Scuola
dell’infanzia
luogo di
«connessioni» umane
UNA SCUOLA APERTA AL TERRITORIO
-
di FELICE ACCROCCA *
Ho
insegnato per decenni, sempre però a persone anagraficamente adulte, in gran
parte religiosi o sacerdoti, vale a dire in istituti teologici e università
pontificie, mai a bambini. Ho avuto tuttavia un gran daffare con i più piccoli,
nei lunghi anni in cui sono stato parroco in diverse realtà della diocesi di
Latina-Terracina- Sezze-Priverno, e so quanta importanza ha, nello sviluppo
futuro della persona, l’esperienza di quei primi anni di vita.
Ebbene,
la scuola dell’infanzia potrebbe agire positivamente per un rilancio delle
‘aree interne’? La mia risposta è positiva e credo che sarebbe in grado di
farlo in modo efficiente, favorendo nei piccoli una struttura idonea alle
connessioni umane, un carattere più pronto ad affrontare le difficoltà agendo
in autonomia, più idoneo a resistere alle sempre più pervasive pressioni dei
social. Non dobbiamo infatti dimenticare che i nostri ragazzi sono oggi
abilissimi nello sviluppare rapporti in rete, ma poco attrezzati per quanto
riguarda anche le più banali relazioni nella vita civile: non è raro trovare
giovani che in quattro e quattr’otto si rivelano bravissimi nel reperire le
cose più impensabili per via informatica, espertissimi ad effettuare ogni specie
di pagamento online, ma del tutto incapaci ad affrontare un impiegato dietro a
uno sportello, dimostrandosi tanto impreparati a spiegare de visu, a voce e con
calma, un reclamo, quanto sono invece abili a gridare la loro rabbia sui
social. È quindi di una struttura idonea a stabilire connessioni umane che le
persone hanno soprattutto bisogno, di un pensiero capace di elaborare
criticamente le notizie per risultare meno manipolabili, per poter agire in
autonomia limitando il più possibile i condizionamenti esterni. Nel settembre
2017, in una lettera diretta agli studenti presenti nell’arcidiocesi di
Benevento, scrivevo: «V’invito quindi a darvi un progetto di vita e a
perseguirlo con costanza; a inseguire ciò che amate, come diceva Collodi, per
non essere costretti ad amare quel che troverete. Perché questo si realizzi è
necessario che diate il meglio di voi stessi, che vi impegniate nel vostro
percorso d’apprendimento e nella vostra formazione, evitando di pensare che
poi, alla fin fine, ‘certe cose’ nella vita non serviranno, dal momento che lo
studio -quello vero e serio - apre le menti, purifica i cuori, consente di
cogliere il nocciolo essenziale delle cose, aiuta a capire e a leggere in
profondità il proprio tempo: vi rende, cioè, più ricchi di acume critico, di
oggettività; in una parola, meno asservibili e manipolabili». Ritengo che
affinché tutto ciò avvenga, sia più facile porne le basi in una scuola
dell’infanzia collocata in area interna. Quando si parla di piccoli centri si
parla anche di perimetri ristretti, facilmente percorribili a piedi, privi di
quelle grandi insidie che - in ambito urbano o, ancor più metropolitano - il
traffico pone a tante attività educative. Un piccolo centro dell’area interna
avrà, con molta facilità, anche un centro di ritrovo per gli anziani, visto che
anziana sarà sicuramente la gran parte della (scarsa) popolazione, e scuola e
centro si ritroveranno collocati, con tutta probabilità, a breve distanza l’una
dall’altro.
Con
tutte le cautele del caso, con tutte le garanzie e la salvaguardia e tutela
della legge, non si potrebbero allora pensare programmi di scambio, anche in
orari extrascolastici, nei quali gli anziani potrebbero far vedere ai piccoli
come un tempo si costruivano tanti utensili in legno o con altri materiali
naturali che con il tempo sono stati invece sostituiti dalla plastica? Non
potrebbero far vedere loro come si cucinava quando ci si doveva affidare
essenzialmente ai prodotti del suolo o della stalla? Non potrebbero - quegli
stessi anziani - allestire e curare regolarmente piccoli orti botanici nei
quali fornire ai bambini nozioni e abilità che sarebbero per loro utili nella
vita, educandoli al tempo stesso a un rapporto amichevole e rispettoso con l’ambiente?
Non potrebbero insegnare ai piccoli i giochi che si facevano quando essi erano
piccoli e scorrazzavano liberamente in strada e i giocattoli dovevano
fabbricarseli da soli con materiali naturali o di scarto? In verità, se c’è
qualcosa che dobbiamo prendere tremendamente sul serio è la difficoltà, ormai
generalizzata, dei bambini a giocare con altri bambini, visto che ognuno tende
a chiudersi nel proprio mondo con il videogioco che più gli garba. Tutto ciò
consentirebbe ai bambini di sviluppare la propria manualità, di acquisire
esperienze che non dimenticherebbero più, perché è vero che se uno ascolta
dimentica, se vede ricorda, se fa capisce (e ne trattiene il ricordo). Inoltre
- e non è cosa da poco -, costituirebbe pure per gli anziani un’occasione per
rendere più bella e serena la loro vecchiaia, di sentirsi ancora utili, di fare
un pieno di energia che, alla fin fine, ritornerebbe anche come ricchezza
economica a disposizione dello Stato, perché si avrebbero meno persone depresse
(e sappiamo quanto tali patologie incidano sulla spesa sanitaria) e molte più
energie a disposizione senza particolari aggravi per la finanza pubblica.
* Arcivescovo di Benevento
Da “Prima i Bambini” periodico Fism
www.avvenire.it
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