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sabato 6 dicembre 2025

PREPARATE LE VIE DEL SIGNORE

 

Voce di uno che grida nel deserto: 

Preparate la via del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri!


7 dicembre 2025

II Domenica d’Avvento A

Mt 3,1-12

 

Commento del Patriarca di Gerusalemme,  Card. Pizzaballa

 Sia il tempo di Avvento che quello della Quaresima portano con sé un urgente invito alla conversione.

I due inviti, però, hanno una sfumatura diversa: il tono della Quaresima è più penitenziale, rimanda alla lotta interiore, ed indica pratiche come il digiuno, l’elemosina e la preghiera. È la conversione del cuore, che ha bisogno di lasciarsi trasformare dall’amore pasquale, un amore che vince il peccato e la morte.

La conversione che ci viene proposta nel tempo dell’Avvento riguarda innanzitutto lo sguardo: vuole aiutarci a fare attenzione, a saper riconoscere il Signore che viene. È una conversione “escatologica”, un gioioso apprendimento a vivere fin d’ora come cittadini del Regno che viene.

La conversione è il tema centrale anche del brano di Vangelo di questa seconda domenica di Avvento (Mt 3,1-12). E proprio questo brano ci aiuta ad approfondire il rapporto tra Avvento e conversione.

Protagonista è Giovanni, il Battista, che è nel deserto e da lì invita tutti alla conversione (Mt 3,1-5).

La sua figura, austera, rimanda a quella del profeta Elia, e quindi suscita in chi lo vede e lo ascolta l’attesa della venuta imminente del Messia. Il profeta Malachia, infatti, aveva legato il ritorno di Elia alla venuta del Messia, e questa credenza era comune in quel tempo. (“Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore: egli convertirà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri” - Mal 3,23-24). La predicazione del Battista creava proprio questa atmosfera di attesa. L’eco della sua parola è forte: in molti scendono al Giordano e si fanno battezzare, confessando i propri peccati (Mt 3,5-6).

Le sue parole scuotono tutti, ma soprattutto quei molti “farisei e sadducei” (Mt 3,7) che si lasciano richiamare da Giovanni e che si sentono apostrofare “razza di vipere”: Giovanni denuncia la possibile ipocrisia di coloro che si accontentano di una religiosità esteriore, e non si aprono invece ad una reale conversione del cuore.

L’invito, per tutti, è quello di entrare in un atteggiamento penitenziale, per essere pronti ad accogliere Colui che sta venendo e che Giovanni descrive come uno più forte di Lui, che battezzerà in Spirito Santo e fuoco, che giudicherà tutti con giustizia (Mt 3,11-12).

Due sono dunque i poli di questo processo di rinnovamento che Giovanni cerca di innestare: da una parte la conversione e dall’altra l’attesa. Sono due poli fondamentali per la vita di fede, e vanno tenuti insieme.

Perché senza conversione, l’attesa rischia di essere sterile: un sogno vago, una speranza che non incide nella vita concreta. Ma senza attesa, la conversione rischia di diventare moralismo, un esercizio ascetico chiuso in se stesso, che non apre all’incontro con l’Altro.

Giovanni Battista, invece, tiene insieme questi due atteggiamenti, e lo dice da subito: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 3,2). La vicinanza del Regno è la ragione, il motore della conversione, che diventa così un volgere lo sguardo verso Colui che viene, verso Colui che si attende.

Per conversione non si intende lo sforzo volontaristico di chi cerca di migliorarsi, di non commettere più errori. La conversione, sempre rimanendo nelle immagini usate da Giovanni, assomiglia piuttosto al lavoro del contadino, che si prende cura delle sue piante.

Giovanni usa l’immagine agricola per due volte in questo brano: prima, quando chiede a farisei e sadducei di fare frutti degni della conversione (“Fate dunque un frutto degno della conversione” - Mt 3,8); poi, subito dopo, al v. 10, quando afferma che la scure è posta alla radice degli alberi, e che ogni albero che non dà buon frutto sarà tagliato (“La scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco” -Mt 3,10).

La conversione di cui parla il Battista, dunque, non consiste nel fare uno sforzo temporaneo, che solitamente si esaurisce in breve tempo, o di darsi uno stile moralistico. Si tratta invece di fondare la vita, di mettere le proprie radici in ciò che, poco alla volta, costruisce una vita piena e grata: la relazione con Dio. Nell’ascolto perseverante della Parola di Dio, e lasciandosi trasformare il cuore dall’attesa di Colui che viene per amore della nostra vita, perché la nostra vita porti frutti.

 + Pierbattista

 Patriarcato latino di Gerusalemme

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