XXIX Domenica
del Tempo Ordinario C
Lc 18,1-8
Commento del Card.
Pierbattista Pizzaballa, Patriarca L. di Gerusalemme
Un giudice
C’è innanzitutto un giudice, che viene
descritto come una persona che non teme Dio e non ha rispetto per nessuno (Lc
18,2). È un uomo di potere, che usa il proprio potere in modo arbitrario,
corrotto e disonesto (“Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto” -
Lc 18,6), senza cuore, incapace di compassione.
Una vedova
Accanto a lui, ecco la figura di una vedova
(Lc 18,3). Al contrario del giudice, la vedova è una persona senza potere,
senza appoggi, senza nessuno che la aiuti a garantire i propri diritti: è il
simbolo per eccellenza di quella parte di umanità povera e dimenticata, i cui
diritti vengono facilmente calpestati.
Il paradosso della parabola è che questa
donna, povera, esce vincente dal contrasto. Tutto potrebbe farci pensare che il
giudice senza cuore non si occuperà mai di lei, che questa donna sarà
condannata ad essere sempre sconfitta; invece non è così.
Anche il giudice, che sembra inattaccabile,
ha un punto debole, e questa donna è capace di trovarlo, di avvalersene e,
infine, di ottenere la giustizia che le spetta.
La vedova non desiste fino a quando questo
non accade.
Nella sua parabola, Gesù vuole sottolineare
innanzitutto la figura della vedova, più che quella del giudice.
Il giudice serve a Gesù solo per mettere in
risalto la figura della vedova.
Un Padre
Uscendo dalla parabola, infatti, chiarisce
subito che il Padre, a cui rivolgiamo ogni nostra preghiera, non è come questo
giudice, ma semmai esattamente come il suo contrario: “Ascoltate ciò
che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi
eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a
lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente” (Lc 18,
7-8).
La preghiera, allora, non consiste nel voler
convincere Dio, come se fosse un giudice riluttante, o un nemico da portare
dalla propria parte. La preghiera è credere che il male, come il giudice
disonesto, ha un punto debole, è destinato a soccombere, non è eterno.
Il punto debole del male è il tempo.
Lo deduciamo dalle parole stesse del giudice,
che decide di fare giustizia alla vedova perché questa non vada continuamente ad
importunarlo (Lc 18,5). Il male non ha pazienza, non vive sulle lunghe
distanze, non regge la durata del tempo. Ha fretta ed è incapace di attendere:
si esaurisce e non può durare a lungo.
La vedova, invece, non ha nulla, ma ha tempo.
Sa aspettare, dunque, e vive della logica del Regno, che cresce piano, che
matura lentamente, che sa attendere. Sa attendere quel momento in cui
prontamente Dio farà giustizia (“Io vi dico che farà loro giustizia
prontamente” - Lc 18,8).
Ci soffermiamo su due termini di quest’ultima
frase.
La giustizia
Il primo è “fare giustizia”. Per Dio, fare
giustizia non significa risolvere i problemi, punire i cattivi, dare a ciascuno
ciò che gli spetta. Per Dio fare giustizia significa salvare, e salvare tutti,
facendo maturare il bene fino al punto di essere in grado di fiorire e di
portare frutti, per tutti.
Il secondo è l’avverbio “prontamente”, che
non significa subito, immediatamente.
Significa, piuttosto, “al tempo opportuno”, e
non ha nulla a che fare con la fretta di cui il male ha bisogno.
È una fretta distruttiva, la sua, mentre il
tempo di Dio è quello della fede, silenziosa e tenace, che ha memoria, che sa
perseverare.
Dio è alleato del tempo: lo dona ai poveri, e
lo vive con loro, sostenendo la loro attesa con una promessa che parla del suo
farsi presente prontamente nella loro storia.
La fede
E l’uomo è chiamato, da parte sua, a pregare
sempre (“Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre,
senza stancarsi mai” - Lc 18,1): che non significa pregare tanto, ma
sempre, con quella fede che non è lo slancio di un momento ma la lenta
maturazione della vita di Dio in noi.
È questa la fede che il Signore vuole
trovare, al suo ritorno: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà
la fede sulla terra?” (Lc 18,8).
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