Il
problema è che
ai ragazzi
mancano le emozioni"
Intervista
a Paolo Crepet
"Il
problema è che ai ragazzi mancano le emozioni". Mordere il cielo è
l’ultimo libro del professore e psichiatra Paolo Crepet. Con lui abbiamo
cercato di capire qualcosa di più su come si possa arrivare, a sedici anni, ad
ammazzare un coetaneo, con la crudeltà con cui è stato ammazzato Christopher
Thomas Luciani a Pescara.
Professor
Crepet, nell’essere umano non esiste un istinto, scritto nel dna, a non
uccidere? "No, questa è una visione buonista dell'essere
umano. L'essere umano è più complicato di come viene raccontato. Dentro ognuno
di noi c'è l'empio, il malvagio. C'è sempre stato."
In
dotazione alla nascita abbiamo cattiveria e bontà?
"In egual misura. Siamo portati a pensare che il viaggio della
civilizzazione ci abbia condotti a una maggiore quantità di bontà, rispetto,
amore, interesse e curiosità. Ma tutto questo non è vero. Nel tempo non abbiamo
curato l'anima. Ci siamo solo impegnati a curare le cellule. I nostri trisavoli
campavano cinquant'anni, oggi i nostri figli ne campano novanta."
Allungare
l’aspettativa di vita è stato il solo interesse verso l'essere umano?
"Abbiamo pensato fosse importante far fare le corsette ai settantenni e
fagli fare l'amore a ottanta. Ci siamo concentrati solo su questo."
Dove
sta l'equivoco? "Ritenere che questa spasmodica
attenzione nei confronti delle cellule fosse collegata all'anima come sono
collegati i vasi comunicanti. Migliorando la fisicità, la qualità della vita,
automaticamente - pensiamo - si diventa una persona migliore."
E
invece? "Nulla di più falso."
Nel
caso di Pescara non ravvisa alcuno squilibrio psichico alla base della
brutalità dell'omicidio? "C'è piuttosto uno squilibrio
educativo. Nasciamo sani, nel senso fisiologico del termine. Appena nasce un
bambino la prima cosa che guardano è il famoso indice Apgar."
Non
è un parametro importante? "Certo che lo è. Solo che siamo
portati a pensare che, se il bambino ha un buon Apgar, allora è a posto. Ma non
è così."
Quindi
se non c’entra la genetica, cosa spinge ragazzi così giovani ad ammazzare?
"Tempo fa scrissi un libro sui ragazzi cattivi, Cuori violenti, dove
raccontavo l'incontro con un ragazzo di sedici anni che era un delinquente, un
assassino. Lui mi disse: 'Ma secondo lei perché mio fratello sta a Milano e a
differenza mia è una brava persona?'"
In
effetti viene da pensare che l’educazione familiare sia stata la stessa.
Quindi? "Tu hai cinque figli e fai la brava madre con
tutti e cinque dandogli pane con marmellata a tutti e cinque, distribuendo le
tue capacità a tutti. Ma non funziona così. Siamo ancora all’Apgar se pensiamo
questo. Il vero problema è che magari il quinto lo hai ascoltato di meno e
magari ti è pure un po’ antipatico mentre adori la seconda perché ti
identifichi con lei. Questa cosa è impalpabile ma formidabile."
Curiamo
troppo il corpo e poco l’anima? "Esattamente."
Spesso
se la prende con i genitori che sistemano lo zainetto al bambino. Perché?
"Perché quel bambino diventa un idiota. Ma se dico questa cosa mi coprono
di insulti e mi accusano di essere un grillo parlante. Semplicemente dico cose
semplici. Tua nonna, e mia nonna, capivano che i bambini dovevano farsi la
cartella da soli. Adesso gli adulti non lo capiscono più."
Cerchiamo
di fare tutto il possibile per toglier loro le frustrazioni...
"Ma è la cosa peggiore che si possa fare. L’orrore educativo è regalare a
un ragazzo di 16 anni una bicicletta con la pedalata assistita. Pensando di
aiutarli, li si conda."
I
due assassini dei quali stiamo parlando sono due classici bravi ragazzi: papà
carabiniere, papà avvocato. Per chi viveva accanto a loro era possibile
accorgersi che qualcosa non andava? "Assolutamente sì.
C’è chi dice che no, che è colpa della genetica, che è colpa di un raptus o del
destino... Ebbene, chi dice così non capisce niente. Perché, al contrario, si
può e si deve intervenire."
Come?
"Parlando sempre del futuro. Se oggi mi mettessi lì con questi genitori e
con il ragazzo, non parlerei del passato e di quanto è successo. Di questo si
occuperanno i magistrati. Parlerei del futuro. Chiederei al ragazzo: che vuoi
fare tra cinque anni? Chi vuoi essere? Chi ti immagini di essere? È qui che
emergono tutti i limiti. Se mi dice, per esempio, di voler fare l’avvocato, gli
chiederei come pensa di farlo dal momento che non ha studiato nemmeno cinque
minuti. 'È qui il tuo problema', gli direi. 'La tua violenza viene dalla tua
frustrazione, che è tua perché tu non hai un futuro e non sai neppure
immaginarlo'."
Quindi
qual è la cura? "La cura è il futuro."
C’è
sempre una possibilità di recupero, anche per chi si è macchiato dei delitti
più orrendi? "Si, sempre."
Spesso
questi drammi accadono durante l'adolescenza.
"L’adolescenza è il vulcano che erutta. E ci si brucia quando erutta.
Bisogna allungare l'infanzia. Smettere di ucciderla. Oggi pensiamo che un
bambino è un bambino per tre anni. Poi deve iniziare a fare chissacché. La cura
per l'adolescenza parte dall'infanzia. Dobbiamo fare una cosa semplicissima:
far giocare i bambini. Lasciare che siano bambini."
Nel
suo ultimo libro Mordere il cielo spiega che a questi ragazzi mancano le
emozioni. "Proprio perché gli è mancato il gioco. Il gioco
è empatia. Questi bambini devono giocare, vincere e perdere. La pedagogia della
sconfitta è fondamentale."
Alzogliocchiversoilcielo
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