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sabato 13 settembre 2025

SALVI NELLA CROCE

 

Esaltazione della santa croce

Nm 21,4b-9; Sal 77 (78); Fil 2,6-11; Gv 3,13-17


Commento di Ester Abbattista

Il Vangelo di questa domenica ci mette di fronte alla realtà della vita. Come per gli Israeliti nel libro dei Numeri, l’esperienza del vivere non è semplice e nemmeno «leggera». E questo vale per tutti; certo ci sono situazioni estreme, persone che sperimentano sulla propria pelle il dolore, la sofferenza di guerre, carestie e catastrofi naturali come terremoti o inondazioni. Ma anche per chi è «risparmiato» da tali sciagure «la fatica» del vivere si presenta in tutta la sua complessità.

Per quanto possiamo sentirci sicuri economicamente, sappiamo che il denaro non è tutto, e soprattutto non garantisce serenità e benessere profondo; alla fine tutti ci ritroviamo a dover fare i conti con la nostra morte, con la fine della nostra esistenza, e il fatto di avere o meno denaro si riduce all’unica differenza che rimane possibile: una bella e lussuosa bara o un sacco di plastica se non la semplice nuda terra.

Mi viene sempre in mente una persona che ho incontrato diversi anni fa: era una persona economicamente benestante, aveva realizzato un’impresa solida e di successo ma, mi aveva confidato, aveva paura di morire. Era questo il suo dramma interiore che non gli dava pace: la paura della morte. Per sopravvivere a tale paura cercava qualsiasi cosa che gli avrebbe potuto prolungare la vita, era andato persino diverse volte in Cina per acquistare un certo tipo di bacche che avrebbero avuto la caratteristica di procurare longevità. Non so se questa persona sia oggi ancora in vita o meno, ma mi è rimasto dentro il suo disperato desiderio di essere salvato dalla morte, il desiderio di una salvezza che il suo denaro non poteva comprare.

Un tempo, fin quando si era giovani la morte sembrava essere una cosa lontana, che riguardava gli altri, i «vecchi» o i pochi sfortunati che per un incidente o una malattia cadevano prima lungo il percorso. Questa però è l’esperienza di chi giovane non lo è più; non credo, infatti, che oggi per i giovani sia ancora così. Non conosco le statistiche dei suicidi giovanili, ma ci sono alcuni indizi che mi fanno pensare che anche per i nostri giovani il limite della morte stia diventando un problema da «anestetizzare», a volte proprio suicidandosi, magari on-line per sopravvivere per sempre nella rete.

Ritornando quindi alla «fatica del vivere» da cui nessuno è esente, ciò che emerge è proprio la fragilità di questa vita, dove non basta avere da mangiare, dove, come i serpenti nel deserto, tutto ci causa insicurezza, vulnerabilità, dolore. Per far fronte alle insidie del deserto Mosè, per ordine di Dio, costruisce un serpente di bronzo appeso a un palo: guardare quel serpente significa essere salvati dai morsi dei serpenti veri.

Questa immagine viene ripresa poi nel Vangelo dove il «serpente innalzato» è Gesù stesso morto in croce. E anche in questo caso l’invito è lo stesso: alzare gli occhi, guardare e credere. Non si tratta di una magia o di un qualcosa di miracoloso, ma di un cambio paradigmatico di visione non tanto esteriore quanto interiore. Non basta infatti alzare gli occhi, lo sguardo, ma ciò che fa la differenza è proprio «credere» che quel serpente di bronzo, che quel Gesù crocifisso, faccia la differenza.

Cerchiamo dunque di capire in che cosa consiste questa differenza. Prima di tutto va forse sottolineato che in entrambe le scene, sia quella nel deserto con Mosè e i serpenti che in quella del crocifisso, non viene annullato il pericolo, l’origine e la minaccia di quel male mortale. I serpenti non spariscono dalla scena, così neanche i soldati romani e chi con loro ha permesso la crocifissione di Gesù, Pilato in primis. Non viene annullata la fragilità della condizione umana, la vulnerabilità e la fatica del vivere che essa comporta, ma ancora di più non viene annullata la morte; ciò che avviene è un cambiamento di prospettiva, potremmo dire di «piano di visione», che proietta chi guarda in una dimensione diversa, una dimensione di salvezza.

La fede in definitiva è proprio questo: credere, essere capaci di aprirsi a una dimensione che, pur appartenendo a questa realtà, l’attraversa, la supera, la «squarcia» e permette di cogliere quel barlume di luce che morte non conosce. L’esperienza di quella luce trasforma gli ambiti ristretti della vita, non elimina il dolore, la fatica, la morte, ma àncora il proprio sguardo verso quell’«oltre» che questa stessa realtà racchiude.

È proprio vero che la morte è il limite invalicabile della vita, la fine del tutto? Se sì, allora è bene che il nostro sguardo sia rivolto in basso, facendo attenzione ai serpenti che attanagliano i nostri piedi nella speranza che il loro morso ci colga il più tardi possibile; se no, certo cercheremo sempre di evitare i serpenti, ma cercheremo soprattutto di tenere lo sguardo rivolto verso quella luce, lasciando che il nostro cuore si colmi di quel respiro di speranza che riempie di senso questa nostra «fatica» di vivere.

IL REGNO

Immagine: Pieter Degrebber, Mosè e il serpente di bronzo

WORLD DREAM DAY

 

Sognare il futuro:

 le parole dei Papi 

che esortano 

a non smettere

 di sognare

Il 25 settembre si celebra la Giornata mondiale dei sogni, istituita nel 2012 per incoraggiare persone, famiglie e comunità a dedicarsi di più ai loro obiettivi. Il tema del sogno si è intrecciato, in più occasioni, con discorsi e riflessioni dei Pontefici

-       - di   Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

La giornata World Dream Day è un’occasione per spronare uomini e donne, nonostante possibili difficoltà ed ombre, ad inseguire i propri sogni. Il punto di partenza è una visione del futuro che, attraverso l’impegno e il sacrificio, può diventare realtà. Quando si raggiunge un obiettivo, il sogno è una speranza tramutata in qualcosa di concreto. Quello del sogno è anche un tema che i Papi hanno affrontato nel loro magistero. In questa pagina ripercorriamo alcune di queste riflessioni che si alternano con frasi di pensatori, filosofi, scrittori.

"Questo è il nostro tempo. 

Sogniamo insieme un futuro di felicità" - Papa leone XIV


Non perdere la capacità di sognare

Durante la visita in Slovacchia, incontrando i giovani il 14 settembre del 2021 nello Stadio Lokomotiva di Košice, Papa Francesco li esorta a sognare: "Quando sognate l’amore, non credete agli effetti speciali, ma che ognuno di voi è speciale, ognuno di voi. Ognuno è un dono e può fare della vita, della propria vita, un dono. Gli altri, la società, i poveri vi aspettano. Sognate una bellezza che vada oltre l’apparenza, oltre il trucco, al di là delle tendenze della moda. Sognate senza paura di formare una famiglia, di generare ed educare dei figli, di passare una vita condividendo tutto con un’altra persona, senza vergognarsi delle proprie fragilità, perché c’è lui, o lei, che le accoglie e le ama, che ti ama così come sei. Questo è l’amore: amare l’altro come è". Non si deve “perdere la capacità di sognare il futuro”, spiega poi Francesco nella meditazione il 18 dicembre del 2018 durante la Messa a Casa Santa Marta. San Giuseppe può essere un riferimento per ogni cristiano: a lui “chiediamo la grazia di saper sognare cercando sempre la volontà di Dio nei sogni, e anche la grazia di accompagnare in silenzio, senza chiacchiere”. Nel videomessaggio del 2016 ai giovani cubani, il Pontefice si sofferma sul “desiderio di sognare”. “Per essere portatori della speranza - sottolinea Papa Francesco - è necessario che non perdiate la capacità di sognare. Ricordatevi che nell’oggettività della vita deve entrare questa capacità di sognare e che chi non ha la capacità di sognare è rinchiuso in sé stesso. Aggiungerei ancora: chi non ha la capacità di sognare, è già andato in pensione”.

Sogni ispirati dalla bellezza

I sogni possono anche essere alimentati dalla bellezza, dai linguaggi dell’arte, della musica. Incontrando gli artisti il 21 novembre del 2009 nella Cappella Sistina, Papa Benedetto XVI sottolinea che il mondo “rischia di cambiare il suo volto a causa dell’opera non sempre saggia dell’uomo”. “Che cosa - chiede il Pontefice - può ridare entusiasmo e fiducia, che cosa può incoraggiare l’animo umano a ritrovare il cammino, ad alzare lo sguardo sull’orizzonte, a sognare una vita degna della sua vocazione se non la bellezza?”. “Voi sapete bene cari artisti, che l’esperienza del bello, del bello autentico, non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso e della felicità, perché tale esperienza non allontana dalla realtà, ma, al contrario, porta ad un confronto serrato con il vissuto quotidiano, per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso, bello”.

“Credo che solo una cosa renda impossibile la realizzazione di un sogno: la paura di fallire. (Paulo Coelho)”

Sogni da tramutare in capolavori

I sogni sono anche il frutto di un’opera da realizzare giorno dopo giorno. Durante la visita pastorale a Genova Papa Giovanni Paolo II il 22 settembre del 1985, rivolge queste parole ai giovani radunati nel Palazzo dello sport: “È Pietro, roccia per chiamata divina, come dice anche il canto che è stato composto per questa occasione, che vi esorta a non appiattirvi nella mediocrità, a non assuefarvi ai desideri mondani, a non voler vivere solo a metà, con aspirazioni ridotte o, peggio, atrofizzate. Il Papa è venuto per invitarvi al cammino, alla novità continua da cercare dentro di voi, con la vostra stessa vita. Giovani genovesi, non lasciatevi vivere, ma prendete nelle vostre mani la vostra vita e vogliate decidere di farne un autentico e personale capolavoro!”.

“La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro. Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare. (Arthur Schopenhauer)”

Investire nei sogni

I sogni realizzati sono figli di impegno e spirito di sacrificio. All’Angelus del 17 settembre del 1978Papa Giovanni Paolo I ricorda che dalle scuole esce “la classe dirigente di domani”, tra cui “ministri, deputati, senatori, sindaci, assessori o anche ingegneri, primari”. “Il generale Wellington, quello che ha vinto Napoleone - sottolinea in quell’occasione il Pontefice - ha voluto tornare in Inghilterra a vedere il collegio militare dove aveva studiato, dove si era preparato, e agli allievi ufficiali ha detto: ‘Guardate, qui è stata vinta la battaglia di Waterloo’. E così dico a voi, cari giovani: avrete delle battaglie nella vita a 30, 40, 50 anni, ma se volete vincerle, adesso bisogna cominciare, adesso prepararsi, adesso essere assidui allo studio e alla scuola”.

“Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso (Nelson Mandela)”

I Santi ci fanno sognare

I sogni si legano inoltre alle testimonianze scaturire da percorsi di vita tracciati nel solco della santità. Nella solennità di Tutti i Santi, il primo novembre del 1969Papa Paolo VI all’Angelus afferma che i Santi “ci fanno sognare”. “Essi ci mandano questo consolante messaggio: è possibile e lo confermano con i loro esempi, con la loro fraterna intercessione. Ci insegnano quali sono i veri valori indispensabili: quelli della pietà, quelli della bontà. Ci fanno sognare i Santi. Ma non sono sogni. È una visione ch’essi ci aprono davanti, la visione del cielo; del cielo sopra la terra; del cielo dove con Cristo campeggia la Regina del cielo, alla quale diciamo il Nostro Angelus”.

“Non sono niente. Non sarò mai niente. Non posso volere d’essere niente. A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo. (Fernando Pessoa)”

Sogni da Assisi al mondo

I sogni possono anche diventare realtà. Papa Giovanni XXIII, rivolgendosi il 4 ottobre del 1962 ai fedeli riuniti presso la Basilica inferiore ad Assisi, ricorda il cammino percorso da San Francesco. “Il possesso di Dio fu dapprima il sogno, poi la meta di Francesco d'Assisi. Da giovanetto egli aveva tutto, ma niente gli bastava. Volle darsi al Signore, per possedere Dio quanto più intensamente possibile; e per arrivare a tanto, egli si spogliò di tutte le cose terrene”. “San Francesco, aggiunge Papa Roncalli, ha riassunto “in una sola parola il ben vivere, insegnandoci come dobbiamo valutare gli avvenimenti, come metterci in comunicazione con Dio e con i nostri simili”. Questa parola “dà il nome a questo colle che incorona il sepolcro glorioso del Poverello: Paradiso, Paradiso!”. 

“Fidatevi dei sogni perché in loro è nascosta la porta dell'eternità. (Kahlil Gibran)”

Progetti da realizzare

I sogni possono diventare la realizzazione di progetti di vita. Rivolgendosi a giovani sposi durante l’udienza generale del 27 gennaio del 1943 , Papa Pio XII si sofferma sulla “virtù del focolare domestico”. La famiglia è un focolare acceso con il matrimonio. Ed è aperto al futuro. “Il focolare. Quante volte - afferma il Pontefice - specialmente dacché avete pensato alle nozze, dal tempo del vostro fidanzamento, voi, diletti sposi novelli, avete sentito risonare questa parola alle vostre orecchie nel coro delle felicitazioni e degli auguri dei vostri parenti e dei vostri amici! Quante volte essa è salita spontaneamente dal vostro cuore alle vostre labbra! Quante volte vi ha riempiti di una dolcezza ineffabile, compendiando in sé tutto un sogno, tutto un ideale, tutta una vita”.

“Siamo fatti anche noi della materia di cui sono fatti i sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita. (William Shakespeare)”

Sogni premonitori

I sogni possono anche essere premonitori. Nella lettera del 1934 di Papa Pio XI che proclama santo don Giovanni Bosco, si ricorda come i passi della vita possono essere preceduti dall’esperienza del sogno. “Ma più che d’ogni altro preferiva occuparsi dei ragazzi e dei giovani, specialmente di quelli che, abbandonati dai genitori, trascinavano una vita oziosa ed errabonda tra le insidie della strada, senza che alcuno pensasse a parlare loro di Dio e li educasse all’onestà del vivere. E ritenendo che proprio questa fosse la particolare missione dalla Provvidenza di Dio assegnatagli, già, come si narra, prevista in sogno fin dalla sua fanciullezza, e cioè condurre sulla via della salute i ragazzi specialmente dell’infima plebe, dopo matura riflessione, con generoso animo stabilì di consacrarsi completamente all’attuazione di quest’opera, tanto più che già prevedeva quanto essa fosse per giovare all’intera società civile”.

“Quando sogna, l’uomo è un gigante che divora le stelle. (Carlos Saavedra Weise)”

Sogni degli anziani

I sogni scaturiscono anche dalla voce preziosa degli anziani, con il loro fondamentale ruolo di testimoni di vita e di fede. Gli anziani, come ha più volte ricordato Papa Francesco sono la memoria, le radici dei popoli, l'anello di congiunzione tra le generazioni.  Nel videomessaggio per la prima giornata mondiale dei nonni e degli anziani , il Pontefice scrive: “I sogni sono intrecciati con la memoria. Penso a quanto è preziosa quella dolorosa della guerra e a quanto da essa le nuove generazioni possono imparare sul valore della pace. E sei tu a trasmettere questo, che hai vissuto il dolore delle guerre. Ricordare è una vera e propria missione di ogni anziano: la memoria, e portare la memoria agli altri”. I sogni sono un ponte tra generazioni, si intrecciano con speranze e progetti. Per questo vanno custoditi e non si deve smettere di sognare.

Vatican News

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VIRTU' TEOLOGALI


 Fede, speranza e carità non sono separate né in una rigida successione, ma si incrociano e sostengono l’un l’altra nel corso di tutta la nostra vita. 

 

 -

di Enzo Bianchi 

 Abbiamo cercato di comprendere almeno un poco come fede, speranza e carità, le tre virtù o forze che vengono da Dio e sono dette “teologali”, siano essenziali nel cammino di vita cristiana. Sarebbe però un errore dovuto a scarsa esperienza e a superficialità nella lettura della propria esperienza spirituale fare una rigida separazione tra di loro o vederle in successione come se ognuna generasse la successiva. In realtà nella nostra vita umana che procede, come diceva Gregorio di Nissa, “di inizio in inizio per inizi senza fine”, e anche per regressioni e cadute, le tre virtù si incrociano sovente e l’una sostiene l’altra. Non ha nessun senso scrivere che al prete è più necessaria la speranza della fede... questa è un’idiozia. Santa Teresina sul letto di morte confessava alla priora: “Madre, non credo più!”, e nello stesso tempo esclamava: “Mio Gesù, come vi amo!”. In quella morte era l’amore che suppliva alla distanza dalla fede! 

 Pensando a noi e alla nostra esperienza posso dire che non è vero che diventando vecchi la fede si rafforza: quasi sempre si fa più dubbiosa anche se si conserva fino alla fine, ma l’amore per il Signore diventa ardente, desiderio di raggiungerlo per essere con lui per sempre. La speranza spera al di là della morte e più si avvicina alla morte più può crescere, ma questa crescita è il lavoro dell’ostetrica che prepara e aiuta ciò che verrà! Per questo resta fondamentale nella vita umana l’attesa della venuta del Signore: “Egli viene! Egli è alle porte!”. Il cristiano non solo lo crede ma lo invoca e lo annuncia agli altri perché questa è Buona notizia, Evangelo! È dare speranza, è un grande atto di carità!

 

Famiglia Cristiana

 

UN ASSASSINIO PREMEDITATO

Immagine che contiene Viso umano, persona, vestiti, uomo

Il contenuto generato dall'IA potrebbe non essere corretto.    L’assassinio di Kirk e la perversa alternativa dell’Occidente






-di Giuseppe Savagnone 


Un atto di violenza che ferisce la democrazia

La morte di un essere umano è sempre una tragedia, soprattutto se si tratta di un giovane di 31 anni con una graziosa moglie e due figli. Ma il brutale assassinio di Charlie Kirk assume un significato particolarmente drammatico agli occhi di chiunque abbia a cuore la democrazia, perché è l’indice di un clima esasperato di conflittualità che la avvelena, e non solo negli Stati Uniti.

Da questo punto di vista, appare appropriato il commento del nostro ministro degli Esteri, Tajani: «La violenza verbale e la criminalizzazione del pensiero altrui possono accendere lugubri pensieri in menti malate che, all’insegna dell’odio, possono compiere gesti criminali come quelli che hanno provocato morte del blogger americano Charlie Kirk. Chi la pensa diversamente da noi non è mai un nemico, ma un avversario con cui confrontarsi».

Kirk è stato ucciso mentre dialogava con gli studenti di un campus universitario, proseguendo la missione a cui si era consacrato con grande successo, che era di rimettere in discussione la cultura “woke” dominante, spesso in forme intolleranti, nelle università americane. Era un uomo vicinissimo a Donald Trump, e costituiva quasi una “cinghia di trasmissione” tra il Tycoon e il mondo giovanile.

Ma questo non giustifica le accuse isteriche che sono state immediatamente rivolte alla sinistra da politici e giornalisti della destra. Come quelle urlate a Capitol Hill, ai democratici presenti, dalla deputata repubblicana Anna Paulina Luna, secondo cui «sono stati loro a causare tutto questo». Altri sono andati ancora oltre. Jesse Watters, conduttore di Fox News (emittente molto vicina a Trump), ha dichiarato: «Vendicheremo la morte di Charlie nel modo in cui lui avrebbe voluto». E il giornalista Matt Forney si è spinto fino a scrivere: «È tempo di una repressione totale contro la sinistra. Ogni politico democratico deve essere arrestato e il partito va bandito».

In realtà gli esponenti democratici sono stati unanimi nel condannare l’omicidio. «Non c’è posto nel nostro Paese per questo tipo di violenza. Deve cessare immediatamente», ha dichiarato l’ex presidente democratico Joe Biden su X. E sulla stessa linea si sono pronunziati tutti gli altri leader dell’opposizione.

Ma chi non è sembrato tenerne conto è stato soprattutto Trump. Il presidente ha definito Kirk una «vittima delle retorica della sinistra radicale», che «da anni paragona meravigliosi americani come Charlie ai peggiori criminali della storia», creando un clima d’odio: «Questa retorica è direttamente responsabile per il terrorismo che stiamo vedendo nel Paese e deve cessare ora».

Trump ha anche chiamato in causa la libertà di pensiero e di espressione: «La violenza e l’omicidio», ha detto, «sono le tragiche conseguenze della demonizzazione di coloro con cui non si è d’accordo», ha detto, accusando ancora una volta la «sinistra radicale» di incitare all’odio e al caos.

Non si può evitare l’impressione che il capo della Casa Bianca stia approfittando dell’uccisione di Kirk per ribadire e potenziare la sua politica di militarizzazione del paese, già in atto con il dispiegamento della Guardia nazionale nelle principali città americane, per lo più amministrate dai democratici. Una politica giustificata dal presidente come necessaria a contrastare un preteso aumento della criminalità, smentito però nettamente dalle statistiche, che parlano, invece, di una sua riduzione.

Peraltro Trump, richiamando precedenti casi di violenza politica, non ha detto una parola proprio sul più grave e recente di questi episodi, quello dell’assassinio, nello scorso giugno, di Melissa Hortman, figura di spicco del partito democratico in Minnesota, ritrovata uccisa con suo marito nella loro abitazione.

Secondo le prime indagini, un uomo armato, travestito da agente di polizia, avrebbe compiuto quello che il governatore del Minnesota Tim Walz ha definito «un omicidio politico deliberato», che però ha avuto sui media e nell’opinione pubblica una risonanza immensamente inferiore a quello di Kirk e ora non è stato neppure menzionato nella ricostruzione di Trump.

La gratitudine a Dio dell’on. Bignami

Anche in Italia – paese ormai strettamente legato agli Stati Uniti dalla sintonia fra Trump e la nostra presidente del Consiglio – l’assassinio di Kirk ha scatenato una  campagna di demonizzazione degli esponenti della sinistra. Il capogruppo di FdI,  Galeazzo Bignami, in questa occasione, li ha definiti «impregnati di odio, livore, rancore. Ringrazio Dio di non avermi creato come loro».

«Morto a destra, festa a sinistra», è il titolo di «Libero» sull’accaduto. In prima pagina il quotidiano riporta anche un’immagine, apparsa sui social, in cui Kirk è rappresentato a testa in giù, con sovrimpressa l’indicazione «-1». E «Il Giornale», sotto il titolo «Uccisa la libertà di parola», mette: «La sinistra giustifica l’assassino. Meloni: non ci intimidiscono».

In realtà, i commenti della sinistra politica sono stati unanimemente di netta condanna. Valga per tutti quello di Elly Schlein: «L’uccisione di Charlie Kirk è drammatica e scioccante. In una democrazia non può e non deve trovare alcuno spazio la violenza politica, che va sempre condannata in modo netto a prescindere dalle idee di chi colpisce».

Il principale bersaglio delle accuse della destra, però, sono stati gli intellettuali, in particolare Roberto Saviano, che ha accostato l’assassinio di Charlie Kirk all’incendio del Reichstag, nel 1933, strumentalizzato da Hitler di proclamare lo stato di emergenza e reprimere i diritti civili, aprendo la strada alla dittatura nazista. Preoccupazione legittima, alla luce di quanto prima abbiamo visto.

«Ma» – ha subito sottolineato lo scrittore – «le parole sono parole e la violenza è violenza (…) Non esistono omicidi che difendono idee: il sangue versato indebolisce sempre la democrazia». Precisazione che, in verità, smentisce inequivocabilmente la tesi di una sua compiacente connivenza con l’accaduto. Con buona pace di Meloni, a quanto pare nessuno vuole intimidirla.

Anzi, se di violenza si deve parlare…

Ritorna la domanda: ma è davvero la sinistra – o, almeno, solo la sinistra – ad essere responsabile del clima di violenza che ha reso la democrazia-simbolo dell’Occidente «una polveriera» – secondo la definizione di Robert Pape, professore di scienze politiche all’Università di Chicago – , portandola a quella che Newt Gingrich, ex speaker repubblicano della Camera, ha chiamato una «guerra civile culturale»?

Forse, se si parla di violenza, bisognerebbe tenere conto del ruolo che nei suoi effetti, spesso drammatici, ha il libero commercio delle armi, sancito dal Secondo emendamento della Costituzione americana, fortemente voluto dalle industrie belliche e sostenuto a spada tratta dai repubblicani contro la “sinistra” democratica.

Non può non impressionare, a questo proposito, che lo stesso Charlie Kirk abbia sostenuto, poco tempo prima della sua uccisione, che «alcune morti causate dalle armi da fuoco sono un costo accettabile da pagare per poter mantenere il Secondo emendamento».

Ma soprattutto è inevitabile confrontare le parole di Trump, riguardo alla violenza del linguaggio e alla demonizzazione degli avversari politici, con il suo stile abituale. A cominciare dal minaccioso avvertimento lanciato, già prima della sua rielezione, il 17 marzo 2024, dal palco dell’Ohio: «Se perdo, sarà un bagno di sangue».

Per proseguire con le promesse di vendetta e punizione dei suoi “nemici”,  più volte ripetute durante le ultime settimane della campagna elettorale, col giuramento di estirpare «il nemico interno», precisando che avrebbe persino usato l’esercito per dare la caccia ai suoi avversari politici.

E ha mantenuto la parola. Abbiamo appena detto dell’uso sproporzionato e allarmate dell’esercito. Ma è tutto il comportamento del nuovo presidente che conferma le sue minacce.

«Stiamo certamente assistendo a un’ondata di vendette da parte di Trump che non avevamo mai visto prima» ha constatato un osservatore. Andando ben al di là del fisiologico uso dello Spoils system, ha epurato il governo federale e l’esercito, ha tagliato i fondi a università, media, istituzioni culturali e persino squadre sportive. Ha insultato pubblicamente il suo immediato precessore, Biden e, a luglio, in un post sul suo social «Truth», ha condiviso un video generato dall’intelligenza artificiale, in cui era rappresentato l’altro presidente democratico, Barack Obama, ammanettato da agenti dell’FBI e trascinato fuori dallo Studio Ovale.

Per non parlare della promessa campagna di «deportazione» di undici milioni di latinos immigrati (in gran parte, peraltro, ormai inseriti nella società americana), fatti oggetto di una vera e propria caccia all’uomo strada per strada, di cui il Tycoon ha ogni tanto voluto dare prova postando compiaciuto le immagini di gruppi di loro in catene e in ginocchio.

La crisi più profonda

A questa causa Charlie Kirk ha consacrato senza riserve le sue grandi doti di intellettuale e di comunicatore, sostenendone efficacemente le ragioni in innumerevoli dibattiti. E sposando, così, anche le scelte del presidente americano in politica estera, a cominciare dal sostegno incondizionato a Israele in quello che ormai molti, anche ebrei israeliani, definiscono un genocidio.  

Da qui le addolorate condoglianze del premier Netanyahu, che ha dichiarato: «Charlie Kirk è stato assassinato per aver detto la verità e difeso la libertà. Un amico coraggioso di Israele, ha combattuto le menzogne e si è eretto a difesa della civiltà giudeo-cristiana». Condoglianze a cui si è unito il ministro estremista Ben Gvir, che ha commentato: «La collusione tra la sinistra globale e l’Islam radicale è il più grande pericolo per l’umanità oggi».

Forse è proprio in questi ultimi riferimenti la chiave ultima per capire la posizione di Charlie Kirk. Come ha sottolineato Antonio Socci, su «Libero», in un editoriale dal titolo «La lezione cristiana del trumpiano ucciso», Kirk era «un devoto cristiano evangelico». È noto che le sette evangeliche sono tra le principali sostenitrici di Trump, che vedono in lui la sola alternativa alla cultura “woke”, sostenuta da molti democratici, e alla crescente influenza dell’islam attraverso i movimenti migratori. Anche molti cattolici – emblematico il caso del vicepresidente Vance – si sono schierati dalla sua parte.

Non è un caso che i due successi elettorali di Trump siano stati ottenuti rispettivamente nei confronti di Hillary Clinton e di Kamala Harris, entrambe esplicite e accanite sostenitrici della liberalizzazione totale dell’aborto, in linea con la cultura assolutizzata dei diritti e in radicale contrasto con la visione cristiana della persona. 

Purtroppo, per quanto lontana sia dal vangelo la visione individualista e libertaria   della sinistra, nulla può autorizzare a definire quella di Kirk, per usare le parole di Socci, una «lezione cristiana». Come non lo è quella dei politici che anche in Italia amano sventolare il vangelo ed esibire la loro adesione alla prospettiva cattolica.

Interrogato dai giornalisti, alla vigilia delle ultime elezioni americane, su quale dei due candidati preferisse, papa Francesco ha risposto semplicemente: «Ambedue sono contro la vita, sia quello che butta via i migranti sia quello che uccide i bambini». Senza parlare delle povere vittime di Gaza…

L’assassinio di Charlie Kirk, per la sua violenza, è certamente il sintomo allarmante di una crisi della civiltà e della democrazia dell’Occidente. Ma forse ancora più grave, perché più profondo e meno percepito dall’opinione pubblica e dagli osservatori, è il ridursi di destra e sinistra – negli Stati Uniti e da noi  – a questa perversa alternativa, che esclude non solo il vangelo, ma la nostra stessa umanità.

www.tuttavia.eu

Photo Gage Skidmore from Flickr


 

L'ERA DELLE MIGRAZIONI

 

Immaginiamoci in una situazione simile a quella di tanti migranti: sradicati da casa nostra, strappati alla nostra lingua madre, in cerca di un futuro per noi e i nostri cari mossi da disperata speranza. Che cosa faremmo?


- di Luciano Manicardi

 

«Non opprimerai il forestiero: voi infatti conoscete il respiro del forestiero, perché siete stati forestieri in terra d’Egitto» (Es 23,9). Il divieto di opprimere gli immigrati è motivato dal rimando alla situazione vissuta da Israele quando era emigrato in Egitto. Rimando di valenza teologica: JHWH è il Dio dei migranti. Egli si è rivelato a Israele quando questi era emigrato in Egitto. Proteggere lo straniero residente nel proprio Paese significa per Israele confessare la fede in JHWH. Al contrario, sfruttare, maltrattare, respingere gli immigrati, per Israele equivale a bestemmia e idolatria. Se Israele si è preoccupato della sorte degli immigrati, non è perché minacciato da loro, ma perché cosciente che essi abbisognavano di protezione. Così Israele ha elaborato un «diritto dell’immigrato» redigendo diversi corpi legislativi che sono giunti a rendere l’immigrato un membro della comunità dei figli d’Israele: «Come un nativo dei vostri sarà per voi l’immigrato» (Lv 19,34). I nostri tempi sono stati definiti «l’era della migrazione». Un’era caratterizzata da globalizzazione delle migrazioni, aumento della diversità dei Paesi da cui si emigra e dei motivi per cui si emigra, femminilizzazione delle migrazioni, passaggio di un sempre maggior numero di Paesi da terre di emigrazione a terre di immigrazione. E anche da elaborazione di politiche migratorie dei Paesi di destinazione che si sono sempre più spudoratamente colorate di tinte «criminali» (Etienne Balibar). 

Occorre dunque una presa di coscienza e una denuncia. Una «società decente» non umilia, cioè non assegna a categorie deboli uno statuto di minore umanità. E una società può umiliare anche assicurando ai propri cittadini ciò che non assicura a immigrati, rifugiati, esiliati che godono di diritti limitati. La burocrazia può essere umiliante, basata com’è su relazioni spersonalizzate e insensibile all’unicità di ogni persona. Respingimenti di massa di migranti, detenzioni illegali, deportazioni annunciate di interi popoli, non sono più solo casi di violazione di diritti umani ma fanno parte di un esplicito processo di rigetto di principi di civiltà enunciati dalle Costituzioni di molti Stati. I discorsi e le pratiche pubbliche sdoganano comportamenti «facili» e «di pancia» da parte di tanta gente comune, così che si assiste a espressioni e pratiche di odio che sgomentano. Nel 2019, dopo un naufragio nel Mediterraneo in cui erano morti 150 esseri umani, diverse persone hanno scritto dei post sui social di impressionante crudeltà: «Peggio per loro», «Mangeranno i pesci», «Se non partono non muoiono». Ernst Bloch, nel 1935, interrogandosi sul consenso di massa ottenuto del nazismo, parlava di «metamorfosi in demoni di gente proletarizzata». L’ostentazione pubblica di cattiveria e inumanità spacciate per autenticità e l’esibizione di crudeltà verso povera gente echeggiano le farneticazioni presenti nel Mein Kampf, dove si inneggia al «dovere» di essere crudeli «con la coscienza pulita». Le emozioni della paura (suscitare la paura dei locali verso gli immigrati e incutere negli immigrati la paura dei locali) e della vergogna (indurre gli stranieri a vergognarsi della loro condizione e infondere nei locali il senso della vergogna per la presenza sporca e indecorosa degli immigrati) rientrano in una strategia che rastrella consensi per politiche disumane spacciate per misure securitarie. 

Di che cosa c’è bisogno? Di memoria storica. Le leggi dell’Antico Testamento sugli immigrati si reggono sulla memoria: «Ricordati che sei stato emigrato in terra straniera». Gli italiani potrebbero ricordare che nello stesso tratto di mare in cui ai nostri giorni muoiono migliaia di persone che dall’Africa cercano di venire in Europa, tra fine XIX e inizi XX secolo sono morti tanti italiani che su imbarcazioni di fortuna si recavano in cerca di lavoro in Tunisia, allora protettorato francese. E poi dovettero sottostare al rimpatrio ordinato dalle autorità francesi. La memoria della sofferenza subita preserva dal ripeterla e riversarla su altri. C’è bisogno di empatia. Come quella espressa dal protagonista del romanzo Voci del verbo andare di Jenny Erpenbeck. Riflettendo sulla condizione dei migranti, che egli coglie come persone escluse dallo spazio e dal tempo, fuggite da un luogo inospitale verso Paesi che li rigettano, senza più passato e senza un futuro, egli dice tra sé: «Una vita nella quale un presente vuoto è occupato da un ricordo che ti riesce insopportabile e il cui futuro non accenna a manifestarsi, dev’essere molto faticosa, perché in una vita simile manca, per così dire, una riva a cui approdare». C’è bisogno di tanto altro ancora, ma proviamo anche noi a fare l’impossibile esercizio di immaginar noi stessi in una situazione simile: sradicati da casa nostra, strappati alla nostra lingua madre, in cerca di un futuro per noi e i nostri cari mossi da disperata speranza.

Messaggero di Sant'Antonio



 

venerdì 12 settembre 2025

IN CERCA DI FELICITA'

 


"La felicità è una costruzione collettiva"

L’ultima ricerca Gallup evidenzia che a livello mondiale la percezione di soddisfazione e felicità è in costante aumento, ovunque tranne gli Stati Uniti e gran parte dell'Europa.

 

-         di Mauro Magatti 

-          L’ultima ricerca Gallup evidenzia che a livello mondiale la percezione di soddisfazione e felicità è in costante aumento.

Un risultato dovuto in larga parte al miglioramento del tenore di vita nelle economie emergenti dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina.

Al contrario, continua la tendenza negativa dei Paesi occidentali (Australia compresa): negli ultimi vent’anni, il numero di persone soddisfatte negli USA è sceso dal 70% al 49%.

In Europa, invece, si è passati dal 55% al 42%.

Unica eccezione il Nord Europa, dove si registra un netto miglioramento, dal 50% al 65%.

Al di là dei limiti dello strumento utilizzato (viene misurata la percezione soggettiva), la ricerca segnala dunque un significativo deterioramento del benessere percepito nei Paesi avanzati.

La spiegazione non può essere ridotta alla sola dimensione economica.

Negli USA, il PIL è aumentato costantemente nel corso degli anni. Cosi in Germania e Inghilterra.

Ma questo non è bastato.

Il fatto è che, superata una certa soglia, la felicità non aumenta in modo proporzionale al PIL. Anzi, può addirittura diminuire.

Ciò è dovuto a due ragioni principali.

La prima è che, nelle società avanzate, la crescita non distribuisce i propri benefici a tutti i gruppi sociali.

Al contrario, le disuguaglianze aumentano, così come la precarietà e il lavoro fragile.

Perciò, non è affatto detto che una maggiore crescita economica significhi un maggiore benessere per tutti.

La seconda, puntualmente rilevata dai ricercatori, è che nelle società ad alto reddito la vita diventa difficile e solitaria.

E quando non si dispone di un adeguato capitale economico, culturale e relazionale, a crescere sono la solitudine, la depressione e lo stress legato alle performance richieste.

È questo il male sottile che sta colpendo le società occidentali: l’insoddisfazione diffusa alimenta la sfiducia nelle istituzioni e nelle élite, favorisce le pulsioni populiste e rende più difficile il dialogo sociale.

Altri dati raccolti da Gallup permettono di concludere che lo sviluppo di una società avanzata è un processo sofisticato che, oltre all’aspetto economico, coinvolge almeno altri tre pilastri.

In primo luogo, la qualità dei contesti relazionali, a partire da quelli familiari.

Non è sufficiente vivere in case confortevoli o avere redditi elevati: il benessere umano dipende in larga misura dalla capacità di stabilire e mantenere legami affettivi solidi.

Le famiglie e le reti di prossimità, come gli amici, i vicini e le associazioni, sono un potente antidoto alla solitudine e alla frammentazione sociale.

Le politiche che sostengono la genitorialità, la conciliazione tra lavoro e vita privata e la creazione di spazi di incontro e socialità hanno un impatto significativo sulla felicità collettiva.

In secondo luogo, la qualità dei beni collettivi.

L’eccezione del Nord Europa insegna molto da questo punto di vista: la legalita, l’ambiente, l’istruzione pubblica, i trasporti efficienti e accessibili, gli spazi verdi urbani e la sicurezza dei quartieri sono tutti fattori che contribuiscono a creare un contesto di vita più sereno e vivibile.

A differenza dei beni di consumo individuali, i beni collettivi generano benefici diffusi e duraturi, rafforzando il senso di appartenenza e la fiducia reciproca.

Trascurarli significa compromettere il tessuto sociale e, di conseguenza, la qualità della vita. Infine, ciò che fa la differenza è la possibilità di impegnarsi (in modo professionale o volontario), in luoghi e organizzazioni che perseguono uno scopo positivo e sono attenti alle nuove sensibilità sociali.

Lo sfruttamento fine a sé stesso e le logiche esclusivamente strumentali non motivano nessuno e riducono la felicita.

La lezione della ricerca Gallup è quindi duplice.

Il miglioramento materiale resta fondamentale per chi parte da condizioni di svantaggio: ridurre la povertà e garantire i diritti fondamentali è una priorità globale.

Ma nelle società che hanno già superato questa soglia, il compito è più complesso: bisogna ricostruire le condizioni sociali, culturali e istituzionali che rendono possibile una vita buona.

Le economie prospere hanno bisogno di un tessuto sociale che favorisca la risonanza e il riconoscimento reciproco e di assetti politico-istituzionali capaci di prendersi cura dei beni pubblici.

La felicità, come sottolinea il Rapporto, è una costruzione collettiva tanto quanto un’esperienza individuale. Riguarda l’io e il noi.

La felicità dipende sì dalle opportunità economiche, ma anche, e soprattutto, dalla qualità delle relazioni, dalla cura dei beni comuni e dalla possibilità di dare un senso condiviso alla propria esistenza.

Solo integrando queste dimensioni, lo sviluppo può dirsi davvero sostenibile.

Per l’economia e per le persone.

E quindi per la democrazia.

 

Corriere della Sera

L'UNIONE FA LA FORZA


 Competenze, competenze digitali

 e

 apprendimento. 


 

·       Dati INVALSI

·       Educazione digitale

·       Prove INVALSI 2025


Roberto Ricci su X

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Competenze, competenze digitali e apprendimento. L’unione fa la forza



Roberto Ricci su X

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A pochi giorni dalla presentazione del Rapporto INVALSI il Presidente Roberto Ricci approfondisce in questa riflessione alcuni elementi cruciali emersi dalla Rilevazione 2025, che per la prima volta ha misurato anche le competenze digitali dei nostri studenti. Sono aspetti che hanno delineato un quadro della Scuola quanto mai ricco di indicazioni per lo sviluppo di linee progettuali per il futuro.

dati della Rilevazione nazionale 2025 hanno messo a fuoco, forse più che in passato, aspetti di grande complessità nella nostra Scuola. Tra le tante informazioni emerse sono sicuramene di grande interesse quelle relative alle competenze digitali dei giovani, rilevate per la prima volta con una somministrazione che, in questa prima fase, è stata circoscritta a un campione statisticamente significativo di studenti del secondo anno di Scuola secondaria di secondo grado.

Le ragioni che orientano l’attenzione della Scuola verso questo particolare repertorio di competenze sono esplicitate a livello europeo nella Raccomandazione del Consiglio sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente, in cui si sottolinea che

La competenza digitale implica l’uso sicuro, critico e responsabile delle tecnologie digitali e il loro impiego nell’apprendimento, nel lavoro e nella partecipazione alla società. Comprende l’alfabetizzazione all’informazione e ai dati, la comunicazione e la collaborazione, l’alfabetizzazione ai media, la creazione di contenuti digitali (compresa la programmazione), la sicurezza (compreso il benessere digitale e le competenze relative alla sicurezza informatica), le questioni relative alla proprietà intellettuale, la risoluzione di problemi e il pensiero critico.

Si tratta infatti di competenze chiave, essenziali per i cittadini per la realizzazione personale, uno stile di vita sano e sostenibile, l’occupabilità, la cittadinanza attiva e l’inclusione sociale.

La connessione forte delle competenze digitali con le altre competenze è messa in evidenza dalla Prova INVALSI. Come afferma il Presidente Ricci, siamo tra i primi a dotarci di un sistema di rilevazione di questo tipo e con esiti piuttosto interessanti come, ad esempio, sollecitare tantissime considerazioni che mettono in luce ciò che caratterizza positivamente la nostra scuola, come l’esercizio di compiti attivi […] e questa è un’attività fondamentale che la scuola esercita allo scopo di sollecitare, favorire e sostenere lo sviluppo delle competenze chiave, tutte complementari e strettamente interconnesse tra loro.

Ciò implica che essendo strettamente collegate, l’acquisizione di una competenza favorisce lo sviluppo delle altre, e questo vale anche per la competenza digitale.

DigComp 2.2 Il Quadro delle Competenze Digitali per i Cittadini

Se il contesto di provenienza è un fattore determinante nel promuovere, ostacolare o rallentare l’acquisizione di tali competenze, ancora una volta – asserisce Roberto Ricci – si evidenzia l’importanza dello spazio 0-6, poiché già a partire da una fase di sviluppo così precoce il sostegno degli apprendimenti si esercita lungo tante direzioni, che però sono molto coerenti tra loro.

I dati che le Rilevazioni ci permettono di raccogliere sono un capitale prezioso per identificare e definire la direzione da prendere per migliorare l’esistente. Con la loro oggettività consentono infatti di definire l’entità del fenomeno che ci interessa approfondire e  ci mostrano tendenze che diversamente non sarebbero chiare […] Sfruttare anche le competenze digitali come strumento alternativo – o meglio, complementare- per raggiungere quote sempre più ampie di giovani è una grandissima opportunità. Io credo si possa fare tantissima buona scuola – e questo i dati ce lo dicono – perseguendo obiettivi fondativi, e quindi molto antichi della nostra scuola, in una chiave moderna, attuale, futura.

  Approfondimenti