Disagio, marginalità, devianza: si tratta di lemmi che ricorrono frequentemente nel linguaggio comune e nella letteratura scientifica con attribuzioni di significato plurime. Per tale ragione è opportuno avviare il discorso con un essenziale chiarimento terminologico-concettuale, al fine di ridurre le ambiguità interpretative.
Cominciano col termine marginalità. Esso viene da “margine”, indica dunque qualcosa che non è al centro, intendendo per “centro”, in senso latamente culturale (storico, sociale, pedagogico) il punto di riferimento e di orientamento delle condotte della maggioranza delle persone. Un centro costituito dall’insieme di saperi, valori, atteggiamenti, costumi, identità, modelli di comportamento che la storia della cultura tramanda di generazione in generazione attraverso l’educazione e l’istruzione dei giovani.
L'“adeguamento” ai contenuti di questo “centro”,diversi a seconda delle culture, è strumento fondamentale per favorire lo sviluppo integrale del singolo ma anche per realizzare e mantenere la coesione e l’ordine sociali. Il marginale è colui che si trova in una condizione di esclusione da tale “centro”, o perché tale condizione è stata intenzionalmente scelta o perché vi si è ritrovato suo malgrado, magari a un certo punto dell’esistenza, senza averlo intenzionalmente voluto.
«A fronte della pagina principale, codificata (i marginali costituiscono, n.dr.) una pagina secondaria, disordinata, che segue criteri diversi e divergenti»1. La marginalità è dunque una mancanza di integrazione e, se la si deve studiare, occorre farlo considerandola come un fenomeno opposto a quello dell’inclusione. E le forme di mancata inclusione oggi sono tante, legate a variabili economiche, culturali, sociali, psicologiche, educative.
Vi sono ad esempio le marginalità sociali prodotte dall’uso indiscriminato del potere economico che crea povertà inattese in singoli Stati (come nei casi delle famiglie ridotte sul lastrico dalla crisi statunitense dei mutui subprime) o le marginalità presenti a livello globale nelle moltissime sacche di povertà del terzo e quarto mondo. O le marginalità diffuse trasversali a vari gruppi sociali non integrati come le comunità di immigrati clandestini o di immigrati “regolarizzati” ma di fatto esclusi dai processi di partecipazione politica che forniscono identità e riconoscimento.
Vi sono poi le marginalità culturali prodotte dal mancato riconoscimento dei diritti e delle pari opportunità quali quelle che toccano la condizione femminile e dell’infanzia in innumerevoli luoghi del pianeta. Ed esistono le marginalità scolastiche dell’allievo “studioso” escluso dal gruppo perché troppo “secchione” o dell’allievo svantaggiato portatore di modelli sociali a rischio di devianza che cozzano con quelli proposti dalla scuola.....
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