Giovanni 20,19-31
(At 5,12-16; Ap 1,9-11a.12-13.17-19)
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre
erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei
Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto
questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il
Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre
ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e
disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui
perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non
saranno perdonati». 24Tommaso,
uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli
dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro:
«Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel
segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». 26Otto
giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso.
Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi
disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano
e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli
rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse:
«Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno
creduto!». 30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri
segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi
sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e
perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Commento
di di Luciano Manicardi*
Nel
brano evangelico (Gv 20,19-31) della seconda domenica di Pasqua il Risorto
manifesta la sua presenza nel corpo comunitario guarendo con
le piaghe del suo corpo ferito di Crocifisso Risorto l’incredulità di Tommaso e
ricomponendo l’unità del gruppo dei discepoli. Nella prima lettura (At 5,12-16)
viene mostrato il dispiegarsi delle energie della resurrezione nelle guarigioni
che gli apostoli compiono sul corpo di molti malati. Infine, nella
seconda lettura (Ap 1,9-11a.12-13.17-19), la presenza vivificante del Risorto
si trova al cuore delle comunità cristiane (cf. Ap 1,13) in un giorno preciso,
“il giorno del Signore” (Ap 1,10), la domenica, divenuta memoriale
della resurrezione nel dipanarsi della storia. Inoltre, il testo di Gv 20
presenta la particolarità di mostrare l’autocoscienza evangelica: il libro
parla di se stesso. Potremmo dire che siamo di fronte a una sorta di
autobiografia del libro del vangelo. L’evangelista dichiara che il vangelo
(“questo libro”: v. 30) è un insieme di segni scritti, è cioè sacramento della
potenza di resurrezione del Signore: nel libro è insita la capacità di destare
la fede che conduce alla pienezza di vita in Cristo (v. 31). Giovanni, poi,
l’autore dell’Apocalisse (Ap 1,4.9), riceve il comando di scrivere le visioni e
le profezie che diverranno parola indirizzata a ogni comunità cristiana (Ap
1,11.19) e che, letta nell’assemblea, farà regnare le energie pasquali guidando
ciascuna comunità nel cammino della conversione. Il corpo del Risorto ridà
unità al corpo comunitario e si fa raggiungere e “toccare”
attraverso il vangelo che è corpo scritto.
Una
prima venuta (Gesù “venne”: v. 19; non si parla di apparizioni ma di venute:
cf. anche v. 26: “venne Gesù”) del Risorto è narrata in Gv 20,19-23. In questi
versetti l’evangelista annota l’adempiersi di diverse parole pronunciate da
Gesù nei discorsi di addio (Gv 13-17). Anzitutto la promessa della sua venuta:
“Verrò da voi” (14,18.28). Quindi, le parole “Pace a voi” (vv. 19.21), che non
sono un semplice augurio, ma esprimono il dono effettivo della pace, realizzano
le parole espresse in Gv 14,27: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”.
Inoltre, i discepoli “vedono” il Signore (20,20; cf. anche: “Abbiamo visto il
Signore”: 20,25) realizzando quanto promesso da Gesù in 14,19: “Il mondo non mi
vedrà più, voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete”. La stessa
gioia che i discepoli provano al vedere il Signore (“i discepoli gioirono al
vedere il Signore”: 20,20) era stata annunciata da Gesù: “Il vostro cuore
gioirà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (16,22). Il mandato che il
Risorto affida ai discepoli, il loro invio (“Come il Padre ha mandato me,
anch’io mando voi”: v. 21) dà compimento all’annuncio che Gesù aveva rivolto ai
discepoli di renderli suoi testimoni (“Lo Spirito darà testimonianza di me e
anche voi date testimonianza”: 15,27). Ma soprattutto, ora avviene la
comunicazione dello Spirito ai discepoli (“Ricevete lo Spirito santo”: v. 22),
quello Spirito la cui venuta è stata annunciata più volte nei discorsi di addio
(14,16-17.26; 15,26; 16,7-11.12-15). Lo stretto rapporto di Gv 20,19-23 con i
precedenti discorsi di addio di Gesù ci consente un approfondimento
interessante.
Quei
discorsi Gesù li ha pronunciati mentre stava per separarsi dai discepoli: sono
parole pronunciate nell’imminenza della sua morte. La morte del maestro getta
il gruppo dei discepoli in una situazione di crisi. Allo shock di
fronte alla prospettiva di restare senza guida e riferimento, segue la fase
di smarrimento, di timore e angoscia il cui esito può essere una
ripresa, un ricominciamento, ma anche una dissoluzione.
In realtà, le parole di Gesù nei capitoli 13-17 intravedono la ripresa
comunitaria, infondono speranza e parlano del futuro del gruppo. Tanto che
potremmo riconoscere la struttura tipica delle iniziazioni dietro ai discorsi
di addio di Gesù. Uno studioso come Mircea Eliade ha collegato crisi e
iniziazione e ha letto come prove iniziatiche anche le tappe che Jung ha
riconosciuto come momenti verso l’individuazione: si tratta del percorso
trasformativo costituito dai tre momenti della separazione,
della liminalità e della re-integrazione.
Nell’iniziazione vi è una separazione, una perdita, una morte simbolica che
immette in una fase di precarietà, di liminalità, che sfocia nella
re-integrazione nel gruppo sociale. I riti di iniziazione, che sempre integrano
la morte nella vita e mettono l’iniziato in contatto con la morte inculcandogli
il principio del “muori e divieni!” inducono una crisi che sarà superata
positivamente perché avviene in contesto protetto, sotto lo sguardo accudente
del gruppo umano di appartenenza. E nei discorsi di addio? Sono diversi gli
accenni alla separazione: “ancora per poco sono con voi” (13,33);
“un poco e non mi vedrete più” (16,16); “io non sono più nel mondo” (17,11).
Diversi sono anche i riferimenti alla situazione di liminalità,
incertezza e precarietà in cui si vengono a trovare i discepoli: “non sappiamo
dove vai” (14,5); “voi piangerete e gemerete, … voi sarete nella tristezza”
(16,20); “vi disperderete ciascuno per proprio conto” (16,32). Si pensi anche
alla paura che domina i discepoli e su cui si apre il brano evangelico odierno
(v. 19). E la reintegrazione? Qui compare l’elemento peculiare e
originale. La reintegrazione scaturisce dalla ricezione del dono dello Spirito
e si configura come rinnovamento radicale, anzi, come nuova creazione del
singolo come della comunità per opera dello Spirito. È lo Spirito, infatti, che
nell’intimo del discepolo gli ricorda le parole del Signore, diviene suo
maestro interiore, lo rende testimone di Gesù, è ermeneuta del non detto di
Gesù (cf. Gv 16,12-14) ispirando l’obbedienza creativa del discepolo al suo
maestro e Signore. Ma se lo Spirito presiede alla resurrezione a discepolo di
colui che dalla morte del suo Signore era stato disorientato, esso presiede
anche alla ricomposizione del gruppo disarticolato di coloro che erano stati i
discepoli di Gesù e li rende una comunità. Qui emerge la centralità delle
parole di Gv 20,22-23 come “luogo” della ricomposizione che consente il
superamento della crisi comunitaria. La reintegrazione non è un movimento
scontato o meccanico, ma coinvolge la fede dei discepoli, la loro responsabilità,
la loro libertà, la loro intelligenza e la loro accoglienza e docilità a quello
Spirito che consentirà loro di far rivivere la presenza del Signore nelle loro
vite e nella loro comunità. E questo soprattutto attraverso il perdono:
“Ricevete lo Spirito santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno
perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (v. 22-23).
La reintegrazione è una creatio ex novo, come emerge dall’uso del
verbo emphysáo (soffiare: v. 22), apax neotestamentario che si
trova anche nel racconto creazionale di Gen 2,7. E come l’uomo creato a
immagine e somiglianza di Dio deve articolare il dono divino (l’immagine di
Dio) con la propria responsabilità (la somiglianza), così il credente nel
Risorto mentre si apre al dono dello Spirito, è chiamato al compito di
lasciarsi guidare dallo stesso Spirito facendo del perdono la propria
responsabilità. Accordando il potere di rimettere i peccati, il Risorto grava
di una responsabilità i discepoli. Le parole con cui Gesù dona lo Spirito e
invita a perdonare, accordano un potere sul male e conferiscono una
responsabilità verso gli uomini. Non viene accordato un potere sulle persone,
così che uno decida arbitrariamente se perdonare o meno. Non perdonare
non è un potere spirituale, ma una mancanza nei confronti del mandato ricevuto
dal Risorto. Le parole di Gesù suonano come avvertimento: “a chi non
rimetterete i peccati resteranno non rimessi”. Ovvero: sarà vostra
responsabilità avere tenuto il peccatore nella prigionia del male commesso.
Ormai, ogni gesto di perdono nella comunità cristiana è atto di nuova
creazione, evento escatologico, potenza di resurrezione che opera nella
comunità cristiana.
Come lo
Spirito fa regnare la potenza della resurrezione nelle relazioni tra i membri
della comunità cristiana, così, lo stesso Spirito vivifica la lettura delle
Scritture risuscitando la pagina biblica a parola vivente e vivificante oggi.
Leggere il vangelo nello spazio credente significa inserirsi nella dinamica
pasquale. Il riferimento finale al “libro” del vangelo (v. 30) fa seguito
all’episodio in cui Tommaso, assente al momento della prima venuta di Gesù,
confessa il Risorto senza nemmeno toccare con mano le ferite del Crocifisso
Risorto, ma solo perché si trova tra i suoi fratelli, al cuore della comunità
(vv. 26-29). Se la comunità è luogo sacramentale di presenza del Risorto,
altrettanto vale per la Scrittura. Il credente incontra il corpo
del Risorto nel corpo comunitario, nel corpo eucaristico e nel corpo
scritturistico: il libro del vangelo è trasfusione del corpo del Crocifisso
Risorto nello scritto, è sacramento della potenza di Dio (cf. Rm 1,16). Potenza
mostrata nella resurrezione di Gesù e che si manifesta sempre di nuovo nella
remissione dei peccati. Comunità e Scrittura sono
anche gli ambiti che oggettivano l’azione dello Spirito mentre
ne sono vivificate: esse interagiscono con lo Spirito creando una pericoresi
che si manifesta pienamente nella liturgia, in cui lo Spirito vivifica
l’assemblea rendendola corpo di Cristo e resuscita le pagine della Scritture
rendendole parola viva e attuale di Dio per il suo popolo.
*Luciano Manicardi
(Campagnola Emilia 1957), biblista, priore di Bose dal 2017 al 2022, collabora
a varie riviste di argomento biblico e spirituale. Attento all’intrecciarsi dei
dati biblici con le acquisizioni più recenti dell’antropologia, riesce a far emergere
dalla Scrittura lo spessore esistenziale e la sapienza di vita di cui è
portatrice.
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