Gli occhi sbarrati e lo sguardo vitreo di chi si vede sottratto in
extremis all’abisso che ha inghiottito altre vite umane sono solo
l’ultima immagine di una tragedia alla quale non ci è dato di
assuefarci.
Ci sentiamo responsabili di questo esercito di poveri, vittime di
guerre e fame, di deserti e torture. È la storia sofferta di uomini e
donne e bambini che – mentre impedisce di chiudere frontiere e alzare
barriere – ci chiede di osare la solidarietà, la giustizia e la pace.
Come Pastori della Chiesa non pretendiamo di offrire soluzioni a buon
mercato. Rispetto a quanto accade non intendiamo, però, né volgere lo
sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti
aggressivi. Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino
le nostre scelte, determinino le nostre risposte, alimentino un clima di
diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto.
Animati dal Vangelo di Gesù Cristo continuiamo a prestare la nostra
voce a chi ne è privo. Camminiamo con le nostre comunità cristiane,
coinvolgendoci in un’accoglienza diffusa e capace di autentica
fraternità. Guardiamo con gratitudine a quanti – accanto e insieme a noi
– con la loro disponibilità sono segno di compassione, lungimiranza e
coraggio, costruttori di una cultura inclusiva, capace di proteggere,
promuovere e integrare.
Avvertiamo in maniera inequivocabile che la via per salvare la nostra
stessa umanità dalla volgarità e dall’imbarbarimento passa dall’impegno
a custodire la vita. Ogni vita. A partire da quella più esposta,
umiliata e calpestata.
La Presidenza
della Conferenza Episcopale Italiana
Roma, 19 luglio 2018
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