Don Camillo guardò il Cristo e disse: «Gesù, al mondo ci sono troppe cose che non
funzionano».
Giovanni Guareschi
Questa
scena è nella memoria visiva di tutti, con un don Camillo che ha i tratti del
Fernandel dei vari film dedicati a questo sacerdote e al suo inevitabile rivale
Peppone, incarnato da Gino Cervi.
È un dialogo che si ripeterà tante volte in
forme diverse tra il prete e il Crocifisso della sua Chiesa, e che noi abbiamo
assunto proprio dall'avvio di uno dei romanzi della saga Il mondo piccolo di
Giovanni Guareschi (1908-68). L'inventore di questi due personaggi amatissimi
dal pubblico (nella penuria televisiva estiva è facile imbattersi in una replica
di questi film ormai stranoti) ci offre una considerazione molto semplice,
tuttavia necessaria per smitizzare l'alibi del lamento sulle «troppe cose che
non funzionano», per cui la colpa è sempre di qualcun altro o di qualcosa
d'altro.
Le stagioni non sono più quelle di una volta; la società non
procede più come dovrebbe; il progresso ci fa degenerare; il benessere ci rende
egoisti; la scuola è uno sfascio, così come della politica non ci si può più
fidare; gli stessi preti non sono più come don Camillo, ma troppo indulgenti o
troppo severi o poco pii e così via, in una costante deprecazione della nequizia
dei tempi.
Ma a produrre tutto questo non è né il fato cinico e baro, né un
coacervo di forze maligne (non è sempre colpa del diavolo...).
Al centro della
storia c'è, infatti, l'uomo con la sua libertà, la sua volontà, la sua ragione.
Certo, ci sono tanti condizionamenti, ma non rimandiamo sempre ad altri quello
che «non funziona» e tentiamo una volta tanto un serio esame di
coscienza.
(Testo tratto da: G. Ravasi, Breviario laico, Mondadori
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