La sfida pedagogica è sempre più decisiva per condurre fuori
dall’arida e buia gabbia della postmodernità E come nel racconto
evangelico lo scopo è riaccendere la passione per la causa dell’amore
di Dio fra gli uomini.
Sullo stile di Gesù, quale emerge dal suo rapporto con i discepoli di Emmaus, dobbiamo chiederci se e fino a che punto il nostro impegno al servizio dell’educazione sia fatto di compagnia, memoria e profezia O si è capaci di generare testimoni liberi e convinti di ciò per cui vivono o si fallisce lo scopo Chi educa non crea dipendenze, ma suscita cammini di vita in cui costruire nella luce che sola illumina il cuore.
Alcuni stralci dell’intervento che ha aperto a Brescia la nuova edizione di Scholé.
Una sfida al processo
educativo viene dalla penuria di speranze in grande che sembra
caratterizzare la cultura post-moderna: tramontato il sole
dell’ideologia, il futuro non appare più certo e affidabile, come
volevano rappresentarlo i 'méga-recits' ideologici delle più diverse
matrici. Uscire dal buio degli orizzonti verso cui andare è sfida
decisiva, tanto per l’esistenza personale, quanto per l’impresa
collettiva. Su questo punto il racconto di Emmaus svela ricchezze
sorprendenti: Gesù schiude ai due discepoli un nuovo futuro, aprendo
il loro cuore a una speranza affidabile; egli accende la profezia,
contagiando il coraggio e la gioia. È scopo dell’educazione schiudere
orizzonti, raccogliere le sfide e accendere la passione per la causa di
Dio tra gli uomini, che è la causa della verità, della giustizia e
dell’amore.
Chi educa non deve pretendere di dominare l’altro, ma deve aspirare a liberarlo per la sua libertà più vera.
Gesù procede così: si fa vicino, spiega le Scritture, alimenta il
desiderio, si fa riconoscere e offre ai due l’annuncio di sé, della sua
vittoria sulla morte, rendendoli liberi dalla paura e provocandoli
alla libertà della missione: «Mentre conversavano e discutevano
insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro… E
cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le
Scritture ciò che si riferiva a lui» (vv. 15 e 27). «Quando fu a tavola
con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede
loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì
dalla loro vista» (vv. 30-31).
Si accende nei cuori dei due una 'grande gioia' (v. 41). È da questa
gioia che scaturisce l’urgenza di partire subito per portare agli altri
la buona novella di cui sono ormai testimoni: «E partirono senz’indugio e
fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli
altri che erano con loro, i quali dicevano: davvero il Signore è
risorto ed è apparso a Simone» (vv. 33-34).
L’incontro vissuto esige di essere testimoniato: non puoi fermarti a ciò che hai
avuto in dono. Devi a tua volta donarlo, camminando sulle tue gambe e
facendo le scelte della tua libertà. L’educazione o genera testimoni
liberi e convinti di ciò per cui vivono, o fallisce il suo scopo. Chi
educa non deve creare dipendenze, ma suscitare cammini di vita, in cui
ciascuno giochi la propria avventura al servizio della luce che gli ha
illuminato il cuore. «Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la
via e come l’avevano riconosciuto
nello spezzare il pane » (v. 35). L’educazione ha raggiunto il suo
fine quando chi l’ha ricevuta è capace di irradiare il dono che lo ha
raggiunto e cambiato: «Ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento
della storia - affermava il Card. Ratzinger pochi giorni prima della
sua elezione a successore di Pietro, parlando a Subiaco il 1 Aprile 2005 - sono uomini che, attraverso una fede illuminata, rendano Dio credibile in questo mondo… Uomini che tengacendere
no lo sguardo dritto verso Dio, imparando di lì la vera umanità,
uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio
apra il cuore… Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio
può far ritorno presso gli uomini».
Educare, insomma, non è clonare, ma accogliere la vita col dono della vita, suscitando i cammini di libertà di
un’esistenza significativa e piena, spesa al servizio della verità che
sola rende e renderà liberi. L’educatore o è testimone di una speranza
affidabile, contagiosa di verità e trasformante nell’amore, o non è.
L’icona biblica di Emmaus ci consente così una descrizione dell’azione
educativa: educare è accompagnare l’altro dalla tristezza del non
senso alla gioia della vita piena di
significato, introducendolo nel tesoro del proprio cuore e del cuore
della Chiesa, rendendolo partecipe di esso per la forza diffusiva
dell’amore. Chi vuol essere educatore deve poter ripetere con
l’apostolo Paolo queste parole, che sono un autentico progetto educativo: «Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia» (2 Corinzi 1, 24). Sullo stile educativo di
Gesù, quale emerge dal suo rapporto con i discepoli di Emmaus, dobbiamo
esaminarci tutti, chiedendoci se e fino a che punto il nostro impegno
al servizio dell’educazione sia fatto analogamente di compagnia,
memoria e profezia. Questo vale tanto per la quotidiana comunicazione
vitale fra le generazioni, quanto per l’impegno educativo in campo
scolastico e universitario, quanto per l’azione pastorale della Chiesa e
il servizio alla causa dell’evangelizzazione. Facilmente il bilancio ci
sembrerà perdente: ci conforta tuttavia il fatto di non essere soli.
Dio, che ha educato il suo popolo nella storia della salvezza, continua
a educarci e a educare: «Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre
manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto
ciò che io vi ho detto» (Giovanni 14, 26). Non rinunciamo dunque a
raccogliere la sfida educativa, qualunque sia il livello di
responsabilità che ci è dato di vivere. E confidiamo nel divino
Maestro.
A Lui vorrei rivolgermi in conclusione, dicendogli con
semplicità e fiducia a nome di tutti coloro che vogliano accettare
e vivere la sfida educativa: Signore Gesù, ti sei fatto compagno di
strada dei discepoli dal cuore triste, incamminati dalla città di Dio
verso il buio della sera. Hai fatto ardere il loro cuore, aprendolo alla
realtà totale del Tuo mistero. Hai accettato di fermarti con loro alla
locanda, per spezzare il pane alla loro tavola e permettere ai loro
occhi di aprirsi e di riconoscerti. Poi sei scomparso, perché essi -
toccati ormai da te - andassero per le vie del mondo a portare a tutti
l’annuncio liberante della gioia che avevi loro dato.
Concedi anche a
noi di riconoscerti presente al nostro fianco, viandante con noi sui
nostri cammini. Illuminaci e donaci di illuminare a nostra volta gli
altri, a cominciare da quelli che specialmente ci affidi, per farci
anche noi compagni della loro strada, come tu hai fatto con noi, per far
memoria con loro delle meraviglie della salvezza e far ardere il loro
cuore, come tu hai fatto ardere il nostro, per seguirti nella libertà e
nella gioia e portare a tutti l’annuncio della tua bellezza, col dono
del tuo amore che vince e vincerà la morte. Amen. Alleluia».
*Arcivescovo di Chieti-Vasto e segretario del Sinodo dei vescovi sulla famiglia.
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