LA BIBBIA NON CONOSCE
LA SEPARAZIONE
DI CORPO E
SPIRITO
«Mi
è stato donato un corpo: che farò di questo dono unico e mio? A chi dovrò
essere grato di questa sommessa gioia di respirare ed esistere? Il mio respiro
si posa già sui vetri dell’eternità, sì, caldi del mio fiato [...]. Scola via
la fanghiglia dell’istante, rimane il caro disegno del mio essere». Così Osip
Mandel’štam, il grande poeta russo morto in un lager staliniano in una data
incerta (forse il 1938), dà voce a una comune esperienza umana.
In questi versi si raggruma, infatti,
la sconcertante e mirabile bipolarità della nostra corporeità: l’essere
fanghiglia temporale, finita e caduca, e l’essere respiro che alona i «vetri
dell’eternità»; in sintesi, un simbolo “carnale” dell’anima che anela
all’eterno e all’infinito. Intere biblioteche di saggi sono state dedicate al
tema della corporeità in connessione con le varie religioni.
Lo si è fatto da più angolature,
sempre procedendo sul crinale tagliente dal quale spiovono i due versanti
dell’essere e dell’esistere umano: da un lato la carnalità apparentemente
ombreggiata e, dall’altro, lo spirito apparentemente etereo e impalpabile come
la luce. Entrambi i versanti sono, però, inscindibili e compatti, proprio come
cantava padre Turoldo:
«Inquieta anima mia quasi / carne in
te rientra, / parla piano, taci anzi, / se vuoi udirLo; Egli / non è lontano, /
è nel tuo mare di sangue […] / Alla terra torna, alla terra resta / anima quasi
carne». Il corpo è, quindi, un intreccio di immanenza e di trascendenza, una
realtà che, soprattutto nella cultura contemporanea, è spesso incompresa e
svalutata, idolatrata o umiliata.
Nella “Supplica a mia madre” Pier
Paolo Pasolini confessava: «Ho un’infinita fame / d’amore, d’amore di corpi
senz’anima». Un corpo amputato della sua parte più originale. In realtà anche
il corpo più decadente o deformato o ferito, offeso e violato conserva una sua
sacralità, una sua potenza e grazia, una scintilla di bellezza; la sua anima
può essere stinta ma non mai estinta.
E il cristianesimo in particolare –
come dichiarava lo scrittore Ferruccio Parazzoli nel suo romanzo Il giro del
mondo (1977) – «non è una religione di fantasmi, non di anime spoglie e
rilucenti, ma di corpi, questi corpi così come sono, gloriosi e miserabili e che
risorgeranno, come è stato promesso».
Questa è anche l’estrema affermazione
di Cristo quando nell’ultima sera della sua vita terrena pronuncia quelle
parole che risuoneranno nei secoli fino a oggi: «Questo è il mio corpo». La sua
è, dunque, una presenza divina ma fatta di carne e sangue, nella distesa del
tempo.
Gianfranco
Ravasi
(articolo tratto
da www.luoghidellinfinito.it)
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