un'educazione inclusiva?
Le scuole
del Patriarcato Latino
La
testimonianza di don Ibrahim Shomali, direttore delle scuole in Israele del
Patriarcato Latino di Gerusalemme
-di
Emiliano Eusepi
Si
può vivere in Terra Santa un’educazione inclusiva che può superare gli ostacoli
e difficoltà presenti nella terra dove "tutti siamo nati"? Abbiamo
provato a parlarne con don Ibrahim Shomali, direttore delle scuole
in Israele del Patriarcato Latino di Gerusalemme che ci ha aperto il
cuore e ci ha mostrato i timori e le speranze di una realtà, quella degli Arabi
Cristiani che vivono in Israele, di cui forse si parla poco, ma che invece si
tratta di una testimonianza da far conoscere e che ci fa riflettere su quante
problematiche sono presenti nella Terra di Gesù.
La
testimonianza di don Shomali aiuta a comprendere quanto possiamo imparare dalle
pietre vive della Terra Santa, che sono i giovani che aiutati nella loro
formazione attraverso le scuole del patriarcato rappresentano la speranza di
una nuova epoca segnata dalla riconciliazione e dalla pace, proprio là nella
terra del "principe della pace".
Questa
speranza testimoniata dalla vivacità delle attività delle scuole del
patriarcato si alimenta e cresce nella preghiera che è l'unica sorgente a cui
attingere per superare i nostri conflitti interiori e con gli altri. Il Santo
Padre nella lettera Apostolica " Disegnare nuove mappe di speranza"
mette in primo posto proprio la vita spirituale del giovane, e scrive che
" ... i giovani chiedono profondità; servono spazi di silenzio,
discernimento, dialogo con la coscienza e con Dio".
Ma
quale importanza ha la fede negli studenti delle scuole del patriarcato e che
valore ha l'accompagnamento spirituale nella loro vita di studenti?
Don
Ibrahim risponde che la domanda le lega alla Chiesa Universale e a quello che
scrive il Papa, perché la fede ha certamente un ruolo centrale nella vita degli
studenti, "perché noi offriamo radici spirituali , senso di appartenenza e
strumenti anche per affrontare le sfide dove viviamo, e l’accompagnamento
spirituale è fondamentale per guidare gli studenti nel discernimento ma anche
di crescita della coscienza, crescita, interiore, personale, ma soprattutto una
coscienza cristiana per essere consapevoli di quello che stiamo vivendo" e
don Shomali insiste che" la fede dà identità in un posto dove abbiamo
perso la nostra identità, non sappiamo chi siamo, perché siamo qui e cosa
dobbiamo fare". La missione spirituale delle realtà educative in Terra
Santa ha certamente un’importanza proprio perché ha le sue radici nella storia
dei luoghi santi e nonostante la presenza ridotta dei Cristiani in questi
luoghi, si tratta però di un piccolo seme che può dare frutto se il terreno
dove loro vivono viene "curato e preparato". E il terreno più
produttivo è il cuore dei giovani che in Terra Santa necessitano di attenzioni
particolari e che veramente hanno bisogno di un’educazione" cuore a
cuore".
"Si,
afferma don Ibrahim l’educazione cristiana in Israele, svolge un ruolo
fondamentale nel promuovere l’identità, il rispetto reciproco e il dialogo in
un contesto molto pluralista, le scuole affrontano questa realtà in modo
inclusivo e con programmi mirati alla convivenza", convivenza, afferma
però, è una parola che non esprime molto, secondo lui, la realtà in cui vivono
i Cristiani in Terra Santa, e ci dice che" non mi piace molto la parola
convivenza ed io preferisco dire vivere insieme ma sicuramente un punto
importante delle scuole è l’identità e le radici, e nelle nostre scuole
proviamo ad educare i nostri studenti cristiani a rafforzare la propria
identità perché si è capaci di dialogo con gli altri, soprattutto quando
sappiamo chi siamo".
Nella
lettera apostolica " Disegnare Mappe di Speranza ", il Santo Padre ha
aggiunto tra le priorità educative quella di educare ad una pace disarmata e
disarmante, in un contesto segnato da tensioni e conflitti, ma don Shomali ci
ricorda che "per il Papa la pace non è solo un obiettivo ma un metodo
educativo, e le beatitudini sono il cuore dell’insegnamento cristiano, bisogna
trasformare questo “beati gli operatori di pace” in un’occasione per costruire
ponti, che è quello di cui ha bisogno la Terra Santa. Nel contesto nostro,
anche nei nostri programmi educativi significa anche il parlare con calma,
anche con gli studenti e gli insegnanti, e soprattutto favorire la
riconciliazione aiutando la gente anche a riconciliarsi con sé stessi e con il
loro vicino educando al vivere insieme".
E
dopo aver ricordato le difficoltà che la comunità cattolica in Israele deve
affrontare, conclude la sua riflessione dicendo che "...dobbiamo superare
quell'odio che sta creando questa guerra, un odio profondo e difficile.
La
guerra prima o poi finirà con la vincita di uno e la perdita dell'altro o un
accordo, ma l'odio rimarrà per anni e anni quindi il ruolo dello dei cristiani
é quello di creare ponti per far sparire questo odio da dove viviamo.
ACI Stampa
Nessun commento:
Posta un commento