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giovedì 26 ottobre 2023

UN BUON SAMARITANO


 Un esempio 
di fraternità universale 
e di dialogo interdisciplinare


-di Giovanni Cucci

Un testo rivolto a tutti

La parabola del buon samaritano (cfr Lc 10,25-37) può essere definita una vicenda dell’uomo comune che parla all’uomo comune. L’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti non a caso la riporta all’interno del tema della fraternità universale, considerandola alla portata di tutti. Essa, quindi, costituisce il centro della riflessione del Papa su questo tema (che occupa ben 20 numeri dell’enciclica), e anche il suo punto di riferimento ideale: «Infatti, benché questa Lettera sia rivolta a tutte le persone di buona volontà, al di là delle loro convinzioni religiose, la parabola si esprime in modo tale che chiunque di noi può lasciarsene interpellare» [1].

Colpisce anzitutto la concretezza con la quale nel testo di Luca viene posta la questione della fratellanza. Lo si capisce dalla risposta di Gesù alla domanda del dottore della legge («Chi è il mio prossimo?»): una risposta niente affatto teorica. Gesù non fa proclamazioni idilliache, ma presenta una scena di cruda violenza nella quale chiunque può riconoscersi; nello stesso tempo, proprio quella situazione di sofferenza e bisogno si rivela inaspettatamente un luogo in cui incontrare il prossimo, letteralmente «colui che è vicino a me», al di là di ogni differenza di lingua, ceto e fede religiosa [2].

Di fronte alla situazione concreta, la domanda viene rovesciata, interpellando personalmente l’ascoltatore nella sua situazione di possibile precarietà: «Quando tu sei nei guai, chi è stato vicino a te?». Si tratta di una risposta esistenziale, che nasce dal bisogno disperato di trovare aiuto. E quando si ripensa a quelle situazioni, si scopre talvolta con stupore che spesso il soccorritore non è il più vicino fisicamente, il parente, il conoscente, ma il perfetto sconosciuto, il lontano, il passante casuale. Che è appunto lo scenario delineato dalla parabola: una parabola, si potrebbe dire, realista [3].

Gli aspetti rilevanti della parabola

Il brano presenta anzitutto un dottore della legge, cioè un personaggio ritenuto giusto nell’immaginario del tempo, che pone a Gesù l’unica domanda veramente importante: «Che fare per vivere?». Luca utilizza un termine preciso, «ereditare» (klēronomeō): si tratta di un bene che non si merita, ma, come l’eredità appunto, si può soltanto ricevere.

Gesù, come spesso accade in occasione di grandi questioni teo­logiche, non risponde, ma invita l’interlocutore stesso a trovare la risposta. E difatti il dottore della legge è perfettamente in grado di farlo, unendo due testi della Torah: la vita si riceve amando Dio e il prossimo (cfr Dt 6,5; Lv 19,18). Il commento di Gesù sposta il centro di interesse: egli approva la risposta del dottore della legge, ma il punto è attuarla («Fa’ questo e vivrai»). Il banco di prova è la vita, più che la correttezza delle definizioni. Ma è proprio questo che sembra interessare al dottore della legge, e difatti egli pone un’ulteriore domanda: «E chi è il mio prossimo?». Stabilire il possibile confine tra chi sia da amare e chi invece da odiare era infatti una questione molto sentita e dibattuta nel mondo giudaico.

Secondo alcuni, si dovevano amare solamente gli appartenenti alla propria stirpe. Un passo del Talmud (Abodah Zara, 26) presenta il caso contrario a quello mostrato dalla parabola: se un ebreo dovesse trovare un samaritano e un pagano feriti, non è obbligato a soccorrerli, anzi rischierebbe di contrarre impurità.

La risposta di Gesù presenta una scena di vita ben nota. La strada tra Gerusalemme e Gerico era un luogo molto pericoloso per chi si avventurava da solo, e non di rado cadeva in agguati e imboscate, a rischio della propria vita. Il primo personaggio della vicenda non ha caratteristiche particolari; è «un uomo», un termine che esclude nuovamente l’approccio speculativo: nessuna precisazione circa la stirpe, l’appartenenza religiosa o la moralità. L’unico tratto su cui Gesù indugia è che quest’uomo è stato oggetto di violenza e che morirà se non troverà soccorso. Una situazione che può riguardare chiunque: essere assalito dai malfattori. Gesù non si sofferma neppure su di loro, ma fa seguire due personaggi che per caso si imbattono nel malcapitato. E qui, a differenza di quanto presentato prima, il testo precisa la loro appartenenza; sono persone rispettabili, religiose, un sacerdote e un levita, che il brano non caratterizza positivamente: entrambi hanno la medesima reazione, passano dall’altra parte. C’è una nota polemica, che può suonare offensiva per il dottore della legge: appartenenza religiosa e capacità di vivere la fratellanza non coincidono.

L’eroe della parabola

Infine, entra in scena un personaggio connotato positivamente, l’eroe della parabola. Se si fosse trattato di un pio giudeo, Gesù avrebbe riscosso la piena approvazione degli ascoltatori. E invece, di nuovo, egli delude le attese: il personaggio non ha nulla di attraente, è un samaritano – non un buon samaritano! –, appartenente a un popolo disprezzato dagli ebrei, perché si era corrotto unendosi ad altri popoli e alle loro tradizioni, rinnegando la fede dei padri (cfr 2 Re 17). Il Siracide lo chiama «il popolo stolto che abita in Sichem e che non merita nemmeno di essere considerato un popolo» (Sir 50,25-26).

Si tratta di una rivalità menzionata dallo stesso evangelista. Egli poco prima (cfr Lc 9,51-56) aveva riportato il rifiuto da parte dei samaritani di accogliere Gesù, perché era diretto a Gerusalemme. Ciononostante, Gesù sceglie proprio un samaritano: pur trovandosi a passare per una strada pericolosa, quando vede il malcapitato, si ferma, non mostra alcuna fretta. Il testo sembra ora rallentare, indugia a descrivere con lentezza ciascuno dei suoi gesti: sono particolarmente degni di nota i numerosi termini impiegati, sette dei quali – nella Bibbia il numero 7 indica la totalità – presenti soltanto qui, come a dire dell’importanza di questa scena, che costituisce il punto focale del racconto.

Un samaritano

Il samaritano si fa vicino, non ha timore di possibili contagi o di essere a sua volta assalito, presta opera di pronto soccorso, mettendoci del suo: fascia le ferite, versa olio e vino, lo porta alla locanda, ne paga il ricovero e promette di ritornare, disposto a pagare le ulteriori spese. Anche il dettaglio della locanda ha una finalità polemica. Al tempo di Gesù c’erano infatti due tipi di locande: la prima ospitava gratuitamente, in linea con la sacralità riservata all’ospite; nella seconda invece (chiamata pandocheion, il termine impiegato da Luca) si doveva pagare, violando il sacro precetto del mondo orientale. Il significato di questa scelta è evidente: «Non solo il samaritano gode di cattiva fama presso l’interlocutore di Gesù, ma anche colui al quale ha chiesto di proseguire le cure: l’esempio viene da due persone malfamate!»[4].

Un insegnamento sconcertante

Il messaggio della parabola è inequivocabile: il bene viene dalle persone e situazioni più impensate; la fratellanza non conosce limiti, etichette, cerchie, appartenenze. E si capisce davvero chi è il prossimo quando ci si trova nei guai e si cerca disperatamente aiuto. È una lettura sconcertante delle situazioni tragiche, nelle quali, come la storia ha più volte mostrato, insieme a orrori e prevaricazioni, emergono atti di bontà e di coraggio ammirevoli, compiuti proprio dalle persone più inaspettate.

La Civiltà Cattolica

 

[1].     Francesco, Enciclica Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale (FT), 3 ottobre 2020, n. 56.

 [2].     «È interessante come le differenze tra i personaggi del racconto risultino completamente trasformate nel confronto con la dolorosa manifestazione dell’uomo caduto, umiliato. Non c’è più distinzione tra abitante della Giudea e abitante della Samaria, non c’è sacerdote né commerciante; semplicemente ci sono due tipi di persone: quelle che si fanno carico del dolore e quelle che passano a distanza; quelle che si chinano riconoscendo l’uomo caduto e quelle che distolgono lo sguardo e affrettano il passo. In effetti, le nostre molteplici maschere, le nostre etichette e i nostri travestimenti cadono: è l’ora della verità. Ci chineremo per toccare e curare le ferite degli altri? Ci chineremo per caricarci sulle spalle gli uni gli altri? Questa è la sfida attuale, di cui non dobbiamo avere paura» (FT 70).

 [3].     Per un inquadramento generale della parabola e un commento, si veda B. Maggioni, Le parabole evangeliche, Milano, Vita e Pensiero, 1992; D. Attinger, Evangelo secondo Luca. Il cammino della benedizione, Magnano (Bi), Qiqajon, 2015.

 [4].     D. Attinger, Evangelo secondo Luca…, cit., 306.

 [5].     V. Fusco, Oltre la parabola, Roma, Borla, 1983, 135.

 [6].     Cfr J. M. Darley – C. D. Batson,«“From Jerusalem to Jericho”: A study of situational and dispositional variables in helping behaviour», in Journal of Personality and Social Psychology 27 (1973/1) 100-108. Cfr A. G. Greenwald, «Does the Good Samaritan parable increase helping? A comment on Darley and Batson’s no-effect conclusion», ivi 32 (1975/4) 578–583.

 [7].     Ivi, 104.

 [8].     Ivi, 107.

 [9].     Ivi, 108.

 [10].    T. Todorov, Di fronte all’estremo. Quale etica per il secolo dei gulag e dei campi di sterminio?,Milano, Garzanti, 1992, 75.

 [11].    Ivi, 75 s.

 [12].    M. Buber-Neumann, Déportée à Ravensbrück, Paris, Seuil, 1988, 73.

 [13].    Cfr G. Gardin, Dieci anni di prigionia in Albania (1945-1955), Roma, La Civiltà Cattolica, 1986, 93.

 [14].    «Storicamente, l’eroe è un maschio guerriero, come Achille, Agamennone o Ulisse. Essi eliminano donne e ragazzi. Mai donne, mai ragazzi. Essenzialmente maschi adulti assassini […]. L’idea epica dell’eroe, in cui la persona comune non può riconoscersi, è tra le cause della passività dei più» (G. Sabato, «Studiare da eroi», in Mente e cervello 9 [2011] 38 s).

 [15].    Ph. Zimbardo, L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa?,Milano, Raffaello Cortina, 2008, 628; 632 s. Cfr M. E. P. Seligman – T. A. Steen – N. Park – C. Peterson, «Positive psychology progress», in American Psychologist 60 (2005) 410-421; S. Becker – A. Eagly, «The heroism of women and men», ivi 59 (2004) 163-178.

 [16].    Ph. Zimbardo, L’effetto Lucifero…, cit., XXX.

 [17].    Cfr G. Cucci, «La psicologia della compassione», in Civ. Catt. 2021 III 471-480.



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