D’Agostino: il relativismo non detti legge a scuola
Il presidente dell’Unione cattolica dei giuristi italiani: c’è una tendenza che minaccia la scuola, sempre più in bilico tra tecnicismo e arbitrio dei singoli docenti
di PAOLO VIANA
L’ emergenza educativa viene da lontano ma investe la scuola e le impone un cambiamento di rotta. Ne è convinto Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione Cattolica dei Giuristi Italiani, docente e presidente onorario del comitato nazionale di bioetica, che definisce la Settimana Sociale «un’occasione preziosa», ma sottolinea al contempo la latitanza del mondo laico, ancora condizionato da battaglie laiciste che gli impediscono di cogliere l’opportunità di un dibattito serio con i cattolici sul tema educativo. Sullo sfondo la sfida educativa si intreccia con la questione antropologica e con l’avanzare del relativismo.
L’emergenza educativa entra prepotentemente nell’agenda di Reggio Calabria, come 'il tema pubblico per eccellenza'. Ci sono le risorse per superarla?
Esiste indubbiamente un’emergenza di carattere empirico della scuola italiana, che deriva da difficoltà di ordine economico e istituzionale, ma c’è un altro tipo di emergenza che ha ben poco a che vedere con le risorse che sono destinate alla scuola e con la capacità dell’istituzione scolastica di organizzarsi in modo moderno e adeguato. È il problema della crisi valoriale che attraversa anche la scuola e che raccorderei al relativismo su cui da tempo il Papa porta l’attenzione. Un aspetto che in ambienti non cattolici continua a suscitare imbarazzo quando non addirittura disinteresse.
Qual è l’impatto del relativismo sulla scuola italiana?
La cultura relativista continua a porre il tema della libertà - tema malposto - come se la formazione della libertà dovesse passare attraverso una formazione al relativismo e il risultato di quest’operazione non può che essere rovinoso perché o la scuola si appiattisce sul tecnicismo oppure cade in mano all’arbitrio dei singoli docenti che portano avanti, ciascuno, la propria visione del mondo, disconoscendo anche la possibilità di portare i propri valori su un piano di universalità, in quanto il relativismo resta chiuso nel suo orizzonte particolare. Questo è un tema immenso su cui una grande discussione pubblica ancora non si è aperta. Ad eccezione dei cattolici, che si impegnano molto su questo terreno, ci sono state solo innumerevoli geremiadi, poco consapevoli del retroscena culturale della crisi della scuola.
La sfida educativa, però, va ben oltre i banchi di scuola...
Ma si radica prima di tutto nell’esperienza scolastica perché quando nella scuola manca un orientamento ai valori - e non parlo di valori confessionali, ma di valori umani fondamentali - e si pensa che la 'neutralità' debba essere la stella polare dell’istruzione pubblica, i giovani, nel momento in cui escono dal contesto scolastico per immettersi in qualsiasi ambito professionale, portano con sé questo tarlo. La vicenda del crocifisso nelle scuole, ancora aperta a livello europeo, è emblematica. Le ripetute pressioni a togliere il crocifisso - e non per evitare favoritismi confessionali, ma negando quei valori umani profondi di cui il crocifisso è simbolo - devono preoccupare tutti.
Perché, allora, un evento come le Settimane Sociali non innesca quel dibattito nazionale di cui c’è tanto bisogno?
Le Settimane sono preziosissime perché inducono i cristiani a prendere consapevolezza dell’essenzialità di questi temi, cioè fanno parte di un continuo processo di evangelizzazione che non è solo catechesi ma assunzione di responsabilità: il cristiano non può tirarsi fuori dal mondo in quanto crede che il messaggio di Dio debba sempre esservi incarnato. Ma le Settimane sono anche una provocazione per la cultura non cristiana. Peccato che quest’ultima cerchi ogni occasione per non lasciarsi provocare e tirarsi fuori dal confronto con le istanze sociali dei cristiani. Questo non ci induca tuttavia alla rassegnazione. Sant’Antonio da Padova quando non trovò i fedeli in chiesa andò sulla riva del mare e fece la predica ai pesci: salirono tutti a sentirla. I semi che lanciamo saranno raccolti.
da Avvenire, 17.10.2010 pag.5
Nessun commento:
Posta un commento