La domanda (non vista) dei giovani
I vuoti di ragazzi nelle comunità cristiane sono frutto di modelli
ecclesiali non più adeguati. E ci interrogano sulle cause di un allontanamento
che è sempre reciproco
-di Paola Bignardi
Nel precedente contributo ci
si è soffermati sui cambiamenti che si stanno manifestando nell’attuale società
e che riguardano soprattutto il modo con cui le persone stanno davanti a sé
stesse e alla vita. Anche la sensibilità religiosa di oggi è attraversata da
trasformazioni profonde: e lo si vede particolarmente nei giovani.
Diversi cambiamenti si vedono a occhio nudo: basta osservare da quante
persone sono composte oggi le assemblee festive, e in esse qual è la
percentuale di adolescenti e giovani. Oppure vedere da quante persone sono
frequentate le attività della parrocchia, o i gruppi giovanili che ancora
vengono promossi.
Il cambio di comportamenti a volte è frutto di perdita di interesse per
l’esperienza religiosa, o di crisi personali che sopraggiungono durante
l’adolescenza, o di ricerche che ora non trovano risposte. Sono vuoti che non
possono non provocare la comunità cristiane e interrogare le persone che hanno
a cuore i percorsi formativi delle nuove generazioni. Spesso questi vuoti sono
il frutto di modelli ecclesiali, culturali e spirituali che non sono più in
sintonia con questo tempo e che i giovani percepiscono come estranei alla loro
vita. Viene in mente un’espressione che si legge in un breve scritto di don
Primo Mazzolari sui lontani, che nel 1938 affermava che se qualcuno si
allontana è perché qualcun altro si è allontanato nella direzione opposta.
Allontanamenti reciproci.
I cambiamenti che avvengono nel modo di interpretare la vita da parte
dei giovani di oggi si riflettono anche sulla dimensione religiosa: il senso
della propria individualità, l’esposizione alle emozioni, la ricerca di
relazioni... quale influenza possono avere sul modo di vivere il rapporto con
Dio? l’appartenenza ecclesiale? il cammino di crescita interiore?
Se si prendono in considerazione questi aspetti, ci si rende conto che i
modi di credere, di pregare, di vivere la comunità non possono che esserne
influenzati. Voler prescindere da essi significa scavare un solco sempre più
profondo tra le generazioni, anche all’interno della comunità cristiana.
In ricerca
Nei mesi scorsi ho realizzato un numero rilevante di lunghe interviste a
giovani dai 18 ai 30 anni. Gli interessati che avevano dato la loro
disponibilità non conoscevano le domande che sarebbero state poste loro. Non
c’era una preparazione previa. La profondità di alcune risposte dice che con
quegli interrogativi quei giovani non si misuravano per la prima volta; con
essi si erano già spesso confrontati, si intravedeva nella loro vita una
ricerca aperta, magari mai condivisa con nessuno.
Essere in ricerca! E sperimentare della ricerca le incertezze, le
fatiche, il fascino. Una giovane ventiseienne ha rappresentato così la sua
situazione: «Mi sento come una persona in una stanza buia in cerca
dell’interruttore». È un’immagine che parla in maniera forte di
un’inquietudine, un interesse, una domanda di autenticità che non si accontenta
di risposte facili, scontate, a basso prezzo. La condizione è quella del buio,
ma si continua a cercare un interruttore che accenda una luce.
La ricerca percorre sentieri impervi, strade numerose; l’impressione è
quella di un andare a tentoni, come ebbe a dire l’apostolo Paolo nel suo
discorso agli ateniesi. Uno di questi sentieri si dirige verso Dio. Dio non è
tanto da dimostrare, ma da incontrare. Sono pochi i giovani che si interrogano
sull’esistenza di Dio; sono più numerosi quelli che cercano con Lui un rapporto
personale, scoprendo che non si presenta loro con i tratti che sono stati
proposti loro quando andavano a catechismo. Dice questa giovane: «Dov’è? se io
non ti posso chiamare quando ho un problema, se non mi posso confrontare con te
per avere un'opinione, che dialogo c'è, che amicizia c'è? Questo è il vero
problema, è come se mi mancasse un pezzo, è come se mi mancasse un punto, un
qualcosa per capire. (...). Io non lo vedo, non lo sento».
La descrizione di Dio che dà il giovane diciannovenne autore della
dichiarazione che segue potrebbe essere considerata un condensato della
sensibilità diffusa: «La fede nasce dal rapporto personale che hai tu con Dio,
un Dio indeterminato... che può essere cristiano come non. Dio è dentro di noi.
Io con il mio Dio ho un rapporto personale. Ognuno di noi ha un rapporto
singolare col proprio Dio. Ognuno di noi è unico e quindi ognuno di noi ha la
sua idea di Dio». Come si vede, la parola che ricorre più frequentemente è
rapporto, l’atteggiamento che prevale è quello di un approccio soggettivo a
Dio; l’immagine di Dio di questo giovane ha poco a che vedere con quella
tradizionale; non ci sono in lui né disinteresse né estraneità, ma una domanda
di relazione e di intimità che è coerente con la sensibilità diffusa. Così la
preghiera, come scrive questa giovane, è «qualcosa di intimo. È come quando tu
parli privatamente con una tua amica, con una persona cara, hai delle cose da
dire che magari preferisci tenere per te e per quella persona. Preferisco
sempre la preghiera in camera mia o comunque in posti privati e preferisco le
preghiere non prestabilite... l’Ave Maria, il Padre Nostro sono preghiere
bellissime, e ovviamente non si toccano, però mi piace anche un discorso
diretto con Dio».
Anche in questo caso, vi è domanda di intimità, di espressione
soggettiva della propria fede nella quale raccogliere le piccole cose della
propria vita quotidiana. È chiaro che la preghiera liturgica, nella quale è
quasi impossibile questo coinvolgimento personale, in un rito che non è su
misura dei propri stati d’animo o delle proprie soggettive modalità espressive,
sia vissuta come una situazione che non coinvolge, che fa sentire estranei e
annoiati: «Mi annoiavano, mi ricordo che mi annoiavo, che a volte smettevo
anche di ascoltare perché mi annoiavo. Ti sentivi obbligato, anche da mia madre
e mio padre che mi dicevano “Devi andare, è domenica. È brutto se non vai,
perché ci vanno tutti”». Credere è difficile: lo è per gli adulti, lo è a
maggior ragione per i giovani, che sperimentano come, nella società dei
consumi, sia difficile credere in un Dio che «non si vede e non si compra»,
come si è espresso uno di loro. Il mistero di Dio è difficilmente raggiungibile
da persone che sono abituate a fare i conti con una mentalità molto esteriore,
manipolabile, a portata di mano. Eppure, il mistero non manca di fascino, come
lasciano intendere diversi di loro.
Una fede amica della vita
Nell’immaginario dei giovani che hanno frequentato il catechismo, almeno
fino alla celebrazione della Comunione, l’esperienza religiosa è caratterizzata
dall’obbligo o dalla rinuncia. La fede dice che cosa bisogna fare, che cosa è
vietato fare. Certo, questa è una caricatura della vita cristiana, ma nella
memoria dei giovani si è impresso questo carattere. La religione degli obblighi
e dei divieti, nella cultura di oggi, è quasi sicuramente destinata a essere
rifiutata. Spesso alla proposta cristiana è associata l’idea di sacrificio. I
“fioretti” che moltissimi ragazzi anche di oggi si sono sentiti proporre hanno
potuto rappresentare forse una simpatica gara con sé stessi, ma superata la
fase della fanciullezza, essi lasciano nell’animo l’idea che la fede è qualcosa
che ha a che fare con la rinuncia, con la mortificazione, termine che ha in sé
l’idea di una morte. Com’è possibile che delle persone che si affacciano alla
vita possano sentire come adatta a sé una proposta che chiede loro in qualche
modo una morte?
Solo una fede che prospetti la realizzazione del proprio desiderio di
felicità e di realizzazione può avere un interesse per un giovane (e non solo
per lui).
Certo occorre un lungo cammino di maturazione perché questa sensibilità
non conosca la deriva del soggettivismo, della religione fai da te. Forse
occorre soprattutto una nuova sensibilità formativa, e la conversione, da parte
dei credenti e degli educatori, a una visione dell’esistenza cristiana libera
dai condizionamenti che generano l’allontanamento di giovani in cerca di
autenticità e di vita.
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