-Vangelo: Marco 10,35-45
"In quel tempo 35si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». 37Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». 39Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
41Gli altri dieci, avendo
sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora
Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono
considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le
opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare
grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il
primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo,
infatti, non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita
in riscatto per molti».
Commento di Sabino Chialà
Il
brano evangelico di questa domenica fa seguito al terzo e ultimo annuncio della
passione, morte e resurrezione di Gesù (10,32-34). In Marco, Gesù annuncia per
tre volte l’esito della sua missione e ogni volta la reazione dei discepoli
denota la loro distanza dal pensiero del Maestro. Al primo annuncio è Pietro a
reagire (8,32-33); al secondo, l’insieme dei Dodici (9,33-34); ora è la volta
dei due figli di Zebedeo, che insieme a Pietro sono testimoni dei momenti più
alti della rivelazione del Messia Gesù (quando risuscita la figlia di Giairo,
sul monte della trasfigurazione, al discorso escatologico, al Getsemani). In
una sorta di inclusione, Marco sembra sottolineare il fatto che anche i più
intimi sono in realtà lontani.
Questo
terzo annuncio è il più dettagliato, soprattutto nella descrizione della
passione. Inoltre, qui per la prima volta Gesù rivela chiaramente la meta di
quel viaggio, cioè Gerusalemme: “Mentre erano sulla strada per salire a
Gerusalemme… “(10,32); e ancora: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme” (10,33). La
menzione della città santa è sufficiente per rendere “sgomenti” e “impauriti”
quanti lo “seguivano” (10,32).
L’ultima
parola dell’annuncio riguarda la resurrezione: “E dopo tre giorni risorgerà”
(10,34). Ciò sembra bastare ai due figli di Zebedeo per avventurarsi in quello
che costituisce il primo dei due dialoghi che costituisce la nostra pericope
(vv. 35-40). La breve menzione di un esito glorioso è sufficiente a far
dimenticare tutto il resto e ad attirare l’attenzione dei due fratelli che si
accostano a Gesù e, con piglio deciso, gli rivolgono la loro richiesta:
“Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo” (v. 35).
La
domanda sembra riorientare verso la giusta direzione quella dell’uomo ricco -
“Cosa devo fare?” (10,17) – ma la conclusione esprime ancora un protagonismo
fuori luogo. Tuttavia Gesù rilancia, ponendo anche lui una domanda: “Che cosa
volete che io faccia per voi?” (v. 36). Non abbandona i suoi alla loro
incomprensione, ma se ne prende cura, anche quando avverte una distanza così
grande. I due fratelli, infatti, non chiedono solo di condividere la sua
gloria, senza fare parola della passione, ma chiedono un posto particolare in
quella gloria: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e
uno alla tua sinistra” (v. 37). Curiosa richiesta da parte di chi era stato
testimone della trasfigurazione e aveva visto Elia e Mosè accanto a Gesù nella
gloria (9,4). E poco oltre Marco non mancherà di sottolineare che sulla croce
“a destra e a sinistra” di Gesù, nonostante la determinazione dei due a bere il
calice e a ricevere il battesimo (v. 39), ci saranno gli anonimi ladroni
(15,27).
Con
la sua risposta Gesù sembra accondiscendere alla richiesta di Giacomo e
Giovanni. Ne accoglie la lentezza, sperando che pian piano essa possa aprirsi a
un’altra comprensione. Prospetta dunque la possibilità che il loro desiderio
sia soddisfatto: bere il suo calice e scendere nell'immersione in cui egli
stesso sta per essere immerso, due immagini che rimandano alla passione e,
secondo alcuni esegeti, anche a eucaristia e battesimo. Difficile dire se
quest’ultimo riferimento fosse nell’intenzione di Marco. Certo è tuttavia che
le due immagini rimandano a una piena comunione del discepolo con il Maestro:
questo non solo non è negato, ma anzi è promesso.
Ciò
che però Gesù si premura di negare categoricamente è l’istituzione di
privilegi, primati e gerarchie: tentazione cui i discepoli avevano già mostrato
di essere inclini, proprio in risposta al secondo annuncio della passione,
allorché avevano discusso “tra loro chi fosse il più grande” (9,34). Lì sulla
terra, qui in cielo, ma la logica resta la medesima.
Ancora
privilegi! Gesù afferma invece che neppure il martirio conferisce un diritto di
preminenza. Esso è piuttosto una via per stare accanto al Maestro, camminando
con lui. Riprende dunque l’insegnamento sull’autorità iniziato in 9,33-37 e lo
completa nel secondo dialogo che compone la nostra pericope.
Ora
si rivolge all’intero gruppo dei Dodici (vv. 41-45), di cui constata
l’indignazione dinanzi alla richiesta di Giacomo e Giovanni: “Gli altri dieci,
avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni” (v. 41).
Presumibilmente quella reazione non è dovuta all’inopportunità della domanda
dei due, ma al fatto che essa pregiudicava un loro eventuale diritto.
Gesù
coglie allora l’occasione per ribadire l’insegnamento sul discepolato, cui è
particolarmente dedicata l’intera sezione (a partire da 8,31),
significativamente introdotta dall’espressione: “Se qualcuno vuol venire dietro
a me” (8,34).
Ancora
una volta Gesù chiama a sé i discepoli (v. 42). Comprende che se a più riprese
hanno mostrato distanza dal suo modo di ragionare è perché il loro modello è
quello mondano. Inizia dunque da lì: “Voi sapete che coloro che sembrano (dokoûntes)
governare le nazioni, dominano (katakyriéuousin) su di esse e i loro
grandi le opprimono (katexousiázousin)” (v. 42). Esprime così il suo
giudizio severo sul modo di esercitare il potere nel mondo, da parte di coloro
che – dice Gesù con una sottile ironia – si illudono di governare. Quindi
impiega due verbi particolarmente significativi, per dire come il bene può
essere pervertito: “dominare” e “opprimere”, imparentati con due sostantivi
cruciali nel messaggio evangelico e nel ministero messianico di Gesù. Nel primo
verbo abbiamo il sostantivo kýrios (Signore) e nel
secondo exousía (autorità). Ambedue son però preceduti dalla
preposizione katá, che attribuisce alle due forme verbali una nota
negativa, come a indicare una signoria e un’autorità pervertite e abusanti.
A
questo agire mondano, Gesù oppone l’atteggiamento richiesto a coloro che si
vogliono suoi discepoli: “Tra voi però non è così” (v. 43). La formula verbale
dice chiaramente che non si tratta di un auspicio – “non sia” - né di un
augurio per il futuro – “non sarà” – ma di un tratto imprescindibile perché
costitutivo.
Quindi
esemplifica le modalità, che sono quelle del “servitore (diákonos)” e
dello “schiavo (doûlos)”: “Chi vuole diventare grande tra voi sarà
vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”
(vv. 43-44). Chi vuol essere “grande” e non “più grande” (9,34) e chi vuol
essere “primo” (9,35) ha nel servizio l’unica via percorribile.
Questo
per una ragione cristologica, come Marco afferma nell’ultimo versetto: “Anche
il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e
dare la propria vita in riscatto per molti” (v. 45). Gesù riassume così
nell’immagine del servizio-diaconia il senso ultimo dell’intera sua esistenza e
anche della sua morte in croce, che dunque è solo l’epifania ultima del senso
della sua vita intera. La croce è l’ultima e definitiva icona dell’essere
“diaconale” di Gesù, del senso di tutta la sua esistenza. Lui, Servo del
Signore, secondo i canti del Servo di Isaia che qui sono variamente
riecheggiati, e servo dei fratelli e delle sorelle.
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