ASCOLTARE CON IL CUORE
Anzitutto Maria, che ci ricorda
l’ascoltare. La fanciulla di Nazaret, che stringe fra le braccia Colui che è
venuto ad abbracciare il mondo, è la Vergine dell’ascolto perché ha prestato
l’orecchio all’annuncio dell’Angelo e ha aperto il cuore al progetto di Dio.
Ella ci ricorda che il primo grande comandamento è «Ascolta Israele» (Dt 6,4),
perché prima di ogni precetto è importante entrare in relazione con Dio,
accogliendo il dono del suo amore che ci viene incontro. Ascoltare, infatti, è
un verbo biblico che non si riferisce soltanto all’udito, ma implica il
coinvolgimento del cuore e quindi della vita stessa. San Benedetto inizia così
la sua Regola: «Ascolta attentamente, o figlio» (Regola, Prologo, 1). Ascoltare
con il cuore è molto più che udire un messaggio o scambiarsi delle
informazioni; si tratta di un ascolto interiore capace di intercettare i
desideri e i bisogni dell’altro, di una relazione che ci invita a superare gli
schemi e a vincere i pregiudizi in cui a volte incaselliamo la vita di chi ci
sta accanto. Ascoltare è sempre l’inizio di un cammino. Il Signore chiede al
suo popolo questo ascolto del cuore, una relazione con Lui, che è il Dio
vivente.
E questo è l’ascolto della
Vergine Maria, che riceve l’annuncio dell’Angelo con apertura, totale apertura,
e proprio per questo non nasconde il turbamento e le domande che esso suscita
in lei; ma si coinvolge con disponibilità nella relazione con Dio che l’ha
scelta, accogliendo il suo progetto. C’è un dialogo e c’è un’obbedienza. Maria
capisce di essere destinataria di un dono inestimabile e, “in ginocchio”, cioè
con umiltà e stupore, si mette in ascolto. Ascoltare “in ginocchio” è il
modo migliore per ascoltare davvero, perché significa che non stiamo davanti
all’altro nella posizione di chi pensa di sapere già tutto, di chi ha già
interpretato le cose prima ancora di ascoltare, di chi guarda dall’alto in
basso ma, al contrario, ci si apre al mistero dell’altro, pronti a ricevere con
umiltà quanto vorrà consegnarci. Non dimentichiamo che soltanto in una
occasione è lecito guardare una persona dall’alto in basso: soltanto per
aiutarla a sollevarsi. È l’unica occasione in cui è lecito guardare una persona
dall’alto in basso.
ASCOLTARE IN SILENZIO
A volte, anche nella
comunicazione tra di noi, rischiamo di essere come dei lupi rapaci: cerchiamo
subito di divorare le parole dell’altro, senza ascoltarle davvero, e
immediatamente gli rovesciamo addosso le nostre impressioni e i nostri giudizi.
Invece, per ascoltarsi c’è bisogno di silenzio interiore, ma anche di
uno spazio di silenzio tra l’ascolto e la risposta. Non è un “ping pong”. Prima
si ascolta, poi nel silenzio si accoglie, si riflette, si interpreta e,
soltanto dopo, possiamo dare una risposta. Tutto questo lo si impara nella preghiera,
perché essa allarga il cuore, fa scendere dal piedistallo il nostro
egocentrismo, ci educa all’ascolto dell’altro e genera in noi il silenzio della
contemplazione. Impariamo la contemplazione nella preghiera, stando in
ginocchio davanti al Signore, ma non solo con le gambe, stando in ginocchio con
il cuore! Anche nel nostro lavoro di Curia, «abbiamo bisogno di implorare ogni
giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota
la nostra vita tiepida e superficiale. […] È urgente ricuperare uno spirito
contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari
di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di
meglio da trasmettere agli altri» (Evangelii gaudium, 264).
Fratelli e sorelle, anche nella
Curia c’è bisogno di imparare l’arte dell’ascolto. Prima dei nostri
doveri quotidiani e delle nostre attività, soprattutto prima dei ruoli che
rivestiamo, occorre riscoprire il valore delle relazioni, e cercare di
spogliarle dai formalismi, di animarle di spirito evangelico, anzitutto
ascoltandoci a vicenda. Con il cuore e in ginocchio. Ascoltiamoci di più, senza
pregiudizi, con apertura e sincerità; con il cuore in ginocchio. Ascoltiamoci,
cercando di capire bene cosa dice il fratello, di cogliere i suoi bisogni e in
qualche modo la sua stessa vita, che si nasconde dietro quelle parole, senza
giudicare. Come saggiamente consiglia Sant’Ignazio: «È da presupporre che un
buon cristiano deve essere propenso a difendere piuttosto che a condannare
l’affermazione di un altro. Se non può difenderla, cerchi di chiarire in che
senso l’altro la intende; se la intende in modo erroneo, lo corregga
benevolmente; se questo non basta, impieghi tutti i mezzi opportuni perché la
intenda correttamente, e così possa salvarsi» (Esercizi Spirituali, 22). È
tutto un lavoro per capire bene l’altro. E lo ripeto: ascoltare è diverso da
udire. Camminando per le strade delle nostre città possiamo udire molte voci e
molti rumori, eppure generalmente non li ascoltiamo, non li interiorizziamo e
non ci restano dentro. Una cosa è semplicemente udire, un’altra cosa è mettersi
in ascolto, che significa anche “accogliere dentro”.
ASCOLTARSI RECIPROCAMENTE
L’ascolto reciproco ci aiuta
a vivere il discernimento come metodo del nostro agire. E qui possiamo fare
riferimento a Giovanni il Battista. Prima la Madonna che ascolta, adesso
Giovanni che discerne. Noi conosciamo la grandezza di questo profeta,
l’austerità e la veemenza della sua predicazione. Eppure, quando Gesù arriva e
inizia il suo ministero, Giovanni attraversa una drammatica crisi di fede; egli
aveva annunciato l’imminente venuta del Signore come quella di un Dio potente,
che finalmente avrebbe giudicato i peccatori gettando nel fuoco ogni albero che
non porta frutto e bruciando la paglia con un fuoco inestinguibile (cfr Mt
3,10-12). Ma questa immagine del Messia si frantuma dinanzi ai gesti, alle
parole e allo stile di Gesù, dinanzi alla compassione e alla misericordia che
Egli usa verso tutti. Allora il Battista sente di dover fare discernimento per
ricevere occhi nuovi. Il Vangelo ci dice infatti: «Giovanni, che era in
carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi
discepoli mandò a dirgli: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un
altro?» (Mt 11,2-3). Insomma, Gesù non era come se lo aspettava e, perciò anche
il Precursore deve convertirsi alla novità del Regno, deve avere l’umiltà e il
coraggio di fare discernimento.
SAPER DISCERNERE
Ecco, per tutti noi è importante il
discernimento, questa arte della vita spirituale che ci spoglia della
pretesa di sapere già tutto, dal rischio di pensare che basta applicare le
regole, dalla tentazione di procedere, anche nella vita della Curia,
semplicemente ripetendo degli schemi, senza considerare che il Mistero di Dio
ci supera sempre e che la vita delle persone e la realtà che ci circonda sono e
restano sempre superiori alle idee e alle teorie. La vita è superiore alle
idee, sempre. Abbiamo bisogno di praticare il discernimento spirituale, di scrutare
la volontà di Dio, di interrogare le mozioni interiori del nostro cuore, per
poi valutare le decisioni da prendere e le scelte da compiere. Scriveva il
Cardinal Martini: «Il discernimento è ben altro dalla puntigliosità meticolosa
di chi vive nell’appiattimento legalistico o con la pretesa di perfezionismo. È
uno slancio d’amore che pone la distinzione tra buono e migliore, tra utile in
sé e utile adesso, tra ciò che in generale può andar bene e ciò che invece ora
bisogna promuovere». E aggiungeva: «La mancata tensione per discernere il
meglio rende spesso la vita pastorale monotona, ripetitiva: si moltiplicano
azioni religiose, si ripetono gesti tradizionali senza vederne bene il senso»
(Il Vangelo di Maria, Milano 2008, 21). Il discernimento deve aiutarci, anche
nel lavoro della Curia, ad essere docili allo Spirito Santo, per poter
scegliere gli orientamenti e prendere le decisioni non in base a criteri
mondani, o semplicemente applicando dei regolamenti, ma secondo il Vangelo”.
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