Insegnanti eroi, aguzzini,
vittime:
immagini di una professione a rischio
immagini di una professione a rischio
In queste ultime
settimane la cronaca ha dovuto occuparsi ripetutamente di insegnanti, offrendone
un’immagine a tinte fortemente contrastanti: da quella, agghiacciante, della
molestatrice (si tratta quasi sempre di donne) di bambini in tenera età a
quella, altrettanto impressionante, del professore pedofilo (si tratta quasi
sempre di uomini) che ha approfittato della sua posizione per istituire con
qualche sua alunna una relazione non propriamente di tipo didattico.
Accanto a questi
insegnanti che tradiscono la loro missione ce ne sono altri che rimangono
sempre più spesso vittime di aggressioni fisiche da parte di parenti, o
addirittura di propri studenti, scontenti per qualche loro atteggiamento o
decisione di tipo didattico (un voto, una nota, una parola…), fino ad arrivare
al caso della professoressa di italiano di un istituto tecnico della provincia
di Caserta, Franca Di Blasio, accoltellata dall’allievo che aveva rimproverato
per il suo scarso impegno nello studio ma che, come ha scritto Massimo
Gramellini nella sua rubrica quotidiana ‘Il Caffè’ sul Corriere della Sera (3
febbraio), si è comportata da «santa» perdonando il ragazzo e interrogandosi con toni
autocritici («forse con lui abbiamo fallito?»).
In tutti questi casi,
ai quali va aggiunto il ricorso al TAR di quei genitori che pretendevano che
gli insegnanti assegnassero al loro rampollo la valutazione di ‘eccellente’ al
posto di quella di ‘ottimo’, si evidenziano aspetti diversi di un unico
fenomeno, che è la profonda crisi nella quale è precipitata la figura
dell’insegnante dal punto di vista del prestigio sociale e professionale.
Ma sarebbe
semplicistico ritenere, come fa il segretario della Gilda degli insegnanti Rino
Di Meglio, che «la responsabilità della drammatica escalation di violenza nei
confronti dei docenti (sia) principalmente della politica», che avrebbe
«volutamente trasformato la scuola da istituzione a servizio
socio-assistenziale e alunni e famiglie in consumatori da soddisfare».
La questione è assai
più complicata, e intreccia ragioni di carattere socio-culturale (il crollo del
principio di autorità e della famiglia tradizionale), la perdita di fiducia
nella scuola come ascensore sociale, la mancata valorizzazione della
professione docente dal punto di vista economico e delle prospettive di
carriera (cui ha notevolmente contribuito l’egualitarismo voluto dai sindacati),
e infine la miopia di una classe dirigente – non solo di quella politica – rivelatasi incapace di ridefinire e
rilanciare il ruolo della scuola e dei suoi operatori in termini di
investimento di lungo periodo in questa fase di transizione epocale alla
società dell’informazione e dell’industria 4.0.
Da Tuttoscuola
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