DALL'INDIVIDUALISMO ALLA CONDIVISIONE
«Convivere non è soltanto stare con altri ma
anche la capacità di stare col mondo in tutte le sue sfaccettature»
Dall’intellettuale tedesco, Peter Sloterdijk, l’idea di una società condivisa
che edifica la storia Una risposta alle teorie minimaliste, libertarie e
individualiste del ’900, capace di condurre anche a un diverso modo di pensare
il rapporto fra uomo e natura L’alternativa di Sloterdijk Non più solo
di SIMONE PALIAGA
Riprendiamoci la storia e
ridiventiamone protagonisti. Con responsabilità. A noi uomini tocca, oggi come
oggi, in sorte un compito immane. Occorre sottrarsi a ogni determinismo,
biologico, tecnico o economico figlio del Novecento. Bisogna emanciparsi però
anche dal sogno rinunciatario di una fine della storia erede di quei tempi.
Ecco la posta in gioco dei prossimi anni. Anzi della prossima epoca, come dice
Peter Sloterdijk in Che cos’è successo nel XX secolo (pagine 282, euro 26,00)
in uscita per Bollati Boringhieri il 15 settembre.
Sloterdijk in Germania è una
star. I suoi saggi veleggiano verso i vertici delle classifiche di vendita.
Eppure non si tratta proprio di un filosofo facilmente commestibile. Con lui la
filosofia torna a ritagliarsi uno spazio. Lasciatasi alle spalle minimalismi
decostruzionisti ed ermeneutici pensa di avere ancora qualcosa da dire. È lì a
provarlo l’imponente trilogia intitolata Sfere che, come racconta Dario Consoli
in Introduzione a Peter Sloterdijk. Il mondo come coesistenza, appena dato alle
stampe da Il Melangolo (pagine 210, euro 16,00) è «una grandiosa descrizione
del processo materiale e simbolico di costruzione di mondi condivisi».
Senza condivisione non c’è
l’uomo, insomma. Non è pensabile secondo Sloterdijk l’esistenza di un uomo come
quello descritto dalla filosofia moderna. L’individuo isolato non esiste così
come il soggetto in sé e per sé autosufficiente. Dal concepimento l’essere
umano ha la possibilità di vivere finché partecipa a una soggettività
condivisa. Per questo l’individuo casomai può considerarsi al massimo «il resto
di una coppia». Ma questo ancora non gli basta per definirsi perché, per
crescere e diventare se stesso, ha bisogno di «prendere casa, rendere domestico
l’ambiente ». E non può farlo da solo, isolato dagli altri e dalla Terra che lo
ospita.
Secondo il pensatore di
Karlsruhe non esiste l’uomo allo stato di natura come è stato sognato nel corso
della modernità. L’uomo è autoplastico. Significa che a formarlo sono le tecniche
e le forme di convivenza che lui stesso si dà insieme agli altri e al pianeta
su cui vive. Per comprenderlo bene occorre però intendere l’idea di convivenza
in senso lato. Convivere non equivale, per Sloterdijk, solo a stare con gli
altri uomini, ma anche alla capacità di stare col mondo in tutte le sue
sfaccettature. E quindi pure con gli apparati tecnici che via via lo popolano
con maggiore intensità.
Rispetto agli altri viventi
però l’uomo, per sua costituzione, si trova in una posizione privilegiata.
Pericolosa ma pur sempre privilegiata. Egli non è irretito infatti dalle
situazioni che lo circondano, ma nei loro confronti «lussureggia». Vale a dire
«sviluppa delle potenzialità superiori – sottolinea Consoli – a quelle
richieste dalla situazione» che deve fronteggiare. Dal mondo, o detto meglio,
dalle sue sfere di convivenza e condivisione non viene intrappolato. Ecco
perché non finisce imprigionato da esse diventando facitore di storia. E
libero, diremmo noi. L’uomo è «un agente metabiologico che in virtù del suo
potere d’azione – scrive Sloterdijk nel primo saggio di Che cos’è successo nel
XX secolo – può esercitare sull’ambiente un influsso ben più ampio di quello
che farebbe supporre la sua relativa mancanza di peso fisico». Ma se «è diventato
in tutto e per tutto responsabile dell’insediamento e della gestione della
Terra» allora «si istituisce un indirizzo cui rivolgere possibili atti di
accusa». Riconoscersi responsabili non significa solo autoflagellarsi, ma anche
sapersi capaci di cambiare le proprie condizioni di vita. Passo irrinunciabile
se non si vuole mettere a repentaglio il futuro proprio e della Terra.
«La variazione del clima che c’è da aspettarsi – ammonisce
Sloterdijk – porterà in molte zone della Terra a condizioni che non sono
compatibili con l’esistenza umana». Infatti «la battaglia sul clima non ha più
per oggetto il 'dominio della Terra'. Concerne invece la possibilità di
mantenere aperto il processo della civiltà e di assicurarne la prosecuzione».
Per questo
«quell’essere-nelmondo da parte dell’uomo di cui ha parlato la filosofia del XX
secolo si rivela come un essere-abordo di un veicolo cosmico esposto a fenomeni
per- turbativi» che schiudono a una vera e propria «ontologia politica della
natura». E dove fa capolino la politica fa capolino pure la storia. Lo aveva
intuito anche Martin Heidegger secondo Sloterdijk. Ma per sottrarre l’uomo alla
noia e alla inautenticità della fine della storia aveva abbracciato, per un
periodo della sua vita, il nazionalsocialismo.
Anche oggi l’uomo pensa di
trovarsi al di fuori della storia vedendo scorrere gli eventi sopra la testa.
Eppure basta riconoscere il peso che la sua azione possiede nei confronti della
Terra, come fanno i teorici dell’antropocene, per avvedersi che così non è.
Anzi che se la sua azione scandisce le epoche del mondo fino a renderne
possibile la fine può anche riaprire i conti con la storia, consapevole però di
poter «aprire una prospettiva di enormi conflitti».
Pubblicato in AVVENIRE
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