Intervista allo psichiatra
Vittorino Andreoli
di Patrizia Caiffa
Nonostante il refrain contro i migranti
sia sempre lo stesso: "Premesso che non sono razzista...", nelle
società occidentali il razzismo sta uscendo allo scoperto e rischia di essere
legittimato come una opinione. Secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli siamo
in "una cornice di civiltà disastrosa", l'Italia e l'Occidente stanno
"regredendo alle pulsioni istintive", al dominio della "cultura
del nemico": "La superficialità porta l'identità a fondarsi sul
nemico. Se uno non ha un nemico non riesce a caratterizzare se stesso".
Dall’America all’Europa all’Italia
sembra uscire allo scoperto, fomentato da politici e media irresponsabili e
amplificato dai pareri espressi sui social media, un clima aperto di razzismo e
xenofobia, come se l’espressione di odio razziale nei confronti dei migranti o
delle minoranze, anche con linguaggi e gesti violenti, non fosse più un tabù ma
una legittima opinione. L’episodio di Fermo, con l’uccisione del nigeriano le
cui dinamiche chiarirà la magistratura, ha avuto uno strascico di posizioni
opposte sui social. Molti difendono apertamente l’aggressore, come se la
violenza, verbale e poi fisica, dell’insulto razziale fosse legittima. Mentre
il refrain contro i migranti è sempre lo stesso: “Premesso che non sono
razzista…”. Cosa ci sta succedendo? Lo abbiamo chiesto allo psichiatra
Vittorino Andreoli, ma la premessa che anticipa tutta la riflessione è semplice
e sconfortante: “Questa società non mi piace”.
Cosa
sta succedendo alle nostre società occidentali?
Sono stati consumati, se non distrutti,
alcuni principi, che erano alla base della nostra civiltà, che nasce in Grecia,
a cui si aggiunge il cristianesimo. Non c’è più rispetto per l’altro, la morte
è diventata banale, tanto che uccidere è una modalità per risolvere un
problema. Non c’è più il senso del mistero e del limite dell’uomo. L’episodio
di Fermo va inserito in una cornice di civiltà disastrosa. Non esiste più
l’applicazione dei principi morali della società e c’è un affastellarsi di
leggi, come se le leggi possano sostituire i principi. Oggi domina la cultura
del nemico: la superficialità porta l’identità a fondarsi sul nemico. Se uno
non ha un nemico non riesce a caratterizzare se stesso. Questa è una
regressione antropologica perché si va alle pulsioni. Tutto questo è favorito
da partiti che sostengono l’odio, lo stesso agire sociale è fatto di nemici.
Perfino nelle istituzioni religiose qualche volta si affaccia il nemico. In
questo quadro tornano le questioni razziali.
Qualcuno
dice: “non è razzismo, è superficialità”.
Io ribatto: no è razzismo. E’
considerare l’altro inferiore perché ha quelle caratteristiche, per cui bisogna
combatterlo. Se uno è diverso da te è un nemico e va combattuto. Si arriva alla
legge del taglione. Si torna a fare la guerra perché il diverso è un nemico che
porta via soldi, posti di lavoro, eccetera. Così come c’è una gerarchia dei
potenti c’è anche una gerarchia di razze. Perché sono presi di mira solo
alcuni.
Il
razzismo e i pregiudizi sono però universalmente presenti nel cuore dell’uomo,
a prescindere dalle nazioni. I fatti di questi giorni negli Usa ne sono un
esempio.
E’ sicuramente un istinto presente nella
nostra biologia, nella nostra natura, ossia la lotta per la sopravvivenza di
cui parlava Darwin, la lotta per la difesa del territorio. Ma tipico dell’uomo
non è solo la biologia ma la cultura. E la cultura dovrebbe essere quella
condizione in cui rispettiamo gli altri e riusciamo a frenare un istinto. Il
problema è: come mai la cultura che caratterizza l’uomo e consiste nel
controllo delle pulsioni non c’è più? Tutta una cultura che si era costruita
fino a epigoni che erano quelli dell’amore, della fratellanza, è completamente
recitata ma non vissuta.
Questo è un Paese, ma anche tutto
l’Occidente, che sta regredendo alla pulsionalità, all’uomo pulsionale. Ciò che
mi spaventa e mi addolora è che per raggiungere una cultura ci vuole tanto
tempo e la si può perdere in una generazione.
Gli episodi che osserviamo sono
silenziosamente sostenuti da tante persone. Non dicono niente ma li approvano.
Bisogna impedire che ci sia chi soffia sul fuoco. Nessuno parla del valore
della conoscenza utile nell’avvicinare altre storie, altre culture. Tutto viene
mostrato come negativo: gli immigrati fanno perdere posti di lavoro, c’è
violenza e criminalità. Il problema è che all’origine c’è sempre una
esclusione. E’ terribile, stiamo diventando un popolo incivile.
Nei
dibattiti pubblici, soprattutto sui social, c’è sempre un “noi” contro “loro”:
i migranti, più deboli, diventano il capro espiatorio di tutti i mali.
Certo, questo è il principio darwiniano.
L’evoluzione si lega alla lotta per l’esistenza: “mors tua, vita mea”. Bisogna
eliminare il nemico, deve vincere la mia tribù che deve prendere il tuo
territorio. E’ una regressione spaventosa. Poi c’è la crisi che ha sottolineato
la paura, le incertezze. E la paura genera sempre violenza. Ci rendiamo conto
che, in un Paese che non legge, un giornale ha regalato il Mein Kampf di
Hitler? Perché non hanno regalato “La pace perpetua” di Kant?
Marketing,
ricerca di consenso e voti, incoscienza: quali sono, secondo lei, le vere
ragioni dietro a scelte così pericolose? Come fare per arginarle?
Non è follia, è stupidità. Bisogna
prendere una posizione molto decisa: non è più possibile fare finta. Questa è
una società falsa, che recita. Andiamo incontro a situazioni che saranno di
nuovo drammatiche.Ci vuole più coraggio anche nella Chiesa. Il Papa lo ha avuto
nel suo schierarsi dalla parte dei migranti, ma ci sono quelli che non sono
d’accordo. Bisogna cominciare a dire che questa nazione deve cercare di far
emergere uomini e donne saggi, intelligenti. Stiamo scegliendo i peggiori. C’è
una ignoranza spaventosa. Bisogna poter
parlare, spiegare, capirsi. Occorrono persone credibili per parlare ai giovani,
ma la via è sempre quella della cultura. Fare promozione, educazione,
dimostrare quanta positività c’è in chi viene odiato, per stimolare al rispetto
nei loro confronti.
Con
i giovani è più facile perché sono come pagine bianche di un libro da scrivere.
Ma con adulti già formati come si fa? E’ una battaglia già persa in partenza?
No, perché l’espressione esplicita dei
pregiudizi nasce dal sentirsi sostenuti. Se nascondono ancora il loro pensiero
sono recuperabili. Il problema emerge quando ci si sente in tanti a pensarlo.
Bisogna far scoprire cosa c’è nell’altro, cosa significa una società diversa.
Purtroppo oggi sui social non si
nasconde più il proprio pensiero: lo schermo del computer protegge dal
confronto diretto, le affermazioni diventano più violente e l’espressione dei
pregiudizi, anche in maniera razionale, serve solo a rafforzare l’ego …
E’ vero. Questo è più grave, perché se
uno stava zitto e si esprimeva a casa, agiva male solo in famiglia. Adesso
diventa un’azione diffusa, trasformandosi in vera e propria propaganda.
Immagine: opera di Antoh, Gilo 2014
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