- Intervista a Massimo Cacciari di Gianni Santamaria
«È
una prospettiva metodologicamente molto importante e interessante per una
persona che pensa. Bisogna incarnarla. E ciò significa dare giudizi che possono
essere drammaticamente pericolosi». Sull’Occidente, sulla guerra,
sull’indifferenza di parte del mondo culturale e delle élite. Di fronte alle
quali la Chiesa deve «insorgere» ed essere, come anche il mondo intelletuale
laico che pensa, un «segno di contraddizione». A Massimo Cacciari, professore emerito di Estetica
all’Università di Venezia e intellettuale molto presente nel dibattito politico
e intellettuale del Paese, a lungo in dialogo con esponenti di primo piano
della Chiesa come il cardinale Carlo Maria Martini dai tempi della “Cattedra dei non
credenti”, chiediamo di interagire con le parole del presidente della Cei,
cardinale Matteo Maria Zuppi, sul dialogo tra cultura cattolica e
laica. E allo stesso tempo un bilancio sul dibattito aperto da monsignor Pierangelo Sequeri e Roberto Righetto.
Non
si tratta di andare per “ismi” – “la” cultura cattolica, “la” cultura laica –
perché nella cultura cattolica ci sono posizione diverse, per non parlare di
quella laica dove emergono addirittura istanze antitetiche. E non si tratta
tanto di rilanciare, quanto di interrogarsi su quali temi, problemi e
prospettive sia possibile oggi un dialogo davvero fecondo tra cultura cattolica
– ovvero tra le posizioni che paiono emergere in questo pontificato – e quei
settori della cultura, della filosofia, della politologia europea occidentale
che mostrano coscienza delle crisi epocali che stiamo attraversando.
Sono
questioni, pensiamo alla povertà, che attingono a un patrimonio antico, ma sono
dettate dalle contingenze, dalle strettoie del presente. Siamo in una
situazione geopolitica che induce a ripensare intere storie, tradizioni,
visioni del mondo. Siamo a una svolta d’epoca che potrebbe anche esprimersi in
una catastrofe.
Il
problema è quello di un’Europa, di un Occidente, come terra di missione. È il
grande dramma che la Chiesa attraversa. Ma allo stesso tempo come potremmo dare
per perduti l’Europa o l’Occidente?
Ma
questo “o” è un punto di domanda grande come una casa. Per Novalis la storia
europea era in gran parte passata, riguardava il Medioevo.
La
Chiesa non è più di fronte a un ateismo militante, ma a un’indifferenza
radicale. Non si trova più di fronte a un Nietzsche che dice “Dio è morto”, ma
a chi dice “di Dio che me ne importa”. È un salto pazzesco. Ma anche per un
non-credente, diciamo così, questa è una grandissima questione, nella misura in
cui abbia una coscienza filosofica nel senso vero del termine, che è
l’attitudine a trascendersi, a non vedersi come un’isola separata, un semplice
ego. Il non-credente che pensa non crederà a un ente che lo trascende, ma deve
credere al carattere trascendente della propria coscienza. È la domanda di
trascendenza che è stata acquietata. Quindi è perfettamente legittimo da una
parte e dall’altra riconoscersi in una condizione di miseria, povertà e solitudine
assolute. In cui prima di tutto i poteri sono indifferenti a quella domanda e
giocano solo, e malamente, alla difesa del proprio interesse.
Sono
davanti agli occhi di tutti. L’Europa è totalmente secolarizzata. Ha spento
ogni domanda critica sul proprio futuro e sulla propria destinazione. Non ha
un’idea di sé, si muove solo sul piano della totale immanenza mercantile.
Questa situazione di crisi si rovescia, come sempre avviene, sui più deboli. A
questo punto è chiaro che la Chiesa deve insorgere. Così trova vicino a sé un
pensiero laico radicalmente critico. Solo che entrambi non vengono
ascoltatati.
In
senso antropologico è quella che ho detto. Poi ci sono le élite che sono divise
e schierate pancia a terra sull’esistente. Credono che l’unico modo di
difendere l’Occidente sia quello a cui stiamo assistendo in Palestina e
Ucraina. Poi c’è chi ha posizioni critiche che a volte sono molto vicine a
quelle che oggi la Chiesa – se tutta, non lo so – esprime. Insomma, il pensiero
è pensiero quando è segno di contraddizione e la Chiesa è Chiesa quando è segno
di contraddizione. Come il messaggio evangelico che non porta a un irenismo e
un pacifismo astratto. Se la Chiesa si pone così rispetto all’opinione comune e
all’andazzo dei tempi, alle ideologie del mondo, avrà sempre qualche rapporto,
magari polemico, con il pensiero laico e anche con l’ateo. Perché c’è un
ateismo della totale indifferenza e ci sono atei che credono.
È
una prospettiva metodologicamente molto importante e interessante per una
persona che pensa. Bisogna incarnarla. E ciò significa dare giudizi che possono
essere drammaticamente pericolosi. Che cos’è questo Occidente? Com’è governato?
Dove vuole andare? Su queste guerre non va detto solo che sono male, lo diceva
anche Napoleone. Ma bisogna capire se si sta con Napoleone o con Wellington. Mi
rendo conto dell’estrema difficoltà. Basti vedere le reazioni a ciò che hanno
detto il Papa e altri nella Chiesa. L’Occidente è vecchio, è
stato egemone e pretende ancora di esserlo. Non è una buona notizia perché ci
tengo a essere occidentale e non voglio finire né putiniano, né russo, né
cinese, né musulmano. Ma l’Occidente crede che stare sulla difensiva sia l’arma
migliore, invece è un’idea di destino, di destinazione che lo può salvare.
Altrimenti assisteremo non al suo tramonto, ma alla sua catastrofe.
Fonte: Avvenire
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