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venerdì 9 febbraio 2018

IN ASCOLTO DELLA PROPRIA VOCE


Un piccolo libro di Chiara Guidi, regista e attrice, insegna che la grana dei suoni che produciamo, l’individuarla, il ricalibrarla, il rimetterla in asse, ci dà pace.

 di LISA GINZBURG

Impadronirsi della propria voce, conoscerla a fondo per modularla con destrezza, è tutt’altro che scontato. Comporta un lavoro di scavo interiore, sino al punto in cui dal timbro della nostra voce trapeli e divenga visibile (udibile) chi veramente siamo – i risvolti della nostra personalità, i più vibranti e segreti. Vidi anni fa Giving voices, un documentario su un metodo di lavoro sulla voce condotto dall’americana Kristin Linklater sull’isola di Stromboli, con un gruppo di attori di teatro impegnati nelle prove di una messa in scena delle Metamorfosi di Ovidio.
Colpiva il trasfigurarsi di quegli attori, vedere come la loro ricerca di una maggiore libertà nell’espressività vocale li stremasse, con il risultato di trasportarli verso una maggiore interezza nel lavoro; erano infine, dopo quelle pergrinazioni sonore, per davvero vicini a se stessi, e perciò molto più efficaci nelle loro interpretazioni. «Non passa giorno, o quasi, che io non riceva una qualche rivelazione, piccola o grande, sulla complessità, la resilienza e il mistero dell’esperienza umana e il suo riflettersi nella voce», Christine Linklater dichiarava nel suo La voce naturale (Elliot 2008). Sul tema ora scrive un intenso, piccolo libro Chiara Guidi ( La voce in una foresta di immagini invisibili; nottetempo, pagine 80, euro 20,00).
Guidi è stata cofondatrice del gruppo teatrale Societas Raffaello Sanzio; è regista e attrice. Come già la Linklater, lei anche esplora l’universo sonoro a partire dal medesimo paradosso: impossessarsi della propria voce per davvero (del suo timbro, in ogni fibra sonora) passa per un processo di distanziamento e di oggettivazione del suo suono. L’epifania della sua indagine, Guidi la data a un momento nel corso di uno spettacolo, quando in scena ha potuto “vedere” la propria voce – osservarla come tutt’a un tratto si staccasse da lei, per muoversi e da sola camminare sul palco. Dice della necessità di ogni voce di «liberarsi del peso delle parole». Racconta di quante voci esistano in una sola – come nella sua vita di attrice lei dentro sé ne abbia incontrate diverse, soavi o malvagie, carezzevoli o graffianti, dolcissime o feroci. Poiché usare la voce è anche mettersi dal lato di chi ascolta, immagina cosa sia l’udire sonorità umane per gli animali – qualcosa di non troppo diverso dalle percezioni sonore che un feto ha nel grembo materno. Scrive e riflette su quanto per un attore contino le visioni della mente, le stesse che poi lo rendono capace con le parole di «far vedere» ciò che lui stesso si è figurato.
Concentrata, precisa, così Chiara Guidi sta in ascolto della «presenza sonora delle cose»; e il suo libro è un piccolo trattato di meditazione, una riflessione sul rumore del mondo e sulla sua decisiva controparte, il silenzio. Quel vuoto di parole capace a sua volta di lasciare intorno a sé «scie sonore». Ogni voce è il suo silenzio, ogni intonazione implica contatto con qualcosa di se stessi, prima ancora che con il senso dei suoni. Nella babele da cui tante volte ci sentiamo assordati, un piccolo libro come questo, con la sua densità, nutre e rassicura.
Proprio come il silenzio. La grana della nostra voce, individuarla, ricalibrarla, rimetterla in asse, dà pace.




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