Dipendenza
da gioco (e da web) A rischio 330mila giovanissimi
L’età
più difficile è quella dei 15 anni, i comportamenti più pericolosi riguardano
chi fa abuso di videogiochi, secondo i dati Cnr. Lo psicologo Grosso: l’altra
faccia del problema è il ritiro sociale
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di ILARIA SOLAINI
Hanno
trascurato gli amici o perso ore di sonno, pur di rimanere collegati online a
“videogiocare”, dicono di sentirsi di cattivo umore, se non possono connettersi
a Internet. Quasi 330mila studenti dai 15 ai 19 anni (pari al 14%) mostrano
queste fragilità nell’utilizzo del web. «Il gaming si configura come una vera e
propria dipendenza» ha spiegato Leopoldo Grosso, psicologo e presidente
onorario del Gruppo Abele fondato da don Luigi Ciotti. L’età più a rischio è
quella dei 15 anni, mentre i rischi si abbassano dopo i 18 anni. Sono questi
alcuni dei dati emersi nell’ambito del Cybersecurity Day – all’Internet
Festival 2023 di Pisa, elaborati dal Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche
– Istituto di Fisiologia Clinica. I dati raccontano delle nuove dipendenze causate
da Internet e dal gaming anche attraverso alcune installazioni di data
visualization, visibili da chiunque fino a domani all’Internet festival, dove
si incontrano esperti di robotica, tecnologia e innovazione, umanisti,
rappresentanti delle istituzioni, artisti e personaggi del mondo della cultura
e dell’arte.
Tra
gli studenti con un profilo di utilizzo di Internet “a rischio” c’è una quota
maggiore di altri comportamenti potenzialmente pericolosi, come l’assunzione di
sostanze psicoattive o come l’avere un profilo di gioco d’azzardo
“problematico”. Al contrario, essere impegnati in attività sportive e l’amore
per la lettura sembrano avere una valenza “protettiva” nello sviluppo di
comportamenti di gaming problematico.
Dal
cyberbullismo alla dipendenza da social al gaming, i comportamenti a rischio
legati all’utilizzo di internet hanno comunque forme e modalità diverse.
«Quando il tempo speso a giocare diventa eccessivo, il gaming può risultare
pericoloso, influendo negativamente sulle relazioni sociali o sul rendimento
scolastico» ha sottolineato lo psicoterapeuta Grosso. Il gaming è molto più
diffuso fra gli adolescenti maschi (86%) rispetto alle ragazze (49%): nel 2022
il 7% e il 13% hanno videogiocato più di 4 ore al giorno nei giorni scolastici
ed extrascolastici, con percentuali triple tra i ragazzi (9% e 17%). Ma
Internet è il vero problema sempre? «Sento spesso i genitori dire mio figlio
sta rintanato a casa collegato a Internet: in quei casi, dobbiamo riuscire
distinguere quale sia la causa dell’isolamento.
Il Covid-19 in alcuni casi ha
fatto sperimentare come
positiva l’esperienza di non avere contatti sociali, e in questo senso è stato
un detonatore» ha spiegato Grosso che ha messo la luce su quell’1,6% di
studenti intervistati che si è autodefinito Hikikomori, ossia una persona che
evita il coinvolgimento sociale, non frequenta praticamente più alcun amico e
passa tantissimo tempo davanti a un monitor, isolato nella propria camera. Si
stima che in Italia siano circa 38mila: «Il 32% non lascia mai la propria
stanza se non per andare a scuola, un quinto esce al massimo una volta alla
settimana per uscire con gli amici o praticare attività sportive» ha aggiunto
il presidente onorario del Gruppo Abele.
«Quando ci troviamo di fronte a un
ritiro sociale volontario la difficoltà va ricercata nella relazione con i
propri compagni di scuola, nel senso di emarginazione e discriminazione che il
ragazzo prova. Ed è causa di una grandissima sofferenza» ha spiegato lo
psicologo, che ha sottolineato come invece Internet, in questi casi, rimanga
«una risorsa, una finestra sul mondo e non la causa diretta della sofferenza.
La Rete diventa lo strumento per una socializzazione compensativa che rende più
lieve questo ritiro sociale».
Quasi
55mila studenti (2,2%) si sono volontariamente isolati per un periodo di tempo
superiore ai 6 mesi, ascoltando la musica (58%), stando sui social network
(47%) e giocando online (44%). Il 30% degli studenti ritirati per oltre 6 mesi
non ha mantenuto alcun contatto con amici o conoscenti. Tra questi, il 49% ha
spiegato di sentirsi escluso o non capito dagli altri, il 44% di non aver amici
stretti e il 42% di essere solo. Viene da chiedersi da adulti cosa si possa
fare per aiutare i ragazzi in queste condizioni, considerando che un terzo
degli Hikikomori ha raccontato che i propri genitori hanno accettato la cosa
senza porsi domande. Il 17% non l’ha saputo e solo l’11% si è preoccupato e ha
chiamato il medico o la scuola.
«Dietro alle assenze da scuola possono esserci situazioni di sofferenza
scolastica, episodi di bullismo, non denunciati né a scuola né ai propri
genitori per paura di essere derisi o trattati male » ha denunciato ancora
Grosso che è convinto del ruolo centrale della scuola di fronte alle assenze
prolungate. Secondo lo psicoterapeuta «è importante che i genitori abbandonino
l’atteggiamento morale e moralistico che colpevolizza il ragazzo che non va a
scuola. Serve comprensione per capire dove e come aiutarlo».
www.avvenire.it
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