. È a
repentaglio l’armonia di una società in cui persone di diverse etnie,
lingue e religioni vivono insieme, condividendo un senso di
responsabilità reciproca.
Ma ciò non vale solo per l’Indonesia: questa situazione si riscontra
nel resto del mondo. Quando la società non ha più come fondamento il
principio della solidarietà e del bene comune, assistiamo allo scandalo
di persone che vivono nell’estrema miseria accanto a grattacieli,
alberghi imponenti e lussuosi centri commerciali, simboli di strepitosa
ricchezza. Ci siamo scordati della saggezza della legge mosaica, secondo
la quale, se la ricchezza non è condivisa, la società si divide.
San Paolo, scrivendo ai Romani, applica la stessa logica alla
comunità cristiana: coloro che sono forti devono occuparsi dei deboli.
Non è cristiano «compiacere noi stessi» (15,1). Seguendo l’esempio di
Cristo, dobbiamo infatti sforzarci di edificare coloro che sono deboli.
La solidarietà e la responsabilità comune devono essere le leggi che
reggono la famiglia cristiana.
Come popolo santo di Dio, anche noi siamo sempre sul punto di entrare
nel Regno che il Signore ci ha promesso. Ma, essendo divisi, abbiamo
bisogno di ricordare l’appello alla giustizia rivoltoci da Dio. Anche
tra i cristiani c’è il rischio che prevalga la logica conosciuta dagli
israeliti nei tempi antichi e da tanti popoli sviluppati al giorno
d’oggi, ovvero che, nel tentativo di accumulare ricchezze, ci
dimentichiamo dei deboli e dei bisognosi. È facile scordare
l’uguaglianza fondamentale che esiste tra noi: che all’origine eravamo
tutti schiavi del peccato e che il Signore ci ha salvati nel Battesimo,
chiamandoci suoi figli. È facile pensare che la grazia spirituale
donataci sia nostra proprietà, qualcosa che ci spetta e che ci
appartiene. È possibile, inoltre, che i doni ricevuti da Dio ci rendano
ciechi ai doni dispensati ad altri cristiani. È un grave peccato
sminuire o disprezzare i doni che il Signore ha concesso ad altri
fratelli, credendo che costoro siano in qualche modo meno privilegiati
di Dio. Se nutriamo simili pensieri, permettiamo che la stessa grazia
ricevuta diventi fonte di orgoglio, di ingiustizia e di divisione. E
come potremo allora entrare nel Regno promesso?
Il culto che si addice a quel Regno, il culto che la giustizia
richiede, è una festa che comprende tutti, una festa in cui i doni
ricevuti sono resi accessibili e condivisi. Per compiere i primi passi
verso quella terra promessa che è la nostra unità, dobbiamo anzitutto
riconoscere con umiltà che le benedizioni ricevute non sono nostre di
diritto ma sono nostre per dono, e che ci sono state date perché le
condividiamo con gli altri. In secondo luogo, dobbiamo riconoscere il
valore della grazia concessa ad altre comunità cristiane. Di
conseguenza, sarà nostro desiderio partecipare ai doni altrui. Un popolo
cristiano rinnovato e arricchito da questo scambio di doni sarà un
popolo capace di camminare con passo saldo e fiducioso sulla via che
conduce all’unità.
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