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di Vito Mancuso
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In
quest’epoca di chiacchiere, rumore e conseguente confusione il compito del
pensiero è di introdurre chiarezza, rigore e pulizia nella mente, e da lì nel
cuore. Per questo, parlando dell’amore, inizio dandone la seguente definizione:
“attrazione irresistibile che provoca nel soggetto un permanente cambiamento di
stato”. L’amore non è semplice attrazione, per poterlo avere nella sua
autenticità l’attrazione deve essere “irresistibile”; in caso contrario si ha
solo interesse, simpatia, inclinazione, affetto, trasporto, non però amore. Si
tratta della differenza che intercorre tra dire “ti voglio bene” e dire “ti
amo”: noi possiamo dire “ti voglio bene” a molte persone, mentre “ti amo” solo
a poche, anzi a pochissime, forse a una sola. E non è certo un caso che, mentre
tutti sanno dire “ti voglio bene”, non tutti sanno e possono dire “ti amo” …
Naturalmente
questo vale a condizione che si usino le parole con il giusto peso, perché
laddove non è così si può dire di tutto, per esempio “oh come ti amo” a chi ci
dà un passaggio, oppure chiamare “amore” ogni persona o cagnolino che si
incontra. Questo uso delle parole ovviamente fa perdere loro valore secondo
quel processo in economia detto inflazione che designa la perdita del potere di
acquisto della moneta; ebbene, c’è una perdita del potere di acquisto anche
delle parole perché, se si usa “amore” con tale disinvoltura, come si chiamerà
un giorno la persona che sarà unica e che se non dovesse esserci più
provocherebbe in noi un vuoto incolmabile?
L’amore, quindi, è attrazione irresistibile. Per poter essere però veramente tale differenziandosi dall’innamoramento di cui è per così dire un upgrade, deve produrre nel soggetto che lo vive un cambiamento “permanente” di stato. Si tratta del medesimo cambiamento che avviene nell’atomo di ossigeno quando si associa a due atomi di idrogeno generando la molecola dell’acqua: allo stesso modo, anche la coppia non è più due atomi, ma diviene una molecola. Dalla chimica alla fisica: oggi in fisica quantistica si parla di salto quantico per designare un cambiamento improvviso di stato o di livelli energetici, ebbene l’amore, per essere tale, deve generare un salto quantico, un passaggio di stato. “Incipit vita nova”, scrisse Dante all’inizio della sua opera omonima per celebrare la sua nuova esistenza illuminata dall’amore per Beatrice, donna reale e al contempo allegoria della filosofia (condotta alla luce della teologia) e insieme della teologia (condotta alla luce della filosofia). Anche tra filosofia e teologia infatti si può dare una simbiosi tale da produrre una nuova molecola spirituale: il suo nome in greco antico è “Sophía”.
Quanto più però si procede nella maturità spirituale, tanto più ci si rende conto di come la divinità sia ben di là degli insegnamenti e dei riti veicolati dalle religioni. È quanto insegna l’esperienza dei mistici. Scrive Gregorio di Nissa, padre della Chiesa del IV secolo: “Là è la divinità, dove non giunge la comprensione”. Ovvero fino a quando vi è comprensione, non vi può essere autentica esperienza di Dio. Agostino un secolo dopo dice la stessa cosa: “Se hai capito, non è Dio”. A maggior ragione torna però la domanda su cosa significhi amare Dio: come posso amore ciò che non capisco? Agostino si poneva la questione rivolgendosi direttamente a Dio: “Che cosa amo veramente quando amo te?”. Nella risposta non nomina né la Chiesa, né la Bibbia, né Gesù, procede piuttosto negando una serie di cose belle quali oggetto del suo amore per Dio: “Non la bellezza del corpo, non la grazia dell’età, non il fulgore della luce, non le dolci melodie dei canti, non la fragranza dei fiori, unguenti, aromi, non la manna e il miele, non le membra fatte per gli amplessi carnali: non è questo che amo amando il mio Dio”. E poi prosegue: “Eppure, amando il mio Dio amo una certa luce e una certa voce e un certo profumo e un certo cibo e un certo amplesso”. E precisa: “La luce, la voce, il profumo, il cibo e l’amplesso dell’uomo interiore che è in me”.
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