Parenti, amici
e vita
associativa ci rendono
più longevi
e ci aiutano
a stare
in buona salute
Diversi
studi hanno già suggerito quanto salde relazioni sociali aiutino la nostra
salute.
Ora la conferma dalla conferenza annuale dell'American Psychological
Association.
La solitudine è collegata alla maggior insorgenza di malattie,
mentre "una più vasta rete sociale" riduce del 50% il rischio di
morte prematura
di DEBORAH AMERI
Al
bar per la colazione incontriamo il barista e tutti gli habitué, una piccola
comunità. Al lavoro i colleghi, anche se non tutti, ci fanno passare la
giornata in modo più piacevole. Poi l'aperitivo con un amico e la cena con i
genitori, in attesa del pranzo domenicale con tutta la famiglia. Nel quotidiano
non ce ne rendiamo conto, ma tutte queste persone ci allungano la vita. E non
di poco. Ormai diversi studi hanno suggerito che circondarsi di amici e
parenti, e avere salde relazioni sociali, giova alla salute, contrasta
l’insorgere di malattie e, soprattutto, previene la morte prematura.
Gli
studi. Un'altra conferma arriva da due studi della Brigham Young University
(nello Utah), appena presentati alla conferenza annuale dell’American Psychological
Association. I ricercatori hanno analizzato 148 ricerche, che coinvolgono oltre
300.000 persone, concludendo che "una più vasta rete sociale" riduce
del 50% il rischio di morte prematura. Nella seconda analisi Julianne
Holt-Lunstad, professoressa di psicologia che ha condotto lo studio, ha
incrociato i risultati di 70 ricerche per un totale di 3,4 milioni di persone
(prevalentemente americani, ma anche europei e asiatici) calcolando l’impatto
sul benessere fisico di tre variabili: solitudine, isolamento sociale e il
vivere da soli. Ebbene, tutti e tre sono risultati pericolosi per la salute
quanto, o anche più, dell’obesità.
Solitudine
e isolamento sociale. Ma qual è la differenza tra solitudine e isolamento
sociale? Secondo gli autori dello studio il primo è imposto, si verifica, per
esempio, quando si viene tagliati fuori da un gruppo, quando si viene
ghettizzati. Mentre la solitudine si prova quando non si hanno accanto le
persone che più amiamo e con cui abbiamo una relazione profonda.
Negli
Usa oltre 40 milioni di persone soffrono di solitudine. E sono in aumento, in
tutto il mondo occidentale. "Sta diventando un problema serio, che
dovrebbe essere al centro delle politiche sociali dei governi - commenta Luigi
Fontana, professore di Medicina e Nutrizione all’università di Brescia e di
Washington, autorità mondiale nel campo della longevità e autore – insieme a
Franco Berrino - del saggio La grande via - . Le popolazioni più longeve sono
quelle molto spirituali e che hanno un forte senso sociale. La nonna bada al
nipotino, il figlio o la figlia vanno al lavoro tranquilli, gli anziani non
vengono abbandonati. Un po’ com’era l’Italia cinquant’anni fa. Adesso invece
siamo sempre più soli, stiamo diventando come gli anglosassoni".
Famiglia
e gruppo sociale. È proprio il senso di appartenenza alla famiglia o a un
gruppo sociale più vasto che allungherebbe la vita: "Non a caso la
mortalità prematura nelle persone felicemente sposate è minore che in quelle
non coniugate. E il rischio di morte raddoppia nel primo mese successivo alla
morte del coniuge", aggiunge Fontana.
Il
sistema immunitario. Le ragioni per cui essere socialmente attivi porti così
tanto beneficio non sono chiare. Ma alcuni studi se ne sono già occupati.
"Si è visto, per esempio, che il benessere psicologico che proviamo quando
ci sentiamo amati influenza positivamente la risposta del nostro sistema
immunitario contro le infezioni e riduce l’infiammazione – spiega l’esperto -
Parte degli effetti avversi associati all'isolamento sembrerebbero essere
legati allo stress psicologico e alla depressione, che sono potenti fattori di
rischio per l’infarto del miocardio e l’ictus cerebrale. Lo stress psicologico
e la depressione, infatti, aumentano l’infiammazione e stimolano il sistema
catecolaminergico, che di riflesso causa un aumento della pressione arteriosa e
della frequenza cardiaca".
L'altro
studio. L'anno scorso uno studio dell’università Harvard ha concluso che non
avere amici avrebbe come conseguenza l’attivazione della modalità “fight or
flight”, che incrementa i livelli del fibrinogeno. Ma un’eccessiva quantità di
questa proteina alza la pressione sanguigna e può causare la formazione di
depositi di grasso nelle arterie. Chi ha solo cinque amici, per esempio, ha un
livello di fibrinogeno superiore del 20% rispetto a chi vanta 25 amici. E
l’isolamento è associato a circa il 30% di rischio in più di infarto e ictus,
una percentuale simile a quella che riguarda il fumo. "Attenzione, però,
non solo alla quantità degli amici, ma anche alla qualità - mette in guardia Fontana - e alle relazioni
virtuali.
I social media sono positivi in sé perché
permettono l’accesso a tantissime persone, ma bisogna usarli in modo saggio,
non devono diventare una dipendenza e una patologia"
da Repubblica
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