“L’Europa ritrova speranza
quando l’uomo è al centro delle sue istituzioni. San Benedetto, prega per noi!”; questo il tweet
pubblicato, in occasione della ricorrenza di San Benedetto, patrono d'Europa, dal Santo Padre.
Nel suo discorso ai partecipanti alla conferenza
“(Re)thinking Europa” tenuta il 28 ottobre 2017, Papa Francesco ha ricordato la
figura di San Benedetto, patrono d’Europa, e i valori che i cristiani sono
chiamati a vivere nella comunità europea.
****
[Estratti dal discorso]
“San Benedetto non bada alla
condizione sociale, né alla ricchezza, né al potere detenuto. Egli fa appello
alla natura comune di ogni essere umano, che, qualunque sia la sua condizione,
brama certamente la vita e desidera giorni felici. Per Benedetto non ci sono
ruoli, ci sono persone: non ci sono aggettivi, ci sono sostantivi. È proprio
questo uno dei valori fondamentali che il cristianesimo ha portato: il senso
della persona, costituita a immagine di Dio.
Il primo, e forse più
grande, contributo che i cristiani possono portare all’Europa di oggi è ricordarle che essa non è una raccolta di numeri o di istituzioni, ma è fatta di persone.
Purtroppo, si nota come spesso qualunque dibattito si riduca facilmente ad una
discussione di cifre. Non ci sono i cittadini, ci sono i voti. Non ci sono i
migranti, ci sono le quote. Non ci sono lavoratori, ci sono gli indicatori
economici. Non ci sono i poveri, ci sono le soglie di povertà. Il concreto
della persona umana è così ridotto ad un principio astratto, più comodo e
tranquillizzante. Se ne comprende la ragione: le persone hanno volti, ci
obbligano ad una responsabilità reale, fattiva, “personale”; le cifre ci
occupano con ragionamenti, anche utili ed importanti, ma rimarranno sempre senz’anima.
Ci offrono l’alibi di un disimpegno, perché non ci toccano mai nella carne.
[…] Dunque il secondo
contributo che i cristiani possono apportare al futuro dell’Europa è la riscoperta del senso di appartenenza ad una
comunità. Non a caso i Padri fondatori del progetto europeo scelsero
proprio tale parola per identificare il nuovo soggetto politico che andava
costituendosi. La comunità è il più grande antidoto agli individualismi che
caratterizzano il nostro tempo, a quella tendenza diffusa oggi in Occidente a
concepirsi e a vivere in solitudine.
[…] Persona e comunità sono dunque le fondamenta dell’Europa che come
cristiani vogliamo e possiamo contribuire a costruire. I mattoni di tale
edificio si chiamano: dialogo, inclusione, solidarietà, sviluppo e pace.
[…] Favorire il dialogo – qualunque dialogo – è una responsabilità
basilare della politica, e, purtroppo, si nota troppo spesso come essa si
trasformi piuttosto in sede di scontro fra forze contrastanti. Alla voce del
dialogo si sostituiscono le urla delle rivendicazioni. Da più parti si ha la
sensazione che il bene comune non sia più l’obiettivo primario perseguito e
tale disinteresse è percepito da molti cittadini. Trovano così terreno fertile
in molti Paesi le formazioni estremiste e populiste che fanno della protesta il
cuore del loro messaggio politico, senza tuttavia offrire l’alternativa di un
costruttivo progetto politico. Al dialogo si sostituisce, o una
contrapposizione sterile, che può anche mettere in pericolo la convivenza
civile, o un’egemonia del potere politico che ingabbia e impedisce una vera
vita democratica. In un caso si distruggono i ponti e nell’altro si
costruiscono muri. E oggi l’Europa conosce ambedue.
I cristiani sono chiamati a
favorire il dialogo politico, specialmente laddove esso è minacciato e sembra
prevalere lo scontro. I cristiani sono chiamati a ridare dignità alla politica, intesa come massimo servizio al bene
comune e non come un’occupazione di potere.
[…] Responsabilità comune dei leader è favorire un’Europa che sia una
comunità inclusiva, libera da un fraintendimento di fondo: inclusione non è
sinonimo di appiattimento indifferenziato. Al contrario, si è autenticamente
inclusivi allorché si sanno valorizzare le differenze, assumendole come
patrimonio comune e arricchente. In questa prospettiva, i migranti sono una
risorsa più che un peso. I cristiani sono chiamati a meditare seriamente
l’affermazione di Gesù: «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35).
Soprattutto davanti al dramma dei profughi e dei rifugiati, non ci si può
dimenticare il fatto di essere di fronte a delle persone, le quali non possono
essere scelte o scartate a proprio piacimento, secondo logiche politiche,
economiche o perfino religiose.
[… ] Non si può pensare che
il fenomeno migratorio sia un processo indiscriminato e senza regole, ma non si possono nemmeno ergere muri di indifferenza
o di paura. Da parte loro, gli stessi migranti non devono tralasciare
l’onere grave di conoscere, rispettare e anche assimilare la cultura e le
tradizioni della nazione che li accoglie.
Adoperarsi per una comunità
inclusiva significa edificare uno spazio
di solidarietà. […] Un’Unione Europea che, nell’affrontare le sue crisi,
non riscoprisse il senso di essere un’unica comunità che si sostiene e si aiuta
– e non un insieme di piccoli gruppi d’interesse – perderebbe non solo una
delle sfide più importanti della sua storia, ma anche una delle più grandi
opportunità per il suo avvenire.
La solidarietà, quella parola che tante volte sembra che si voglia
cacciare via dal dizionario. La solidarietà, che nella prospettiva cristiana
trova la sua ragion d’essere nel precetto dell’amore (cfr Mt 22,37-40), non può
che essere la linfa vitale di una comunità viva e matura. Insieme all’altro
principio cardine della sussidiarietà, essa riguarda non solo i rapporti fra
gli Stati e le Regioni d’Europa. Essere una comunità solidale significa avere premura per i più deboli della
società, per i poveri, per quanti sono scartati dai sistemi economici e
sociali, a partire dagli anziani e dai disoccupati. Ma la solidarietà esige
anche che si recuperi la collaborazione e il sostegno reciproco fra le
generazioni.
[…] Infine, l’impegno dei
cristiani in Europa deve costituire una promessa di pace. Fu questo il pensiero
principale che animò i firmatari dei Trattati di Roma. Dopo due guerre mondiali
e violenze atroci di popoli contro popoli, era giunto il tempo di affermare il
diritto alla pace.[6] È un diritto. Ancora oggi però vediamo come la pace sia
un bene fragile e le logiche particolari e nazionali rischiano di vanificare i
sogni coraggiosi dei fondatori dell’Europa.[7]
[…] Essere operatori di pace significa farsi promotori di una cultura della
pace. Ciò esige amore alla verità, senza la quale non possono esistere
rapporti umani autentici, e ricerca della giustizia, senza la quale la
sopraffazione è la norma imperante di qualunque comunità.
La pace esige pure
creatività. L’Unione Europea manterrà fede alla suo impegno di pace nella
misura in cui non perderà la speranza e saprà rinnovarsi per rispondere alle
necessità e alle attese dei propri cittadini.
In questo tempo, essi sono
chiamati a ridare anima all’Europa a
ridestarne la coscienza, non per occupare degli spazi – questo sarebbe
proselitismo -, ma per animare processi[9] che generino nuovi dinamismi nella
società. È proprio quanto fece san Benedetto, non a caso da Paolo VI proclamato
patrono d’Europa: egli non si curò di occupare gli spazi di un mondo smarrito e
confuso. Sorretto dalla fede, egli guardò oltre e da una piccola spelonca di
Subiaco diede vita ad una movimento contagioso e inarrestabile che ridisegnò il
volto dell’Europa. Egli, che fu «messaggero di pace, realizzatore di unione,
maestro di civiltà»,[10] mostri anche a noi cristiani di oggi come dalla fede
sgorga sempre una speranza lieta, capace di cambiare il mondo.”
Nessun commento:
Posta un commento