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-di Alessandro D’Avenia
Il Pantone Color Institute ha scelto per il 2026 un
colore paradossale: il bianco.
Per
identificarlo lo ha infatti dovuto rappresentare con una donna che danza tra le
nubi: «Cloud Dancer». Non quindi un bianco sparato, ma una
tonalità ariosa e pacifica come le nubi dei giorni sereni, che invoca calma in
una vita maltrattata da un eccesso di stimoli, paure, rumori, fretta... È ora
di dare «una mano di bianco» a quest'anima nostra così usurata. Il bianco
inaugura, viene prima del colore, come la biacca sulle tele dei pittori. È
indossato da chi ha, almeno negli intenti, purezza e virtù: papi, spose,
medici, neonati, cuochi, tennisti (a Wimbledon), defunti (in Oriente) e, nell'antica Roma, ragazzi tra 14 e 18 anni e politici in
campagna elettorale, «candidato» era infatti chi indossava una veste bianca (candida) in segno di onestà.
Un
rumore si dice bianco perché contiene tutte le frequenze, smorza gli altri
rumori e calma anima e corpo. Sul ponte purtroppo non sventola la bandiera
bianca, in compenso prenotiamo le settimane bianche. Notti e balene se sono
bianche diventano memorabili. Diciamo bianco il vino che in realtà non lo è, ma
il rosso e il bianco, sangue e latte, sono i colori della vita e per questo i
primi a esser nominati in quasi tutte le culture. Mettere nero su bianco è
chiarezza, avere carta bianca è libertà. E bianco è il Natale anche perché la
luce torna a prevalere sul buio. Bianco viene infatti da una radice antica per
«splendore». E noi, splendiamo?
Bianca
è la luce dei fotoni che in 8 minuti dal Sole incontra le cose terrestri,
colorandosi delle frequenze che ciascuna riflette (il colore di una cosa è
proprio quello che essa restituisce alla luce, una specie di grazie che ognuna
pronuncia apparendo), quindi un oggetto è bianco quando riflette quasi tutta la
luce che lo investe, non trattiene nulla, come le nubi, la neve, il latte, i
cigni, le ninfee e la Luna che infatti catturano artisti e bambini.
L'esperienza del bianco è esperienza radicale, del venire alla luce e quindi
del venire alla vita.
Qualche
giorno fa mentre passeggiavo in una tersa notte stellata stesa su maestose
montagne innevate, la Luna, che gli antichi chiamavano Selene, cioè la
Splendente, piena per l'ultima volta nell'anno, faceva brillare la neve in un
crescendo di quel bianco che per Kandinsky colpisce gli uomini come un grande assoluto.
Nel cielo danzava in bianca coreografia anche Orione, costellazione invernale, visibile da quasi ogni
punto della Terra e nota, con miti diversi, a quasi tutti i popoli della
Storia. Per i Greci antichi era il coraggioso Cacciatore che sfida il Toro o lo Scorpione, costellazioni a cui contende la volta
celeste.
Sotto
un cielo così è difficile avere pensieri cattivi, e forse per questo le città
di notte sono spesso malvagie o tristi, perché ci rubano il bianco di Luna e
stelle, bianco che risveglia in noi il desiderio (distanza de- dalle stelle
-sidera) di vita, spazio vuoto che chiede pienezza, mancanza non assenza. Lo
sapeva il presidente della Repubblica Ceca, Václav Havel, che nel 2002 firmò una legge per proteggere
il cielo stellato, imponendo limiti alla luce artificiale emessa verso
l'alto.
Per
Havel, che era un artista, la politica era un potenziamento della libertà dei
cittadini, e quindi della loro ricerca di senso che sempre comincia dalla
bellezza: senza cielo stellato è impossibile avere un'anima, sentire la
gratuità della vita, come il giovane Werther di Goethe che tentenna di fronte al suicidio perché non
vuole perdere lo spettacolo delle stelle.
«Fill
in the blanks» (riempi gli spazi) mi chiedevano gli esercizi scolastici
d'inglese, e in quella lingua infatti la radice di «bianco» ha dato la parola
«blank», un vuoto da riempire. Bianco è lo spazio in cui la vita chiede
compiutezza, attesa di colori. L'esperienza del bianco è questa: io non mi
basto, e non bastarsi è l'origine di ogni ricerca e quindi di ogni compimento,
difficile da accettare in una cultura del «pienessere», dal tempo (ri-)pieno di
bambini derubati dell'immaginazione che cresce solo nel vuoto, all'ego di
adulti pieni di sé e quindi vuoti d'amore.
Chi
è pieno non crea altra vita, la consuma o si consuma. Un paradosso che Cristo
delinea in una di quelle sue pazze definizioni di felicità: «Beati quelli che
hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati», perché può essere
felice solo chi cerca la verità (giustizia ne è sinonimo nella lingua
evangelica) e trasforma il desiderio in azione creativa. Crea chi sa stare nel
vuoto, nel bianco, come lo scrittore nella pagina, il pittore nella tela, il
musico nel silenzio, l'innamorato nella distanza, lo scienziato nell'ignoto,
l'uomo nella preghiera... La vita è già in noi, come lo sono i colori nella
luce, ma come i colori emergono quando la luce incontra un limite, così la vita
si colora grazie ai nostri limiti, intesi come ciò che ci rende unici.
L'odierna
fortuna dell'armocromia tradisce un profondo bisogno spirituale: rivogliamo i
nostri colori in un quotidiano spesso grigio e uniforme in cui non c'è spazio
per diventare chi siamo ma solo chi ci dicono o obbligano ad essere.
Il
bianco ce lo chiede con la sua luce: «Ricomincia, prepara i colori». È il
colore del desiderio, che è quella inesauribile mancanza che ci rende incapaci
di accontentarci di niente che non sia «per sempre», cioè infinito, e ci spinge
quindi a cercare e creare sempre il nuovo: «ancora» è l'avverbio del
desiderio.
Desideriamo
senza poter esaurire il desiderio, perché il desiderio non è di qualcosa di
preciso, perché è l'energia stessa che ci rende vivi, ci spinge a mettere vita
nella vita, a diventare vivi.
Agostino per questo diceva che vivere è esercizio del
desiderio: «C’è una preghiera interiore che non conosce interruzione, ed è il
desiderio. Se non vuoi interrompere la preghiera, non smettere mai di
desiderare. Continuo è il tuo desiderio, e continua sarà la tua voce... non
sempre esso giunge alle orecchie degli uomini, ma non resta mai lontano dalle
orecchie di Dio».
Perché
il bianco del 2026 non resti una metafora, una trovata pubblicitaria, un colore
da indossare e basta, usiamolo come colore dell'anima. Il Natale è allora
l'occasione per riscoprire che cosa ci impedisce di venire alla luce e quindi
alla vita, per questo è bianco, non per la neve e le luci artificiali, che sono
solo metafore mondane della verità, ma perché illumina, anche con dolore, gli
angoli bui della nostra vita: disamore, paure, fallimenti, tristezze, rabbia,
fatiche, inquietudine, ferite, tradimenti, delusioni... Ma è proprio grazie a
questo buio che può brillare la vita che noi da soli non ci siamo dati e non
possiamo darci, ed è questa Vita che è luce invincibile che festeggiamo: «In
lui è la vita e la vita è la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre
ma le tenebre non l'hanno vinta» (Gv 1).
Corriere della Sera
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