- Is 63,16-17.19/ 1Cor 1,3-9/ Mc 13,33-37
- Commento di Paolo Curtaz
Il mondo non
sta precipitando nel baratro, ma nell’abbraccio di un padre/madre di infinita
tenerezza.
E non stiamo
assistendo alla fine del mondo ma ci stiamo interrogando sul fine del mondo, sul senso che appare
travagliato e oscuro dell’agire distruttivo degli uomini.
Uomini persi
che non ammettono di essere persi, che vanno dell’arroganza e della violenza il
proprio metro di giudizio.
Così, con
felice ostinazione, benedetta costanza, inizia questo anno nuovo in compagnia
di Marco. Un piccolo cammino di quattro settimane per prepararsi al Natale.
All’ennesimo. Che per molti sarà una felice bolla di buoni sentimenti a
acquisti per dimenticare l’insostenibile realtà, per addolcire la saturazione
di male notizie e di drammi che logora e svilisce.
Ma noi, ma tu,
ma io, non siamo della notte.
Vegliamo con le
lampade accese, attendiamo lo Sposo e, qui e ora, lo annunciamo costruendo il
Regno che è luogo in cui Dio regna, amando.
È venuto nella
storia, tornerà nella gloria. Questo ci hanno detto gli apostoli e chi, dopo di
loro, hanno costruito speranza. E ora, quest’anno, ancora, qui, viene nel cuore
di ciascuno di noi, se lo vogliamo.
Perché la fede
non è evento definitivo, acquisito per sempre, ma è costante allenaza, patto da
rinnovare, amicizia da coltivare. Troppo forte.
Nella notte
Sarà un avvento
diverso, perché io non sono più quello dello scorso anno. E ferite e gioie
hanno segnato questo tempo. E guerre e paure ancora mi scuotono.
Sarà, per chi
lo vorrà, occasione per prendere ancora in mano il timone della barca della
propria vita, prendendo il largo. Sarà l’occasione per attendere. Per far
nascere la speranza nei cuori, per innamorarsi della vita che ha avuto l’onore
di vedere Dio diventare uno di noi.
Oggi, qui, in
questo momento in cui tutto viene rimescolato, messo in discussione,
amplificato.
Nel mondo
straziato e nella Chiesa che sfida le onde.
Bella storia.
Bella Storia. Una
Storia che è salvezza. Sarà un avvento
di attesa.
Di senso, di
salvezza, di bene, di pace, di abbracci sinceri, di rispetto. Di Dio.
Ma ad una
condizione: quella di restare svegli.
Servi
e portinai
La parabola di oggi è di immediata
comprensione: il padrone di casa, il Signore Gesù, è assente ma tornerà nella
gloria. In questo tempo di mezzo, fra la storia e la gloria, affida a noi, suoi
servi, il compito di vigilare, di costruire brandelli di Regno, di annunciare
la sua venuta.
Una venuta che, come meglio bisognerebbe
tradurre, non avviene alla fine della notte, ma continuamente.
Lo aspettiamo nella gloria, il Cristo, ma
anche nella vita di ciascuno di noi, qui, ora, oggi.
Ai servi è affidato ogni potere. Sciocco
di un Cristo. Ingenuo! Come se davvero fossimo in grado di gestire il potere
d’amore che ha inaugurato! Eppure, accade proprio così: a queste fragili e
sudicie mani il Signore affida il suo Vangelo. Come un tesoro custodito in vasi
creta. A noi, servi inutili.
E ai portinai,
a coloro, cioè, che hanno maggiori responsabilità, quella di aprire la casa, la
Chiesa, la comunità, a chi cerca il Signore, chiede di vigilare ancora di più,
con maggiore convinzione e sforzo. Quanto è terribile vedere portinai ignavi,
impigriti, imborghesiti, sedersi al posto del padrone! Quanto è bello, pur con
fatica, vedere una Chiesa che si interroga su come rimanere fedele a Cristo! Quanto
scandalo suscitiamo quando dimentichiamo chi siamo veramente! Servi inutili.
Nella
notte
Viene nella notte, il Signore, lo Sposo.
Noi, come le ragazze coraggiose delle
scorse domeniche, sfidiamo ogni notte con una piccola fiammella in mano.
Sfidiamo questa notte fatta di incertezza e di paura, di venti di guerra
e di autocrazie, di comunità azzoppate e sbandate, proprio come fanno quelle
ragazze. Ragazze coraggiose.
Non proprio come facciamo noi.
Che accampiamo mille scuse alla
realizzazione della nostra felicità. Se
fossi, se avessi, se potessi…
Non abbiamo tempo o opportunità o cultura
sufficiente per essere felici. Meglio maledire il buio, meglio rannicchiarsi in
un angolo tappandosi le orecchie.
Sì, certo, è buio fitto. Basta guardarsi
intorno per capirlo. Per vedere il tasso di violenza, nelle parole, nei
pensieri, che attanaglia le persone, tutte rabbiose con tutti, tutti convinti
di essere vittime di qualcuno. Non è così, smettiamola di nasconderci dietro ad
un dito.
C’è chi maledice la notte. C’è chi accende
una luce. Chi attende un aiuto. Come i deportati in Babilonia.
Se tu squarciassi il cielo e scendessi!
Il lamento straziante sale dalla bocca di
uno degli autori del libro del profeta Isaia, in esilio dopo la durissima
sconfitta contro Nabucodonosor. Nessuna speranza all’orizzonte, nessuna
possibilità di riscatto, solo l’amarezza dell’esilio e della schiavitù.
Per la prima volta nella Bibbia, il Dio
dei patriarchi viene invocato col titolo padre.
Titolo che non veniva usato perché comune
nell’invocazione pagana alle proprie divinità.
Ma ora non c’è più remora, né timore di
essere ambigui. Non c’è più il tempio, né la città santa, né il re. Tutto è
perduto. Solo sale quell’invocazione fatta quasi sottovoce, una immensa ricerca
di salvezza, un grido silente. Se tu
squarciassi il cielo e scendessi!
Un grido che ancora sale da questa terra
d’esilio in cui siamo. Un grido di avvento mentre ci prepariamo a celebrare la
nascita di Cristo in ciascuno di noi, nell’attesa del suo ritorno definitivo.
Pregare
Come restare desti? Come nutrire la nostra
anima? Come riempire d’olio le lampade che si consumano?
Nell’orto degli ulivi, ai discepoli
oppressi dal sonno e dalla tristezza, Gesù chiede di pregare.
Una preghiera che è intimo dialogo col
Padre, che è relazione fiduciosa ed appassionata con lui, che è nutrimento
dell’anima nel silenzio della lettura orante della Parola di Dio.
Ciò che cercheremo di fare in questo
ennesimo avvento, in questo breve tempo in cui cercheremo di sostenerci a
vicenda, incoraggiandoci, restando svegli.
Perché, purtroppo, anche lo stravolgimento
di senso che abbiamo operato nei confronti del Natale rischia di essere un
anestetico. Mortale.
E nella preghiera, come un mantra,
ripetiamo quanto abbiamo udito dalla Parola:
Vegliamo allora, noi, che aspettiamo la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo.
Ci siamo scoperti amati, e l’amato attende l’amante. Ogni giorno.
Vegliamo! Con gioia.
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