E
DALLE ASSOCIAZIONI
"Occorre approfondire la fede e non spettacolarizzarla”
- - di Luca Diotallievi
"L'errore
è stato ritenere che fosse possibile recuperare la pratica religiosa non
attraverso un puntuale lavoro sulle coscienze, ma puntando su un approccio
sicuramente attraente ma forse superficiale. La fede non ha bisogno di essere
spettacolarizzata ma seguita e alimentata". Luca Diotallevi, docente di
sociologia all’Università di Roma Tre, presenta il suo ultimo libro "La
Messa è sbiadita"
Sempre
più anziani a partecipare alla messa, con le donne che tendono ad allontanarsi
dalla chiesa e un calo del riavvicinamento alla pratica religiosa dopo l’età
adulta. È un quadro preoccupante quello che esce da “La Messa è sbiadita. La
partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019” (Rubbettino) a
firma di Luca Diotallevi, docente di sociologia all’Università di Roma Tre.
I
processi religiosi, a differenza di quelli finanziari, hanno una forte inerzia:
se cresce l’inflazione ce ne accorgiamo il giorno dopo, se cala la
partecipazione alla messa occorrono decine di anni per osservare gli effetti.
Il punto di rottura sono gli anni Sessanta, ma il calo lo abbiamo iniziato a
vedere quando le generazioni di allora e quelle successive hanno iniziato a
prendere la scena. Non è un caso, poi, che all’inizio degli anni Ottanta inizi
a crescere anche l’età media del primo figlio e dell’ordinazione presbiterale.
Tutti elementi che certificano il classico esempio di ritardo del passaggio
all’età adulta da parte di coloro che hanno “fatto” il Sessantotto.
La
secolarizzazione, ovvero la crescente inadeguatezza e mancanza di
partecipazione rispetto alla formazione religiosa e a quella dei riti. Negli
anni Sessanta venivamo dal Concilio Vaticano Secondo e dal pontificato di Paolo
VI, entrambi avevano perfettamente compreso il fenomeno Sessantotto.
I
fenomeni di interazione, che richiedono la presenza fisica delle persone, si
riducono. Cerchiamo di capirci, non è che la gente non va più a messa perché
frequenta la sezione del partito o altri luoghi di aggregazione: non va a messa
perché resta a casa. Questa erosione della componente corporea ha avuto
un’immediata ripercussione sulla celebrazione eucaristica. Non basta
spettacolarizzare la liturgia o proporre celebrazioni televisive con milioni di
persone. Al di là degli impedimenti personali, c’è chi ormai segue la messa in
casa mentre fa altre cose oppure la vede registrata appena ha un attimo di
tempo.
È
certamente in crisi la forma religiosa dominante nell’Europa continentale dal
XVI al XX secolo. Alcuni si rifugiano nel neo-confessionalismo, cercando uno
spazio dietro all’uomo forte di turno, che sia di destra o di sinistra. Poi c’è
chi si affida alla commercializzazione, alla commodification of religion, ma la
Chiesa su quel terreno è in difficoltà, perché si porta dietro venti secoli di
tradizione. Infine, c’è l’intuizione di Paolo VI che nella Evangelii
Nuntiandi parlava già allora della complessità dell’azione
evangelizzatrice. E in più tracciava la strada da seguire. A volte mi sembra,
invece, che il generoso impegno profuso oggi dalla Chiesa vada in altre
direzioni col rischio di disperdersi. Non stiamo buttando via una cosa andata a
male, ma una ricchezza inestimabile.
Negli
anni Settanta andare o non andare a messa faceva la differenza in tante cose,
dalla partecipazione politica alla cultura. Tutte queste correlazioni oggi sono
venute meno. Il cristianesimo sta diventando un fenomeno ad altissima
compatibilità, va bene con tutto e non è contraddistinto da niente.
Se
alla società italiana togli il contributo del cattolicesimo, il cambiamento è
davvero epocale. L’acqua che esce dal rubinetto dei cattolici ha irrigato e
continua ad irrigare il Paese. Si sta impoverendo la vita sociale, la
partecipazione alla messa non ha più relazione neanche con le reti amicali.
Il
carico di lavoro del prete è calato, i sacerdoti ordinati sono il 62% di quelli
ordinati negli anni Novanta ma non c’è paragone con i laici che si recano in
chiesa scesi al 23,7%. Dunque, magari bisogna riorganizzare le strutture e
ottimizzare le parrocchie in base al numero di abitanti ma i preti ancora ci
sono, di meno ma ci sono. Ciò invece cui andiamo incontro è una forte riduzione
della platea dei praticanti, soprattutto perché una parte significativa di
quelli attuali è costituita da persone anziane.
Il
nesso fra partecipazione alla messa e disponibilità alle azioni di carità è
l’unica relazione che perdura. Ma spesso è un’azione di carità cieca e fine a
se stessa perché, se non si sta dentro un’istituzione, non si percepisce la
finalità di certe azioni. Tuttavia si è certamente più disponibili a compiere
gesti di solidarietà personale.
Si
può ripartire soltanto dalle parrocchie e dalle associazioni, che vivono nella
parrocchia. Più attenzione all’operatore pastorale, il cosiddetto volontario
che in parrocchia fa un po’ di tutto. Lì dove è stato adottato, come in
Germania ad esempio, è risultato essere il killer dell’apostolato. Diventa
l’unico laico di cui ti puoi fidare. Ma un laico che vive in pieno la sua
laicità è un laico che di fatto non ha tempo, perché è impegnato nella
professione, nella famiglia, nel sociale. Mi domando: se un laico ha tanto
tempo, che laico è? Quando lavora, quando sta con il coniuge, quando fa
politica, quando sta con gli amici? Se porti il laico dietro l’altare e gli
metti la tunica, magari lo fai contento ma rischia di diventare l’impiegato di
un ufficio postale di un paesino dove nessuno spedisce più lettere.
Fonte: Agensir
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