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mercoledì 11 settembre 2024

LEZIONE FRONTALE. CUI PRODEST ?

DIPENDENTI
 o RICERCATORI ?


 Il pedagogista Daniele Novara, nel suo articolo “La lezione non serve”, pubblicato su rivista Conflitti n°2-2018, si sofferma sul tema della lezione frontale.

 

“La scuola italiana ha un problema che si perde nella notte dei tempi. Questo problema non riguarda l’architettura tradizionale del sistema scolastico, i cosiddetti cicli d’istruzione, né la distribuzione delle materie nel curriculo. Non è l’abbandono scolastico, o i voti numerici e neppure la formazione degli insegnanti e il sistema di valutazione. Il problema della scuola italiana nasce da un equivoco, profondamente radicato e pervasivo, che ha un nome preciso: lezione frontale” scrive.

 “Oggi siamo passati dal manoscritto al tablet, ma il sistema resta sostanzialmente lo stesso: l’assunto che muove comunque ancora gran parte della didattica della scuola italiana è che per far imparare qualcosa a qualcuno, e quindi per insegnare, il metodo più scontato, lineare e apparentemente efficace sia quello di utilizzare il sistema della lettura di un testo associata a una spiegazione” prosegue.

 “E la didattica della lezione frontale, ancora così diffusa e persistente, se non nell’ideale decisamente nella pratica, è il retaggio di questo imprinting. È un metodo che implica una concezione dell’apprendimento come processo trasmissivo, fondato sostanzialmente sul canale verbale, e richiede tempi attentivi che tutti gli studi più recenti han­no verificato non essere sostenibili da un adulto, figurarsi da un bambino o da un ragazzo” aggiunge.

Novara continua: “Il perpetrarsi di generazione in generazione di questo meccanismo didattico nasce anche dal suo essere un dispositivo pedagogico essenziale nella sua semplicità e facilità applicativa, fondato sul codice della dipendenza. È un sistema in solo tre passaggi, accessibili e sostenibili da chiunque conosca una materia scolastica. La competenza pedagogica non serve, basta spiegare attraverso la lettura parziale o totale di testi, richiedere e incentivare lo studio individuale e infine interrogare concedendo all’alunno la possibilità di essere valuta­to in ordine alla comprensione della spiegazione dell’insegnante, che si aspetta sostanzialmente una ripetizione, più o meno pedissequa“.

 “Anche Paulo Freire, il pedagogista brasiliano tra i più importanti teorici del­ l’educazione del secolo scorso, si è espresso duramente contro la concezione da lui definita “depositaria” dell’istruzione della scuola e dell’educazione: l’educazione “depositaria” si perpetua nell’atto di trasferire, depositare come se fossero un pacchetto, conoscenze e valori in un contenitore vuoto, l’alunno, in un’azione che scaturisce da un rapporto verticale fondato su un’asimmetria di sapere e possibilità” conclude.


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